www.resistenze.org - pensiero resistente - imperialismo e globalizzazione - 20-06-09 - n. 279

Da Vicenza a L’Aquila con l’aiuto di Marx (e di Orwell)
 
di Pol Vice
 
Qualche osservazione dal territorio italiano sui “giochi di guerra” del capitale in crisi sulla pelle del proletariato (e dei terremotati)
 
Mentre le ruspe proseguono a pieno ritmo la devastazione dell'area verde dell'aeroporto Dal Molin per realizzare il più grosso concentramento di truppe d’assalto Usa in Europa (l’unico al mondo che sembra destinato a rimanere stanziale fuori dalla patria americana), è ormai chiaro a tutti che la scelta di Vicenza come base strategica avanzata per la proiezione di potenza mondiale degli Usa e dei loro alleati NATO (con l'Italia in prima fila) è – a meno di grandi sconvolgimenti - irreversibile.
 
Oggi nel mirino delle potenze occidentali (in competizione con Cina & C., e senza rinunciare ai tradizionali obiettivi in Eurasia) c’è l’Africa. Dall’ottobre 2008 AFRICOM è il nome del nuovo comando unificato delle forze armate Usa per quel continente, creato per iniziativa di James Jones col sostegno di Robert Gates.[i]
 
E US Army Africa (forze terrestri di AFRICOM) dal dicembre scorso è il nuovo nome della SETAF (Southern European Task Force) che ha sede alla caserma Ederle, dove sono in corso da più di un anno imponenti lavori di ristrutturazione e ampliamento, in parallelo con la completa riattivazione dei depositi e hangar sotterranei, con annessearee e palazzine superprotette, che dagli anni ’60 ai ‘90 furono l’incubo degli abitanti nella zona est dei colli Berici (anche per l’accertata presenza di testate atomiche) e ora sono di nuovo in piena attività, tanto più inquietante quanto più i segreti sono coperti dalle continue rassicurazioni formali dei comandi Usa e delle autorità italiane. Si vocifera, fra l’altro, di un centro tlc di grande potenza collegato allo scudo spaziale.
 
Inoltre, nell'ambito del piano d’azione deciso dal G8 nel 2004 e ipocritamente denominato "Espansione della Capacità Globale nelle Operazioni per il Supporto della Pace", Vicenza dal 2005 ospita presso la nuova sede di comando della Gendarmeria Europea il "Center of Excellence for Stability Police Units (CoESPU)", dove si addestrano ad alto livello per la guerra non convenzionale (che però ufficialmente si chiama “stabilizzazione della pace”) gli ufficiali delle forze di polizia/intelligence di molti paesi africani (e non solo). Tali forze, si legge nella scheda di presentazione del CoESPU, saranno “preparate ad intervenire rapidamente, con apparati logistici autonomi e con la capacità di stabilire una forte presenza di polizia in territori ostili”. Si tratta insomma di controllo, spionaggio, repressione e rappresaglia, (sull'esempio delle Unità Multinazionali Specializzate già utilizzate in Bosnia, Kosovo, Afghanistan, Iraq) contro i "ribelli e/o terroristi", cioè contro le forze non sottomesse che resistono in vari modi alla rapina delle risorse nelle nuove colonie. I rapporti fra AFRICOM e CoESPU sono (o almeno appaiono nelle dichiarazioni ufficiali) di stretta e cordiale collaborazione.[ii]
 
Di fronte a queste grandi manovre ai massimi livelli, con l’intreccio di strategie diverse e complementari (“Hard power” e “Soft power”, che in italiano sarebbe il Bastone e la Carota) per la spartizione del dominio globale fra le potenze imperialiste, le risposte del movimento di opposizione, nonostante la straordinaria e generosa partecipazione, sono (ancora) inadeguate. Non solo per i limiti oggettivamente imposti dalla situazione: l’evidente sproporzione delle forze, il blocco istituzionale, lo smantellamento in atto (economico) delle capacità di resistenza sociale e (politico) degli spazi di movimento. L’impressione è che sul piano locale (vicentino) sia prevalsa una egemonia logistico - gestionale che ha escluso via via settori attivi del movimento non omologati con un ristretto gruppo dirigente (tutt’altro che spontaneo e unitario, anche se coperto da una sbandierata ideologia spontaneista e comunitarista), fino a far identificare la lotta per il“NO Dal Molin” con la lotta per il presidio divenuto ormai un centro sociale del Nordest. I danni sono visibili: da un lato l’attenzione si è concentrata sui ricorsi urbanistici e sulle promesse di un sindaco democristiano eletto per sbaglio, dall’altro la protesta non è riuscita ad andare oltre una visibilità mediatica fine a se stessa, che nasconde l’incapacità di raggiungere obiettivi concreti (anche se parziali) finalizzati allo sviluppo reale della forza e della coscienza di classe, dietro continue rappresentazioni spettacolari del conflitto, dove un pubblico fedele si sente protagonista perché sapientemente coinvolto dalla regìa. A livello nazionale dobbiamo purtroppo registrare, dopo momenti di reale crescita antagonista (vedi p. es. 19 giugno 2007) la tendenza ricorrente al solito pacifismo ipocrita, figlio dell’individualismo piccolo borghese e della falsa coscienza dei sinistri istituzionali.
 
