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- pensiero resistente - movimento comunista internazionale - 28-03-11 - n. 357
Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
L'imperialismo e le rivoluzioni socialiste oggi. Sulla questione delle cosiddette vie nazionali al socialismo
Contributo del PCM alla conferenza organizzata nell'ambito del IV Congresso del PCM
10/03/2011
Intervento del compagno Marco Vinicio Dávila.
Compagni:
La questione è importante nell’elaborazione della strategia del Partito Comunista del Messico, poiché prendiamo in esame quella posizione che fu egemone tra i partiti della classe operaia del nostro paese a partire dal 1956.
La strategia delle vie nazionali al socialismo fu predominante all’interno del movimento comunista dal XX Congresso del PCUS, nel quadro delle tesi sulla coesistenza pacifica e il policentrismo. Fu una conclusione scaturita dalla mancanza di una strategia omogenea per fronteggiare l'imperialismo e di una valutazione non-dialettica dei rapporti di forza a livello internazionale.
In pratica, i partiti che hanno sostenuto con più forza e portato alle estreme conseguenze tale analisi entrarono in una profonda crisi di identità, con mutamenti ideologici e organizzativi, finendo poi per assomigliare sotto molti aspetti alla socialdemocrazia della Seconda Internazionale nel suo periodo di decomposizione. Furono i promotori dell’opportunismo contemporaneo, con l’eurocomunismo come una delle sue manifestazioni, e appoggiarono in molti casi la controrivoluzione degli anni 1990. Allo stesso modo, oggi alcuni di loro sono parte del Partito della Sinistra Europea, partito che mette insieme opportunisti e riformisti.
In America, su tali premesse, andò sviluppandosi una collaborazione con la cosiddetta "borghesia nazionale", abbandonando lo sviluppo del Partito Comunista come organizzazione autonoma e indipendente, per privilegiare fronti pluriclassisti impegnati su obiettivi intermedi tra capitalismo e socialismo, come la democrazia nazionale, la democrazia popolare, ecc.
Si trascura di considerare che il policentrismo e le cosiddette vie nazionali al socialismo sviluppate nel quadro prodotto dal XX Congresso del PCUS, causarono una disgregazione del Movimento comunista internazionale generando esperienze che entrarono in crisi ancora prima della controrivoluzione iniziata da Gorbachev. Tale è il caso della corrente opportunista e revisionista conosciuta come eurocomunismo e che conobbe una certa popolarità in termini di crescita elettorale dei partiti comunisti di Italia e Francia. Questa corrente non includeva solo il PCI e il PCF, ma anche il Partito Comunista di Spagna e fu adottata, tra gli altri, anche dal Partito Comunista Messicano. Tra le altre caratteristiche, tali posizioni si distinguevano per una politica aggressiva in vista di uno smarcamento dal PCUS e dal movimento comunista. Il concetto, in quanto tale, fu un fenomeno temporaneo, entrato in disuso con il declino elettorale del "compromesso storico" e del "socialismo con i colori della Francia", ma si prolungò senza dubbio nella politica di quei partiti, che avevano già abbandonato i principi elementari che separano il comunismo dalla socialdemocrazia, il marxismo-leninismo dall’opportunismo, per esempio riguardo la dittatura del proletariato, il centralismo democratico, l'illusione - propria delle tesi di Bernstein e della degenerazione della Seconda Internazionale - nel parlamentarismo e nella difesa delle istituzioni con l’abbandono del progetto di Rivoluzione. Il calcolo fatto da questi opportunisti consiste nel fatto che dall'abbandono dei principi deriverà una maggiore quantità iscritti (1) e molti più voti in termini elettorali. Tuttavia i fatti, che hanno sempre la testa dura, dimostrarono che per contro la struttura di queste organizzazioni venne minata e corrosa conducendole ad una crisi in anticipo sui tempi della Perestrojka, tuttavia non slegata dal processo controrivoluzionario (2). Senza trarne le dovute conseguenze, queste idee adattate dalle tesi di Carrillo, Marchais e Berlinguer si estesero, e con esse la crisi, nella "mutazione" che Robert Hue espose al PCF trasformandolo in un partito di cittadini e una casa comune, e in Italia nel Partito della Rifondazione Comunista, soprattutto nella tesi avanzate da Fausto Bertinotti al V Congresso nazionale di Rimini nel 2002, che condannavano l’esperienza della costruzione del socialismo nel XX secolo. Certamente non facciamo derivare il saldo negativo a partire dalle sconfitte elettorali, che paradossalmente influirono sull’abbandono dell'identità, ma dall'indebolimento dell’influenza sulla classe operaia e il movimento popolare.
