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Nuovi sviluppi in economia politica: la scomparsa della "globalizzazione"

Zoltan Zigedy | zzs-blg.blogspot.it
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

17/02/2017

"Globalizzazione" è un termine incerto: 1. A volte usato per descrivere i cambiamenti quantitativi nell'economia globale emersi negli anni 1980. 2. A volte utilizzato per esprimere una serie di prescrizioni politiche che guadagnarono attrazione in quello stesso periodo. 3. A volte termine per denominare una teoria che ipotizza una nuova era, epoca, o stadio del capitalismo, un cambiamento qualitativo nel modo in cui funziona il capitalismo contemporaneo.

A volte la parola è usata in tutte e tre le accezioni:

Negli anni 1980 e all'inizio del 1990, il commercio mondiale iniziò a espandersi a un ritmo superiore alla sua media storica. Cambiamenti rivoluzionari nella logistica - containerizzazione, trasporto, controllo di magazzino, trasferimento di informazioni - consentirono l'enorme riduzione dei costi di trasporto e spedizione. Alcuni cambiamenti politici unificarono il mercato globale con l'integrazione nell'economia della Repubblica popolare cinese e lo smantellamento della comunità economica socialista. Molte nazioni emergenti aderirono al mercato globale quando il modello di sviluppo socialista perse il suo riferimento. Allo stesso modo, con la rimozione di ostacoli politici e la fine della guerra fredda crebbero i flussi di capitali. I lavoratori precedentemente inseriti in un sistema economico alternativo - parliamo di oltre un terzo della forza lavoro - precipitarono nel mercato del lavoro capitalista che percepì una inedita trasfusione di manodopera a basso costo. Le economie emergenti, in conseguenza della circolazione dei capitali, dell'egemonia politica e della rivoluzione logistica, portarono sulla ribalta mondiale manodopera a basso costo aggiuntiva. Tutti questi fattori hanno determinato un aumento dei tassi di produzione, la crescita economica e commerciale che si è protratta per oltre due decenni.

Il riconoscimento del fallimento del consenso keynesiano da parte dei dirigenti politici causò il ritorno al fondamentalismo classico del mercato. La lunga stagnazione e l'inflazione galoppante degli anni 1970 sfidarono e screditarono le varie ricette di stimolo e di incentivazione fiscale servite come strumenti dalla Grande Depressione. La politica reazionaria - gli astri in ascesa di Thatcher, Reagan e la loro progenie - introdusse una nuova serie di prescrizioni fondate sui mercati liberi e senza vincoli. Le strutture capitalistiche internazionali - FMI, Banca Mondiale, Banca dei regolamenti internazionali, OCSE, GATT, ecc - a cui se ne aggiunsero di nuove - OMC - abbracciarono senza esitazione il ritorno al fondamentalismo del mercato. Sulla scia del nuovo consenso, vennero varati un gran numero di accordi di libero scambio per formalizzare la fede rinata nel libero mercato, il più celebre dei quali fu l'Accordo di libero scambio nordamericano (NAFTA, tra USA, Canada e Messico in vigore dal 1994, ndt). A metà degli anni 1990, l'OCSE tentò di stabilire segretamente il più ambizioso accordo internazionale, l'Accordo multilaterale sugli investimenti (AMI), che avrebbe dato praticamente carta bianca alle multinazionali. Gli sforzi di canonizzazione del fondamentalismo del mercato e di formalizzarne i principi in istituzioni e accordi commerciali continua tutt'oggi, per esempio con il TPP (Trans-Pacific Partnership - Partenariato trans-pacifico).

Per alcuni, tra cui una parte significativa della sinistra accademica, i cambiamenti quantitativi e le politiche dispiegate negli anni 1980 hanno segnato una nuova era del capitalismo. Due teorici influenti hanno animosamente posto la questione in questi termini: "Oggi siamo nelle prime fasi della quarta epoca del capitalismo". Nella fretta di sostituire la teoria di Lenin sull'imperialismo, hanno postulato l'esistenza di una fase in cui le aziende evitano la base nazionale e adottano l'intera economia globale come loro dominio. Allo stesso tempo, osservano una riduzione dell'autorità e del significato dello Stato-nazione. Organizzazioni internazionali come il FMI e l'OMC sono percepiti come nuovi sostituti per lo Stato-nazione. Chiaramente, in questo quadro, il concetto di imperialismo viene sminuito.

La nozione di un capitalismo "senza centri" ha raggiunto il suo apice estremo con la pubblicazione nel 2000 dell'Impero di Hardt e Negri. Questo impenetrabile e sconclusionato esercizio, pretenzioso e indisciplinato intellettualmente, è diventato un best seller accademico e un appuntamento fisso sul comodino di ogni ribelle piccolo borghese. Il libro ha spazzato via in un sol colpo le categorie rilevanti della politica di sinistra e le ha sostituite con il concetto amorfo di "moltitudine".

