www.resistenze.org - pensiero resistente - movimento comunista internazionale - 24-03-13 - n. 446

La situazione nel mondo arabo e in Medio Oriente alla luce del fallimento di tutte le soluzioni alla crisi capitalista
 
D. Marie Nassif-Debs (PCL) * | solidnet.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
19/03/2013
 
Introduzione
 
La crisi capitalista continua e si intensifica non solo in Europa, ma anche e soprattutto negli Stati Uniti. Nonostante tutti i tentativi, politici ed economici che hanno mirato, durante gli anni 2011-2012, a trovare un'uscita sicura dalla recessione galoppante e dal crollo del PIL, il debito pubblico, in crescita, continua a sfuggire al controllo delle leggi economiche borghesi. Questa crisi, che ha trascinato nella sua scia la Grecia e gli altri paesi PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Spagna), ha effetti sempre più virulenti sul resto del mondo, soprattutto nei paesi del Sud del pianeta, che le potenze capitaliste si disputano per farne "riserva di caccia" sia per le ricchezze che celano (petrolio, gas, metalli preziosi e soprattutto, terreni fertili e risorse idriche), sia in qualità di mercati di sbocco per i loro prodotti.
 
1 - Tendenze globali 2030
 
Queste osservazioni sono presenti nella relazione pubblicata a fine 2012, dalle 16 agenzie della CIA e chiamata "Global trends 2030" (Tendenze globali 2030).
 
In effetti, la relazione cita la presenza di 6 variabili che potrebbero determinare l'evoluzione, nel prossimo futuro, del sistema capitalista. La prima variabile parla di un'economia sempre in crisi, mentre le altre richiamano l'attenzione sulle "instabilità regionali", la "recrudescenza dei conflitti", la "caduta di regimi prestabiliti", l'influenza "delle nuove tecnologie" e, infine, il "ruolo degli Stati Uniti" in tutto questo. Ciò che ci interessa di questi argomenti sono soprattutto le questioni poste dalla CIA per ogni variante che chiama l'amministrazione di Barak Obama a "pensarci sopra".
 
Fra queste questioni, ne abbiamo scelte tre che hanno un legame con la nostra regione.
 
- La prima è: i governi (leggi: le potenze capitaliste) e le istituzioni internazionali (ovvero il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la Banca Mondiale e il FMI), attualmente sarebbero capaci di adattarsi rapidamente per sfruttare i cambiamenti a proprio vantaggio o si faranno sopraffare da questi?
 
- La seconda è: la presenza di eserciti mondiali (la NATO) e regionali, soprattutto nel Medio Oriente e in Asia meridionale, avrebbe per conseguenza quella di creare uno stato d'instabilità sul piano internazionale?
 
- La terza è: gli Stati Uniti potrebbero collaborare con nuovi partner nella riorganizzazione del Regime mondiale e potrebbero crearsi nuovi ruoli in un Regime mondiale che va allargandosi (ovvero dopo la creazione del secondo polo, i BRICS)?
 
Questa scelta è chiara, perché mostra che l'imperialismo statunitense ha scelto i suoi obiettivi futuri o ha ribadito le sue scelte e che la nostra regione costituisce sempre il nocciolo duro nella strategia statunitense, non soltanto per la sua importanza sul piano energetico (fonti e vie principali di petrolio e gas), ma anche a causa della sua importanza geostrategica tra il Mediterraneo e l'Oceano Indiano ed anche per la sua prossimità con la Russia e l'Iran (la Turchia) e la Cina, tanto più che queste due grandi potenze "emergenti" fanno ombra al leader capitalista, tanto in Asia che in Africa.
 
Questa scelta significa anche che, se leggiamo bene le prime due questioni, la seconda in particolare, il mondo arabo in fermento negli ultimi due anni è già stato scelto come destinazione favorita delle guerre future, sull'esempio di ciò che è avvenuto in Libia e le cui avvisaglie si trovano nell'appoggio incondizionato che gli amici di Washington, l'Arabia Saudita e Qatar in particolare, senza dimenticare la Turchia, forniscono alle forze islamiche fondamentaliste che combattono a quanto pare, in Afghanistan o in Mali.
 
2 - La situazione in Medio Oriente
 
In primo luogo, una messa a punto sul piano della terminologia.
 
Cosa avviene nel mondo arabo? Perché alcuni parlano di "primavera" e altri, al contrario, di "inverno"? Dobbiamo subito chiarire che ci sono molte differenze tra ciò che è avvenuto in Tunisia e in Egitto e ciò che avviene in Siria e che le divisioni religiose in Bahrein, non hanno alcuna relazione con il sollevamento del popolo yemenita.
 