Sarà meglio dunque riprendere le fila di un discorso più serio e, si spera, più produttivo.
 
Le guerre e l’economia di guerra (investimenti e spese per eserciti, basi, armamenti) sono utili ai capitalisti, specialmente in periodi di crisi come quello attuale. Da un lato, infatti, la distruzione del surplus a spese dei concorrenti più deboli, dall’altro l’effetto trainante della ricerca e della produzione a scopi bellici nei settori d’avanguardia (dalla fisica dei materiali alla biochimica, dalla logistica alla telematica ecc.) sono potenti fattori di sblocco dei mercati. Chi vince piglia tutto e il gioco può riprendere: crescita degli investimenti, della produzione, del PIL, dei consumi (compresi quelli definiti aiuti umanitari per quietare le coscienze e mantenere il consenso), e così via fino alla prossima crisi… Il sogno del crollo automatico del capitalismo lo lasciamo ai marxisti fedeli della scuola storicistica (i dogmi consolatori sono duri a morire). Certo ci sono dei limiti naturali alle forzature e alle distruzioni operate dalla specie uomo sugli equilibri ambientali del pianeta, ma questo è un altro discorso.
 
Il problema sociale di fondo, ancora del tutto attuale, sembra essere questo: come evitare che il popolo bue dei lavoratori continui a seguire le sorti dei padroni da cui dipende e a venerare il Mercato del Lavoro come il Grande Fratello orwelliano?[iii] Nessuno si scandalizzi: le esperienze del socialismo “reale” sono alle nostre spalle, e su questo piano hanno ben poco da insegnarci (a meno che qualcuno ancora pensi che lo stakanovismo e i piani quinquennali siano esempi da seguire). Sappiamo bene (è sempre opportuno ribadirlo) che il lavoro umano (organizzato) è l’unica forza produttiva che crea ricchezza sociale (storicamente ciò significa l’uscita dalla necessità di dedicare la vita a soddisfare i bisogni naturali primari, e di conseguenza lo sviluppo delle civiltà). Anche nel modo di produzione attuale la forza lavoro (manuale e insieme intellettuale) è il fattore indispensabile per la messa in opera del capitale (denaro, tecnologia, energia, materie prime ecc.) al fine di produrre nuovo valore. Ma sappiamo anche che essa, com’è storicamente determinata, è il frutto dell’alienazione/corruzione della capacità produttiva sociale ad opera del comando capitalistico. Nella fase attuale le esigenze del capitale stanno condizionando sempre più strettamente perfino lo stesso ciclo (vitale) di produzione/formazione della forza lavoro: la merce umana deve essere di qualità tale da poter essere inserita col minimo di sprechi (cioè solo quando e dove serve[iv]) nel ciclo produttivo come un qualunque altro fattore[v]. Non si tratta solo di generico sfruttamento (espropriazione dei frutti) del lavoro da parte delle classi proprietarie/dominanti, ma, per esempio, della sistematica separazione (non tanto tecnica quanto gerarchica in senso economico, politico e ideologico) fra mansioni decisionali e mansioni esecutive. Ciò fa parte, a nostro avviso, della strategia messa in atto dalla classe capitalista per impedire la possibile ricomposizione (di classe, appunto)fra lavoro manuale e intellettuale, cioè la formazione di quel “lavoratore collettivo cooperativo” che Marx aveva previsto come fattore soggettivo determinante del “salto di qualità” rivoluzionario necessario a provocare la fine del comando (potere, proprietà privata)[vi] del capitale sui mezzi di produzione (aziende), sostituendo allo scopo privatistico della realizzazione del plusvalore (profitto concorrenziale d’impresa a tutti i livelli, anche statale, nel quadro della competizione globale), lo scopo socialista, cioè lalotta per l’equa distribuzione del lavoro e del reddito, per il riequilibrio delle condizioni sociali e ambientali, per il miglioramento generale della qualità di vita in un quadro di pari diritti e di valorizzazione delle diversità.
 