Oggi su tale questione ci troviamo di fronte non a un dibattito sulla strategia, ma al bilancio di una esperienza fallimentare, che non ci ha resi più vicini alla meta, il socialismo, e che in alcuni casi, come in Messico, ha azzerato il lavoro di organizzazione di classe del movimento operaio.
Dobbiamo sviluppare ulteriormente lo studio dell’esperienza della Internazionale Comunista, che chiaramente fornì un contributo positivo ma, sulla base di alcuni errori, vide sorgere nel cuore stesso del movimento comunista un culto per le particolarità e le specificità nazionali.
Il marxismo-leninismo, la teoria del comunismo scientifico, lotta incessantemente contro il dogmatismo e consiste nello studio e assimilazione del nuovo, come del fatto concreto, che è mutevole, unito alla generalizzazione dell'esperienza. Uno dei suoi contributi è la valutazione delle generalità, delle regolarità del processo sociale, della lotta di classe.
Le rivoluzioni sociali nella storia, e naturalmente le rivoluzioni proletarie nella nostra epoca, aperta con l'avvento dell'imperialismo e la vittoria della rivoluzione socialista d'Ottobre, si sono sviluppate sulla base di leggi generali e regolari, indipendentemente dalla loro specificità.
Gran parte della lotta di Lenin e dei bolscevichi, come di Rosa Luxemburg, contro la degenerazione della Seconda Internazionale è stata messa da parte con la questione delle vie nazionali. Bernstein prima, poi Kautsky e tutti i suoi seguaci snaturalizzarono il marxismo in un punto fondamentale: la teoria dello Stato e la dittatura del proletariato, nella questione della riforma opposta a rivoluzione e nella non comprensione del fatto che il capitalismo si era gettato alle spalle la libera concorrenza ed era entrato nella fase di monopolio, che condusse anche ad errori criminali nella questione coloniale e nella Prima guerra mondiale. In molti modi la questione delle vie nazionali, delle "strade originali" operò come un processo di socialdemocratizzazione, confusione e fallimento dei vari partiti comunisti.
Collegata a tale questione delle vie nazionali c’è la teorizzazione del socialismo con appellativi: socialismo "democratico", socialismo “del XXI secolo", socialismo “alla messicana” e una sequela di nozioni che hanno in comune il rifiuto dell’esperienza della costruzione del socialismo iniziato in URSS, ed in generale una messa in discussione della teoria marxista-leninista del socialismo scientifico.
Nonostante la "originalità" e "creatività" delle strade nazionali, condividono le stesse premesse che proviamo a elencare:
- La questione della mitigazione sul fronte ideologico della critica alla socialdemocrazia, considerata composta da un’ala destra e un’ala sinistra con la quale era possibile costruire alleanze e che, infine, in contrasto con la "destra" portò alle posizioni del "male minore" e a coalizioni politiche ed elettorali in cui il discorso prevalente è sempre ruotato sull’abbellimento del capitale.
- La questione delle alleanze e il fronte con i cosiddetti settori della borghesia nazionale che pregiudicò, con le gravi conseguenze che patiamo oggi nella perdita di indipendenza del movimento operaio e nell'autonomia e costruzione del partito comunista
- La questione del culto della democrazia formale e del parlamentarismo, compiendo un passo indietro nello sviluppo storico delle manifestazioni del potere proletario espresso nella Comune di Parigi e nei soviet, assolutizzando la democrazia persino in contrapposizione al socialismo e convertendo tali partiti in guardiani dell’ordine borghese.
- La questione della assolutizzazione della forma di lotta pacifica e del gradualismo riformistico in opposizione alla collaudata strategia del movimento comunista di combinare tutte le forme di lotta, il rifiuto della violenza rivoluzionaria come la levatrice della Storia e della preminenza dell’analisi di fase, caratterizzata sempre da un calcolo di contabilità elettorale.
Compagni,
in Messico imperò dalla fine degli anni 1950 in quasi tutte le organizzazioni politiche della classe operaia la "via messicana al socialismo". Come argomentavano i suoi sostenitori?
Il Messico era un paese semi-coloniale, con rapporti di profonda dipendenza dagli Stati Uniti, quando lo sviluppo capitalistico era già evidente.
Il Messico come prodotto della rivoluzione democratico-borghese del 1910 ha sviluppato uno Stato con particolarità che lo collocano al di sopra delle classi e che interviene nel conflitto tra capitale e lavoro a favore dei diritti dei lavoratori sanciti dalla Costituzione del 1917. Per cui l'alleanza della classe operaia con tale Stato fu sviluppata e nel periodo Cardenista degli anni 1934-1940, i sindacati furono corporativizzati dallo Stato, ingenerando il fenomeno del “charrismo” sindacale [che consiste nel porre con metodi mafiosi, attraverso la repressione e l’assassinio, le direzioni sindacali al servizio della Confindustria e dello Stato borghese, NdT] e la perdita di indipendenza del movimento operaio.