Che cosa è una rivoluzione per un marxista o un marxista-leninista? Non è forse la volontà di un cambiamento radicale diretto dalla classe operaia, direttamente o attraverso i partiti che la rappresentano…Quindi, un cambiamento sociale, di classe?
 
Se prendiamo per esempio la Tunisia e l'Egitto, siamo dinanzi ad un tentativo di cambiamento rivoluzionario che non si è ancora realizzato, che è combattuto e che l'imperialismo tenta di recuperare, "di sfruttare a proprio vantaggio"; ma è comunque una rivoluzione condotta da un'alleanza tra i rappresentanti della classe operaia (PC Egiziano, Nasseristi di sinistra, sindacati) e i rappresentanti della piccola borghesia (dirigenti, intellettuali democratici). I loro slogan costituiscono un programma per il futuro: "pane, libertà, giustizia sociale, dignità umana". "I fratelli musulmani" hanno aderito a questo progetto dopo che ha preso corpo e per utilizzarlo meglio. Ma, sono rapidamente falliti e ciò che accade in quest'ultimi giorni tanto in Egitto che in Tunisia, mostra chiaramente che il processo iniziato è lungi dall'essere recuperabile, nonostante tutto il denaro speso.
 
Una volta aver puntualizzato questo, dobbiamo aggiungere che, non essendo i rapporti di forza internazionali a vantaggio delle forze del cambiamento, in generale, è comprensibile che queste forze avanzino ed arretrino… ma per lanciarsi meglio. È quello che alcuni partiti o regimi progressisti sul piano internazionale non vedono o rifiutano di vedere: quegli stessi partiti che avevano già sostenuto regimi di dittatura chiamati, a quanto pare, antimperialisti come la Libia, l'Iraq o la Siria, mentre questi regimi raccomandavano la politica del terrore e della repressione contro i comunisti ed altre forze democratiche. Quello che oggi non si comprende molto bene è ciò che avviene, poiché mettendoci deliberatamente di fronte ad un falso dilemma: tra il male (i regimi di dittatura che hanno seguito, da più di 50 anni, una politica di flirt con le potenze imperialiste) ed il peggio (i salafiti sostenuti da questo stesso imperialismo), dovremmo scegliere il male minore.
 
Tale è la situazione in Siria, ad esempio.
 
Tuttavia, ci occorre dire che, purtroppo, l'irreparabile è già stato fatto. Il regime di Bashar Assad ha perso molte possibilità di poter aprirsi una via d'uscita chiamando l'opposizione democratica e pacifica a trattare, senza neanche almeno sgravarla di una zavorra; ecco perché, dopo 2 anni di crisi, la Siria segue l'esempio dell'Iraq che continua a subire i tormenti della guerra religiosa e va verso la divisione in tre stati. E pensiamo che il ruolo della Russia, leader del secondo polo, vada piuttosto nel senso del suo dominio sulla Siria e non di una soluzione politica reale; la Russia di Putin, non è la Russia di Lenin. E, se osserviamo bene la mappa degli scontri delle ultime settimane, vediamo chiaramente che disegnano i confini dei mini-stati che entrambe le parti si spartiranno. Senza dimenticare che il ritorno al confessionalismo è andato molto avanti ed i suoi effetti sono visibili nei paesi di frontiera con la Siria. Tale è la situazione della Turchia sotto il controllo di Erdogan, che vuole ritornare all'Impero ottomano utilizzando l'arma sunnita, e quella del Libano, che è nella mischia della crisi siriana, suscettibile di una nuova guerra civile tra sciiti e sunniti, una guerra latente ma non lontana purtroppo, poiché delle esplosioni armate segnano con la loro impronta mortale tutte le regioni, in particolare i due confini settentrionali e orientali e soprattutto a causa dell'infiltrazione di gruppi detti "jihadisti" di cui il movimento "An Nousra", fratello siamese di Al Qaeda, costituisce l'avanguardia (alcuni parlano di molte centinaia di questi di jihadisti nel solo campo palestinese di Ain al-Hilweh).
 
Dunque, due correnti si affrontano oggi in Medio Oriente, una che tenta di trascinare i popoli arabi verso il loro destino con l'utilizzo dell'arma religiosa, l'altra (più debole) che va verso il cambiamento proseguendo sulla strada delle sollevazioni popolari. Ed il ruolo del movimento della sinistra e dei progressisti si trova nella seconda tendenza; da qui, spetta ai partiti comunisti ed operai sul piano internazionale rendersi solidali con i partiti comunisti arabi, ma anche con il "Forum della sinistra araba", creato su iniziativa del PCL alcuni mesi prima delle prime rivolte e che raccoglie attualmente 23 partiti che operano in 11 paesi arabi, dalla Tunisia al Marocco e al Sudan e che attraversano l'Egitto, la Giordania e la Palestina per andare nel golfo (Bahrein e Kuwait) e ripassare dall'Iraq verso la Siria ed il Libano.
 