La fine

Il crollo economico del 2007-2008 ha messo a riposo le basi quantitative della "globalizzazione". Dal 1983 al 2008, la crescita del commercio mondiale ha avuto una media di oltre il 6%, con molti picchi a due cifre. Da allora, la crescita del commercio mondiale è scesa al 3% o meno (la crescita nel 2016 è stata inferiore al 2%, il tasso più basso dal 2009).

L'Organizzazione Mondiale del Commercio ha calcolato che, storicamente, l'indice di crescita del commercio è all'incirca 1,5 volte la crescita del PIL. In periodi eccezionali, come nella cosiddetta era della globalizzazione, il commercio è spesso cresciuto al doppio del tasso del PIL. Ma l'OMC osserva che oggi (e dall'inizio della crisi) i due tassi di crescita registrano all'incirca lo stesso andamento (anzi la crescita del commercio nel 2016 era in realtà al di sotto della crescita del PIL).

Dopo anni di aumento a ritmo serrato, il traffico globale di container ha rallentato all'1,1% nel 2015 ed è stato praticamente stazionario nel 2016. In tal modo, l'impulso primario della tesi sulla globalizzazione - la crescita mondiale del commercio - è evaporato.

Sono altresì crollati altri indicatori ritenuti segnali della globalizzazione: gli investimenti diretti esteri, la previsione della futura crescita commerciale (nel 2015, il 40% in meno rispetto al suo picco pre-crisi); i prestiti internazionali, come misurati dalla Banca dei Regolamenti Internazionali, ridotti del 9% nel corso del biennio 2014-2015.

Chiaramente, il crollo del 2007-2008 ha soffocato la crescita celebrata come "globalizzazione", enfaticamente annunciata negli anni 1980. Coloro che videro emergere una nuova fase o epoca del capitalismo sono sicuramente castigati dalla sua scomparsa. Piuttosto che l'annuncio di una nuova era del capitalismo trionfante, il boom globale della crescita a partire dagli anni 1980 fu mutuato da una congiuntura irripetibile di fattori fortuiti al capitalismo globale. Un'espansione senza precedenti di manodopera qualificata a basso costo, una rivoluzione tecnologica e nella logistica, l'egemonia politica degli Stati Uniti hanno creato uno slancio insolitamente favorevole alla crescita capitalistica. Quel momento è ora finito.

I teorici che prevedevano un post-imperialismo che accompagnava la globalizzazione, sono stati rapidamente disillusi da un susseguirsi di guerre imperialiste travisate da interventi umanitari. Nel 1998, la Francia, stato paradigmatico nella difesa dell'orgoglio nazionale, straccia l'AMI (Accordo multilaterale sugli investimenti), che minacciava di erodere la sovranità nazionale e consegnarla alle imprese.

Lo stato nazione era tutt'altro che finito sia in qualità di aggressore che di vittima. Nel ventunesimo secolo, gli aggressori sono stati, di volta in volta, le nazioni ricche e potenti (in alleanze di comodo) e le vittime furono gli stati più deboli, più poveri.

Le copie di Impero sono da tempo scomparse dai comodini. A sinistra, lo sforzo contro il post-imperialismo di "sinistra" e le tesi della globalizzazione, è toccato alla redazione e ai molti scrittori della stimabile rivista statunitense, Monthly Review. Nel corso degli anni 1980 e 1990, MR ha portato avanti un'intensa campagna contro l'idea che il capitalismo fosse trasformato in un sistema economico irriconoscibile dal marxismo classico. Quella battaglia è stata vinta.

Quel che resta della globalizzazione

La globalizzazione sopravvive oggi solo come ideologia, una serie di prescrizioni politiche intimamente legate al fondamentalismo del mercato. Si pone l'obiettivo di rimuovere ognuna e tutte le barriere internazionali ai mercati. Trae il suo sostegno da parte di chi ha beneficiato al massimo dai quasi tre decenni precedenti il crollo del 2007-8. Nei paesi capitalisti avanzati d'Europa e del Nord America, i capitalisti, i loro cortigiani e una parte della piccola borghesia hanno goduto di grandi guadagni in termini di reddito e ricchezza. La delocalizzazione della produzione verso paesi a basso salario e la crescita della domanda di materie prime hanno avuto alcune ricadute favorevoli sui lavoratori delle economie emergenti.

Ma sono maturati ben pochi benefici per la forza lavoro tradizionale di Europa e Nord America. Deindustrializzazione, esuberi, de-sindacalizzazione, stagnazione dei salari, servizi sociali ridotti e sottofinanziati, fatiscenti infrastrutture fisiche, hanno generato comunità operaie afflitte e senza speranza. I segni onnipresenti del degrado sociale - abuso di alcol e droga, suicidio, violenza, stili di vita malsani - hanno accompagnato la globalizzazione in questi paesi.