Insomma, Il valore sociale della capacità produttiva umana (in termini di conoscenze teoriche e pratiche) si dovrebbe misurare in base al tempo di vita dedicato alla sua riproduzione, sviluppo e formazione; ma in quanto merce speciale venduta sul mercato del lavoro il suo prezzo al consumo (salario socialmente contrattato) tende ad essere adeguato solo finché il valore prodotto (in forma di merci) rende un adeguato profitto al capitale. Quando il procedere della contraddizione dà luogo alle crisi di accumulazione del capitale, anche la concorrenza fra i venditori di forza lavoro si fa più aspra: la domanda si restringe e diventa più esigente (vedi espulsioni, precariato e bassi salari accanto all’incremento dei tempi, dei rischi e della produttività), si allarga a dismisura l’esercito di riserva [vii] che può essere ricattato e usato come “carne da cannone” dai padroni[viii] per le loro guerre, giungendo fino alla possibilità concreta della distruzione di massa.
 
Ma per evitare che si generalizzi la coscienza del processo reale (e la conseguente organizzazione antagonista di classe) i massacri non devono mai apparirecome causati dai nostri padroni, bensì dal nemico globale di turno, che minaccia la sicurezza e la pace della nostra comunità e attenta alla vita (e al benessere) di ciascuno: per cui è assolutamente necessario difendere tutti uniti la nostra civiltà. Ciò costa sacrifici, naturalmente, ma se vinceremo ci sarà bottino per tutti. [Il succo della propaganda è questo, al di là delle varianti di destra e di sinistra].
 
Ed eccoci ricollegati agli incontri ufficiali del G8, della NATO, delle organizzazioni internazionali di “mediazione”, di “regolazione” e di “controllo”. Questi signori, esponenti ai massimi livelli dei vari Ministeri della Pace, dell’Abbondanza, della Verità, dell’Amore ecc.,si premurano di spiegare ai popoli del mondo, a nome del Grande Fratello, che “ LA GUERRA E’ PACE ecc.…”, cercando di realizzare il loro scopo principale, che è il dominio globale sulla forza lavoro non solo negli aspetti materiali, ma anche (e soprattutto) in quelli culturali e di coscienza, fino allo stravolgimento della memoria storica: “chi controlla il passato controlla il futuro, e chi controlla il presente controlla il passato ” (cfr. ancora una volta 1984 di G. Orwell).
 
A questo scopo (solo a questo scopo), di propaganda e di controllo, il più alto (si fa per dire) rappresentante della Banda Bassotti italiana ha fatto blindare e militarizzare un territorio già devastato e disastrato dal terremoto e dalla speculazione edilizia, invitando gli altri signori del G8 ad ascoltare i suoi sproloqui di fronte al pubblico terremotato e attendato de L’Aquila. Potrà così elargire altre pacche sulle spalle e promesse di miracoli, mentre tenterà di rimediare qualche accordo fra poteri mafiosi locali e internazionali da rifilare agli ingenui; e farà finta di scandalizzarsi perché qualche ingrato, sobillato dai soliti comunisti sovversivi, invece di starsene buono e adorante in attesa dell’elemosina, magari oserà protestare. Anche le calamità naturali, oltre che le guerre, possono essere ottime occasioni per fare affari e accrescere il proprio potere…finché dura!
 
NON POSSIAMO LASCIARE CHE LA PASSI LISCIA!
 
(qui sotto riportiamo il brano finale di un appello dei compagni campani che condividiamo)
 
Non possiamo cedere all’operazione di terrorismo psicologico che è stata costruita approfittando dello stato d’animo della popolazione abruzzese. Abbiamo anzi il dovere di dare voce, amplificandola, alla crescente rabbia della gente dei campi, che subisce ormai da mesi una soffocante militarizzazione, l'uso della protezione civile come forza di polizia, la mancata diffusione di giornali e di informazione in genere (figuriamoci di controinformazione!), il divieto di assemblea, il timore più che fondato di tempi lunghissimi per la ricostruzione e di speculazione edilizia che devasterebbe un territorio già duramente provato dal sisma.
 