3 - La causa palestinese
 
In questa situazione complessa, la causa palestinese passa inosservata, sebbene il popolo palestinese subisca una colonizzazione molto scrupolosa, soprattutto attorno ad Al Quds; e la seconda visita di Barak Obama nella regione, successiva a quella del suo ministro degli esteri James Kerry, avrà tuttavia, molto più della prima, un impatto certo sulla Palestina ed sul resto del mondo arabo.
 
Durante la sua prima visita, Obama aveva evocato la necessità di dare agli ebrei uno Stato sicuro e in pace con i suoi vicini, accogliendo così l'idea di uno Stato ebraico nel mondo. La sua attuale visita riguarda due obiettivi: il primo consiste nella realizzazione di questo Stato, dopo avere tentato di impedire il riconoscimento da parte dell'ONU della Palestina come Stato osservatore; il secondo, più pericoloso, mira a studiare il ruolo futuro di questo "Stato degli ebrei" in un mondo arabo senza grande possibilità di difendersi (scomparsi, uno dopo l'altro, gli eserciti che avevano fatto le guerre contro Israele) e dove si sono appena scoperti nuovi giacimenti di gas e di petrolio, in particolare in Libano. Questi fatti e vista la situazione di crisi continua nel mondo capitalista, li spingono a dire che il ruolo di Israele sarà rafforzato per aiutare l'imperialismo, statunitense soprattutto, a uscire dalla crisi, aprendo nuove porte senza doversi mettere in gioco. Ciò ricorda un po' gli anni che hanno seguito la prima guerra mondiale e i "principi di Wilson", con la politica dei mandati accordati a Gran Bretagna e Francia in Medio Oriente per un piccolo lasso di tempo, per "pacificare" la regione prima di metterci le mani sopra. Non è ciò che traspare oggi, dopo la Libia, in Siria, dove la Francia, la Gran Bretagna e in parte la Turchia, hanno il ruolo guerriero, mentre gli statunitensi continuano i negoziati.
 
Siamo dinanzi ad un nuovo Sykes-Picot?(accordo segreto Sykes-Picot del 1916 con cui Gran Bretagna e Francia divisero il Medio Oriente in sfere di influenza: attuali Libia e Siria alla Francia, il resto alla Gran Bretagna, con la Palestina amministrata congiuntamente. Ndt) O piuttosto il progetto del "Nuovo Medio Oriente" sarebbe il nuovo Sykes-Picot secondo il disegno tracciato da Zbigniew Brzezinski nel suo libro "La grande scacchiera"?
 
Poco importa.
 
I due progetti sono quasi gli stessi. Il loro risultato sarà lo stesso, se noi lasceremo fare: la scomparsa del mondo arabo in guerre senza fine e, naturalmente, la scomparsa della Palestina per sempre. Ciò vuole dire anche che né la Turchia, né le altre grandi potenze della regione saranno risparmiate. Anche loro dovranno subire divisioni. Ciò ci spinge a dire che la nostra responsabilità è grande, per noi partiti comunisti ed operai del Medio Oriente.
 
Questa responsabilità consiste nell'operare rapidamente per formare un'alleanza il cui scopo sarà di impedire qualsiasi nuovo intervento straniero, in Siria o altrove, ma anche di lottare tutti insieme, con le forze della sinistra del mondo arabo e della regione per forzare i nostri paesi a smantellare le basi militari della NATO e, allo stesso tempo, ritirarsi da questa organizzazione imperialista che da noi non ha fatto altro che seminare morte e distruzione. Non è così che si realizza la sovranità?
 
A ciò dobbiamo aggiungere la democratizzazione delle nostre società (in particolare il rifiuto di qualsiasi relazione tra le confessioni religiose e gli Stati, il rifiuto di applicare la sharia o qualsiasi altra legge religiosa) e delle nostre economie che, viste le ricchezze che la nostra regione cela, devono basarsi sui due settori produttivi essenziali, pur attribuendo più importanza alle campagne, ai contadini che sono i più poveri fra i poveri, ma anche più grande attenzione alle risorse idriche.
 
Penso che non sia azzardato dire che ora siamo ai piedi del muro. O sappiamo come far fronte, o saremo schiacciati ed i nostri popoli con noi.
 
Giovedì, 7 marzo 2013
 
(*) Vice Segretaria generale del Partito Comunista Libanese (PCL), Responsabile delle Relazioni internazionali
 

Resistenze.org     
Sostieni una voce comunista. Sostieni Resistenze.org.
Fai una donazione o iscriviti al Centro di Cultura e Documentazione Popolare.

Support a communist voice. Support Resistenze.org.
Make a donation or join Centro di Cultura e Documentazione Popolare.