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23° IMCWP: Discorso di apertura del Partito Comunista di Turchia

Partito Comunista di Turchia (TKP) | solidnet.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

14/10/2023

23° Incontro Internazionale dei Partiti Comunisti e Operai

20-22/10/2023, Izmir (Smirne),Turchia

Sul tema: Le battaglie politiche e ideologiche per affrontare i capitalisti e l'imperialismo. I compiti dei comunisti di informare e mobilitare la classe operaia, i giovani, le donne e gli intellettuali nella lotta contro lo sfruttamento, l'oppressione, le menzogne imperialiste e il revisionismo storico; per i diritti sociali e democratici dei lavoratori e dei popoli; contro il militarismo e la guerra, per la pace e il socialismo.

* * *

Discorso di apertura del segretario generale Kemal Okuyan a nome del Comitato Centrale del TKP, 20 ottobre 2023

Cari compagni,

Dopo quattro anni eccoci di nuovo a Izmir. A nome del Comitato Centrale del Partito Comunista di Turchia e dei suoi membri, desidero dare il benvenuto a tutti voi. Spero che il 23° Incontro Internazionale dei Partiti Comunisti e Operai, che oggi inauguriamo, sarà proficuo, aperto e fruttuoso, proseguendo il successo ottenuto dal 22° Incontro tenuto l'anno scorso all'Avana con il prezioso contributo dei compagni cubani.

Cari compagni e lavoratori della stampa,

Il 7 ottobre, dopo l'incursione dei combattenti della resistenza palestinese contro Israele e la successiva crescente aggressione israeliana, l'ambasciatore israeliano ha ringraziato il popolo turco. E come ci siamo meritati questa gratitudine? Erdoğan, che in precedenza aveva tuonato contro Israele a ogni occasione, questa volta ha utilizzato un linguaggio assai morbido e ha invocato moderazione. Ma l'ambasciatore israeliano non parlava del governo della Turchia, bensì del suo popolo. Se ci ha detto «grazie» è perché in Turchia, un Paese noto per la diffusa simpatia verso la resistenza palestinese, si è registrato un netto aumento numerico di coloro che si schierano con Israele, e perfino alcuni settori della sinistra hanno pronunciato commenti contrari alla resistenza palestinese, con il pretesto di condannare Hamas.

Innanzitutto, desidero rendere omaggio alla legittima e giusta resistenza del popolo palestinese, e ribadire che chiediamo la fine immediata dell'occupazione e dell'aggressione israeliane. Il nostro incontro è soltanto all'inizio, ma ritengo non vi siano dubbi sul fatto che queste parole rappresentino l'atteggiamento comune di tutti i partiti fratelli qui presenti. La nostra determinazione rivoluzionaria e i nostri cuori sono con il popolo della Palestina.

Ma torniamo alla questione della gratitudine dell'ambasciatore israeliano. Il 7 ottobre è stata messa in atto un'operazione di manipolazione della percezione pubblica che ha coinvolto ampi settori della società turca. In modo estremamente sistematico, la questione palestinese è stata messa in ombra, Hamas è stata collocata in primo piano e, mediante l'uso di immagini in parte reali e in parte false, si è creata l'impressione che tutta la questione stesse nella «strage di "moderni" israeliani da parte di "barbari" jihadisti».

La posizione del Partito Comunista di Turchia riguardo a Hamas è chiarissima. Non abbiamo alcun dubbio sulle origini ideologiche, la missione, gli obiettivi e i legami internazionali di questa organizzazione. Ciononostante, il 7 ottobre il Partito Comunista di Turchia ha dichiarato immediatamente che la resistenza palestinese è legittima; siamo intervenuti per dissipare la confusione ingenerata nelle menti delle persone e, in una certa misura, siamo riusciti a contrastare la propaganda imperialista.