Crediamo inoltre che un momento di respiro nazionale e internazionale sia necessario per recuperare il filo rosso delle proteste contro le politiche guerrafondaie, imperialiste, neoliberiste che cercano, giorno dopo giorno, di riversare sulle spalle delle fasce sociali più vulnerabili i costi della crisi.
 
Rete Campana No G8 – In Solidarietà con le Popolazioni dell’Abruzzo
 
Pol Vice
 
[N.B.: se qualcuno vuole sottoscrivere, oppure propone un firma collettiva e nessuno è contrario, per me va bene, purché non sorgano polemiche fra di noi]
 


[i] Per chi non lo sapesse, nell’era di Dabliu Bush il gen. dei marines J. Jones è stato contemporaneamente comandante supremo della NATO e delle forze Usa in Europa (EUCOM), mentre R. Gates (compagno di università di Jones) è diventato ministro della difesa. Oggi i due sono, rispettivamente, consigliere per la sicurezza nazionale e… ministro della difesa (!!) nel governo di Barak Obama: insieme con madame Clinton formano il triumvirato per la politica estera.
[ii] Per approfondimenti: www.disarmiamoli.org.
[iii] George Orwell scrisse nel 1948 il suo capolavoro di utopia negativa che uscì l’anno dopo col titolo “1984”. Orwell rispose con grande acutezza ad alcune domande inquietanti che ogni persona intelligente poteva porsi. Per esempio: se le potenze del bene che avevano vinto la guerra mondiale provocata  dalle potenze del male nazifasciste, volevano davvero la pace permanente, perché continuavano ad armarsi, a minacciarsi e a farsi la guerra fra loro nei territori di confine delle reciproche “zone d’influenza”? E perché le popolazioni provate dalle recenti catastrofi (il libro, non a caso, è ambientato a Londra) non si ribellavano alla prospettiva di un nuovo “stato di guerra permanente” ma anzi sembravano essere grate ai loro governanti che lo preparavano? Col suo racconto Orwell (da buon anarchico) denuncia che in realtà lo scopo principale di ogni Stato (in quanto apparato di potere) non è fare la pace o la guerra,  ma mantenere il dominio, cercando di renderlo assoluto e permanente . Proiettando questa tendenza in un futuro non lontano egli immagina un meccanismo totalitario perfetto, con una serie di soluzioni geniali (dal neolinguaggio alla psicopolizia alla riscrittura continua della storia nel ministero della verità, ecc., fino alla famosa figura del Grande Fratello) che hanno un senso “profetico” profondo oggi più che mai imbarazzante, come dimostrano certi tentativi di esorcizzazione attuati dagli agenti dell’attuale (ancora poco efficace, per fortuna) psicopolizia italiana.
[iv] Si vedano a questo proposito, in Italia, le leggi Treu e Biagi, con le relative concertazioni sindacali, nonché il modello sociale proposto di recente dal ministro Sacconi (v. nota successiva).
[v] Oggi è considerato del tutto normale da parte degli ideologi ufficiali usare il termine capitale umano, dove appare naturale la sottomissione, anzi addirittura l’identificazione dell’essere umano col capitale ai fini della produttività. Tale termine appare p. es. nel Libro bianco sul futuro del modello sociale, edito nel maggio scorsodal ministero presieduto dal craxiano Sacconi. A proposito, le analogie fra gli scenari prospettati in questo documento programmatico e quelli lucidamente prefigurati sessant’anni fa da Orwell (v. nota 3) sono sorprendenti e impressionanti - a partire dallo stravolgimento sistematico dei significati delle parole a scopo di condizionamento ideologico - e meritano un approfondimento, che ci proponiamo di fare in altra sede.  Qui accenniamo solo che nell’utopia sacconiana il ruolo del Grande Fratello è chiaramente identificabile col Mercato del Lavoro.
[vi] Certe polemiche definitorie fra  “proprietà privata” e “potere di disporre ai propri fini” più o meno “strategici” dei mezzi di produzione (cfr. p. es. in G. La Grassa, IL CAPITALISMO OGGI) ci sembrano inutili e devianti.
[vii] Non più strettamente industriale, ma in tutti i settori controllati direttamente dal capitale.
[viii] Non affrontiamo qui il discorso sui possibili ruoli dei “mediatori” sindacali, che ci porterebbe lontano.