Si è ritenuto che la borghesia avrebbe usato lo Stato per sviluppare l'economia (nazionalizzazione, espropri, sviluppo delle infrastrutture, dell’istruzione, ecc.) come argomento caratterizzante di una forte borghesia nazionale, opposta nei suoi interessi al capitale straniero e in particolare a quello nordamericano. Prescindendo dal fatto che tale politica fosse necessaria per lo sviluppo del capitalismo nel nostro paese. Ciò significa che la "borghesia nazionale" non agiva che in base al proprio beneficio, in modo tale da non potersi alleare con il capitale monopolistico straniero, trovando nella classe operaia un partner ideale per lo sviluppo delle forze produttive che hanno permesso la nascita e il rafforzamento dei monopoli nazionali, ma che per questo ha dovuto fare concessioni che in ogni caso sarebbero state, e furono, temporanee.
Si è ritenuto che la politica di nazionalizzazione del settore statale dell'economia, che raggiunse quasi il 70% dell'industria e dei servizi, fosse un cammino verso il socialismo, allargando la base di appoggio a tali misure.
Si è considerato il rispetto della Costituzione e l'allargamento della democrazia come basi della formazione politica delle grandi masse.
Si è assolutizzata la via pacifica con due argomentazioni: quella geografica, per la vicinanza agli Stati Uniti; quella storica, per il sangue versato nella guerra civile del 1910-1917 in cui le vittime stimate sono un milione.
I risultati sono evidenti:
I processi di centralizzazione e concentrazione capitalistica sviluppati dalla borghesia che trionfò nella lotta armata nel 1910, e identificati come una opposizione alle interferenze dei monopoli ha condotto le organizzazioni di classe a innalzare come propria bandiera la difesa del processo di sviluppo capitalistico.
Riassumendo, possiamo affermare che la via messicana al socialismo subordinò gli interessi della classe operaia agli interessi della borghesia trionfante nella rivoluzione messicana del 1910-1917, il cui compito è stato lo sviluppo delle forze produttive, nel senso dello sviluppo capitalistico globale e l'integrazione, giunto il momento, ad esso nella sua fase imperialista. Ma nel contesto del Messico post-rivoluzionario e in quello globale ha dovuto fare concessioni alla classe operaia, cosa che ha fatto ritenere ai dirigenti dell’epoca che fosse possibile far giungere alle "estreme conseguenze" il processo rivoluzionario. Cioè, a sviluppare la via messicana al socialismo, che aveva tra le altre caratteristiche due fasi intermedie, la democrazia nazionale e la democrazia popolare, per giungere al momento in cui il nostro popolo avrebbe deciso di raggiungere il socialismo.
Oggi, con altro linguaggio e altre caratteristiche, questo stesso argomento viene presentato dalle forze della "sinistra" che rappresentano o che si riuniscono attorno a López Obrador, quindi non è un caso l’appoggio a questi di Carlos Slim e altri grandi capitalisti messicani. Il suo programma che si riassume nella tutela e rinvigorimento del mercato interno delle grandi transnazionali, nasconde in realtà che ci sono monopoli messicani che sfruttano ugualmente lavoratori nazionali e di altri paesi, ma ignora anche il fatto che nell’epoca dei monopoli, vale a dire nell'epoca dell'imperialismo, non si può avere un mercato nazionale. Ignorando inoltre che le contraddizioni con i monopoli di altri paesi non rende la borghesia messicana nazionalista né patriottica, né migliore in rapporto a loro, tornando così a subordinare la classe operaia ed i lavoratori in generale agli interessi della borghesia.
Oggi, il PCM, operando una revisione critica di questa impostazione programmatica, con i nuovi elementi che ci fornisce la realtà, alla luce del marxismo-leninismo, intraprende la costruzione collettiva di un nuovo programma per la classe operaia nell'epoca dell'imperialismo, nell’epoca delle rivoluzioni socialiste.
1 Di per sé, già il concetto di iscritto è alieno al partito di tipo nuovo che Vladimir Ilich Lenin espose e difese di un’organizzazione di rivoluzionari professionali, di militanti.
2 In questo senso condividiamo la Risoluzione sul Socialismo adottata dal XVIII Congresso del Partito Comunista di Grecia che approfondisce l'analisi critica sulla controrivoluzione, collocandola tra gli altri aspetti nel rapporto esistente tra economia e politica e il dibattito verificatosi in URSS sul ruolo del mercato a cavallo tra gli anni 1940 e 1950, dibattito riassunto in una delle ultime opere di I.V. Stalin, Problemi economici del socialismo in URSS.
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