Cari compagni,

Ci troviamo di fronte a due problemi. Da un lato vi è il problema legato ai canali attraverso i quali ci rivolgiamo alla società e ai lavoratori, che è uno dei punti in agenda del nostro incontro. Tra breve farò riferimento a questioni quali i media, il terreno della lotta ideologica che influisce sugli orientamenti delle masse, la diffusione delle notizie e via dicendo. Ora, però, vorrei toccare un altro problema legato agli eventi in corso in Palestina.

Il problema è quello dell'Islam politico. Compagni, sarò franco - l'Islam politico è uno dei temi sui quali vi è maggiore confusione tra i partiti comunisti. Il marxismo è nato in Europa, ed è in Europa che si è sviluppato. Sebbene la rivoluzione russa rappresentasse in parte una sfida al marxismo europeo, i bolscevichi avevano da sempre un carattere occidentale. Questo è naturale - l'Europa era il continente in cui la classe operaia era maggiormente sviluppata in termini sia quantitativi sia qualitativi.

La questione religiosa non ha mai rappresentato un tema scottante per il marxismo, dal momento che secoli di lotte e riforme hanno indebolito l'influenza della chiesa. Benché in alcuni Paesi cattolici l'influenza economica, ideologica e politica della chiesa sia elevata, il cristianesimo non è mai assurto a tema cruciale del programma politico dei comunisti.

Nel mondo islamico la situazione è completamente diversa. L'Islam politico e la lotta per la laicità a esso contrapposta rappresentano da sempre una delle questioni più importanti. Non si tratta di una scelta, bensì di una necessità. Dal momento che l'Islam politico si è trasformato in un fenomeno interno diffuso a livello mondiale, specie in Europa, è giunto il momento di discutere questa questione nei dettagli.

L'Islam politico, in tutte le sue varianti, aspira a ridisegnare la società, la sfera pubblica, lo Stato e la politica in funzione di norme religiose. Di fronte a questa rivendicazione, non può esservi altra posizione che la difesa della laicità. È questa l'essenza della questione. I partiti comunisti devono tenere presente che questo non ha nulla a che fare con il rispetto per la fede individuale. Per esempio, il TKP da un lato recluta nelle sue file lavoratori religiosi, e dall'altro promuove con la massima determinazione e decisione la lotta per la laicità.

La lotta contro l'Islam politico è una questione di classe al cento per cento. Perché oggi l'Islam politico si è trasformato in un efficace strumento nelle mani delle classi dominanti, che se ne servono non soltanto per attaccare, dividere o controllare i lavoratori, ma anche per acquisire un vantaggio nella competizione interna al sistema imperialista.

In Europa e in Nord America, laddove le sue caratteristiche di classe non vengono colte, l'Islam politico viene interpretato in un'ottica orientalista come «rivolta anti-imperialista o perfino rivoluzionaria del mondo arretrato», oppure, come nel caso dell'ISIS, come barbarie medievale.

Mi rincresce di dover affermare che entrambi questi approcci ci inducono in errore. Va preso atto che l'Islam politico è una realtà importante del mondo contemporaneo, che si tratta fondamentalmente di un fenomeno di classe e di un problema che non può essere superato né con il romanticismo né con sentimenti di terrore.

Non permetteremo che la resistenza palestinese venga ridotta alla sola Hamas. Ma dobbiamo interrogarci sul perché la religione sia divenuta un elemento decisivo nella dinamica sociale del mondo islamico.

Compagni, la regressione verificatasi in Medio Oriente è dovuta in ultima analisi alla stessa ragione che ha causato il declino del movimento operaio nel resto del mondo odierno. Tale ragione si può riassumere nell'abbandono delle posizioni di classe e della prospettiva rivoluzionaria. Una delle cause più importanti, sebbene non l'unica, dell'ascesa del populismo di destra o di estrema destra nell'Europa contemporanea è costituita dal vuoto lasciato dalla sinistra. Il capitalismo genera continuamente problemi che richiedono risposte radicali. Lo stesso meccanismo è all'opera anche in Medio Oriente, che ha un passato storico, culturale e politico assai diverso. La politica non tollera spazi vuoti. La verità è che stanno scippando la collera dei poveri - e la stanno scippando a noi.