Il crollo del 2007-2008 ha portato la miseria nelle comunità della classe operaia, con aspre conseguenze politiche. I partiti politici borghesi e socialdemocratici di Europa e Nord America non sono stati in grado di contenere la rabbia e la frustrazione della maggior parte dei lavoratori. Inoltre, l'era post-sovietica di allontanamento dal marxismo ha visto la maggior parte dei partiti politici abbracciare i duri principi del fondamentalismo del mercato e le politiche commerciali a livello mondiale. La cosiddetta era della globalizzazione ha coinciso distintamente e significativamente con l'ascesa dei "Nuovi" Democratici, del "Nuovo" sindacalismo, dei "Nuovi" Socialisti, i propugnatori di "sinistra" del fondamentalismo di mercato. Il loro predominio nei rispettivi partiti ha portato allo smantellamento degli ultimi scampoli di statalismo sociale.

A parte qualche Partito Comunista di massa rimasto, impegnato a spazzare il capitalismo nella pattumiera della storia, i lavoratori sono stati lasciati senza scelte reali, nessuna alternativa ai partiti dediti al libero mercato, al successo di impresa e allo slogan decisamente superato che "siamo tutti sulla stessa barca".

Per entrare in questo vuoto, per presentare una alternativa ai lavoratori, per stabilire una testa di ponte della classe operaia, sono sorte nuove figure e formazioni politiche in tutta Europa e Nord America. Presentando una alternativa nazionalista all'internazionalismo della globalizzazione, promettendo posti di lavoro sulla base della protezione delle frontiere dai lavoratori stranieri e dal commercio globale, evocando immagini di una perduta età dell'oro, i politici e i partiti hanno contestato l'ideologia monolitica delle relazioni di mercato e dello scambio globale senza restrizioni, che ha portato un tale dolore alle classi lavoratrici.

Questa amalgama imbarazzante di nazionalismo di destra e retorica populista ha guadagnato interesse negli ultimi anni e solo a causa della difficoltà dei partiti tradizionali di rompere con i dogmi del fondamentalismo di mercato e il fallimento della sinistra di creare una alternativa. I deboli tentativi dei socialdemocratici di evocare i ricordi lontani dello stato sociale sono caduti nel vuoto. Allo stesso modo, l'utopica vaga democrazia radicale a cui ci si è rivolti in un'ispirazione anarcoide, non offre alcuna visione alternativa alle relazioni economiche capitalistiche.

Nello scenario di due partiti politici borghesi con un nucleo sovrapponibile di impegni verso la stessa filosofia economica fallimentare, non dovrebbe sorprendere che la prima elezione di successo di una destra "populista" si sia verificata negli Stati Uniti. Trump rappresenta un'alternativa in tempi disperati, una falsa alternativa, ma non di meno un'alternativa.

Per gli europei, Trump offre un assaggio del carattere contraddittorio del pastone nazional-populista. Come dimostra il primo mese di Trump, non vi è alcun contenuto di "populismo" al di là dell'ossequio al capitale monopolistico, degli ammiccamenti alle piccole imprese e delle occasionali battute ad effetto per la classe operaia. Tutti i benefici per la classe operaia si suppone possano provenire dalla chiusura delle frontiere alle merci, sia umane (forza-lavoro) che materiali (importazioni).

Certamente, l'alternativa nazionalista alla mercificazione e alla globalizzazione, fallirà. Nella migliore delle ipotesi, si intensificheranno le rivalità competitive nel breve periodo, creando grandi vincitori e grandi sconfitti. Ma alla fine, il nazionalismo economico costerà all'economia globale in termini di crescita e disuguaglianza.

Si deve notare, tuttavia, che la feroce lotta contro Trump e le prossime lotte politiche per impedire ai partiti nazionalisti di raggiungere il potere in Europa sono tragicamente sbagliate se mirano semplicemente a riprodurre le disastrose politiche del fondamentalismo del mercato e della globalizzazione che hanno prodotto Trump e le sue controparti.

Solo qualcosa di diverso dalla falsa scelta tra l'internazionalismo di mercato o il gretto nazionalismo guidato dalla paura risparmierà alla classe operaia altro dolore. Le due ideologie che contestano l'egemonia globale sono solo due versioni, due facce dell'imperialismo.

La nostalgia per un tempo perduto, impossibile da recuperare, il capitalismo mitigato dal welfare di stato, non servirà alla sinistra nei periodi di crisi. Invece, abbiamo bisogno di realizzare una audace alternativa socialista.


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