Non possiamo accettarlo. Nel momento stesso in cui mettiamo da parte l'attualità della rivoluzione, iniziamo a commettere errori. Prendere posizione contro gli USA senza porci l'obiettivo del socialismo ci induce a considerare l'Islam politico o le cosiddette borghesie nazionali come degli alleati; mettere la democrazia prima del socialismo ci induce spesso a collaborare con gli USA, con l'UE o con altre forze borghesi. È un circolo vizioso.

Questo circolo vizioso ci mette in trappola in Europa, in America Latina o in Nord America, esattamente come in Iraq, Afghanistan, Iran, Turchia, Egitto o Palestina.

Queste trappole sono talmente efficaci che alcune delle forze che collaborano apertamente e concretamente - e non soltanto ideologicamente - con gli USA vengono considerate alla stregua di «movimenti di liberazione nazionale», ed Erdoğan, un leader che da vent'anni rappresenta un buco nero per la classe operaia turca, viene descritto come «anti-imperialista».

Il marxismo-leninismo, tuttavia, rifiuta questi approcci frammentari. È vero, il mondo contemporaneo presenta dinamiche complesse e sfaccettate. Ma se mettiamo al centro la contraddizione di classe, se agiamo sulla base della premessa che non possa esservi alcun orientamento strategico diverso da una prospettiva rivoluzionaria socialista nel XXI secolo, se chiudiamo la porta a qualsiasi cooperazione temporanea o permanente con la classe borghese, se prendiamo una posizione chiara e netta sulla laicità e sull'anti-imperialismo, allora il movimento comunista finirà per rafforzarsi sull'arena internazionale, e perfino per trasformarsi in una forza egemone. Questo è il nostro punto di vista.

Cari compagni,

Riteniamo che oggi vi sia un problema analogo in relazione alla guerra in Ucraina. Siamo consapevoli del fatto che questa questione ha creato profonde divisioni tra i partiti comunisti; e in quanto partito che ospita questo incontro non intendiamo soffermarci su tali divisioni, né tanto meno inasprirle. Il nostro partito ha già condiviso le sue posizioni con voi e con l'opinione pubblica attraverso dichiarazioni, appelli e contributi ad altri documenti collettivi.

D'altro canto, devo affermare in tutta sincerità che riteniamo deplorevole che in una regione del mondo in cui il socialismo ha segnato un intero secolo, non soltanto come opzione forte ma anche come processo concreto di costruzione sociale, le posizioni dei comunisti si ritrovino oggi bloccate non sulla questione di classe, ma su quella nazionale.

Cari compagni,

Questo non implica naturalmente un'indebita semplificazione dei problemi da parte nostra. In tutto il mondo siamo di fronte a problemi complessi. Tale complessità richiede una presa di posizione ragionata e rivoluzionaria, oltre che abilità politica. Ma c'è una cosa che sappiamo per certa. I comunisti devono agire mettendo al centro la loro missione storica: la lotta per la democrazia, per la pace, per l'indipendenza, contro l'imperialismo acquista senso soltanto quando è collegata a questa specifica missione storica. Quest'ultima non può essere rimandata a un domani in cui potrebbero emergere condizioni più favorevoli. In questo contesto, dobbiamo ricordare che non si presenteranno mai condizioni più favorevoli.

Lo slogan «socialismo o barbarie» aveva un forte significato cento anni fa. E cento anni dopo, non possiamo permettere che la barbarie sia la sola opzione, priva di un'alternativa. Il capitalismo è barbarie in tutte le sue forme e in termini assoluti, e qualunque strategia mirante a guadagnare posizioni nel contesto del capitalismo è condannata al fallimento. L'unica strategia efficace oggi è la prospettiva della rivoluzione socialista, e qualunque progresso oggi va definito in funzione di tale strategia.

Solo così potremo liberarci dalle ombre del parlamentarismo borghese, del nazionalismo, dell'Islam politico, dei finanziamenti UE o dell'ideologia borghese. Solo così l'umanità non sarà costretta a scegliere tra Biden e Trump, tra Hamas e il sionismo, tra Zelenskiy e Putin, tra il regime dei mullah e gli USA, tra Erdoğan e l'opposizione borghese filo-Soros.

Compagni,

Sarebbe ingiusto attribuire il declino delle reazioni internazionali a decenni di atrocità perpetrate dagli israeliani in Palestina al solo carattere ideologico e politico reazionario di Hamas, che è ben noto in questa regione del mondo. I comunisti devono riflettere maggiormente sui canali di informazioni, in cui velocità e impatto acquistano sempre maggiore importanza. In quest'ambito, ogni ritardo ha avuto e continuerà ad avere pesanti costi. Dobbiamo riconoscere che una delle ragioni più importanti per cui oggi abbiamo difficoltà a costruire una strategia rivoluzionaria è l'enorme superiorità dimostrata dal capitalismo nella capacità di gestire le percezioni dell'opinione pubblica sullo scenario internazionale.

Sebbene la nostra arma principale per contrastare questa superiorità è l'organizzazione della classe operaia, è evidente che stiamo lasciando un numero crescente di giovani lavoratori alla mercé dei social media, di Netflix e piattaforme analoghe, degli influencer e della cultura pop.

Stiamo parlando di un limite che ci riduce al rango di spettatori in ogni frangente critico. È qualcosa che abbiamo sperimentato durante le guerre in Jugoslavia e in Iraq, e quindi in Libia e soprattutto in Siria, quando gli interventi militari sono stati giustificati mediante contenuti prodotti in centri istituiti dai britannici a Istanbul e altrove. Oggi siamo di fronte a un aperto e spregevole attacco contro il comunismo messo in atto dal governo ucraino, dietro il quale vi sono gli USA e la NATO. L'anticomunismo viene diffuso anche in Russia con metodi molto sofisticati. Per esempio, in quasi tutti i film e le serie TV sulla seconda guerra mondiale prodotti in Russia con l'assistenza o il sostegno delle istituzioni statali, gli ufficiali militari vengono ritratti come eroi, mentre i leader del partito e i commissari politici vengono rappresentati come egoisti, crudeli e brutali. Va riconosciuto che questi metodi sono più efficaci rispetto a un anticomunismo esplicito e rozzo.

Potremmo citare numerosi esempi anche in Turchia. Dobbiamo contrastare la delegittimazione del comunismo trasformandolo nuovamente in un'alternativa forte, liberandoci delle ombre fasulle proiettate su di esso, affrontando con serietà la guerra dell'informazione e cogliendo la sua relazione con l'intelligenza, con il nostro linguaggio, con la nostra produzione culturale.

Questo problema rappresenta una priorità e richiede lo stanziamento di risorse. È un problema che non può essere risolto né arrendendosi ai nuovi canali di informazione né ricorrendo a metodi macchinosi e superati. È inoltre un problema che non può essere risolto mediante sforzi condotti soltanto all'interno dei nostri singoli Paesi, poiché ha una dimensione internazionale. Riguardo a questa questione, il TKP ha avviato preparativi nell'ambito di varie piattaforme, ed è pronto a condividerli con i partiti interessati al problema e con i quali condividiamo un punto di vista comune.

Compagni,

Il 6 febbraio la Turchia è stata colpita da un forte terremoto che ha interessato anche la Siria. Sono morti decine di migliaia di nostri concittadini e alcune città sono state quasi completamente distrutte. Subito dopo il sisma, il TKP ha organizzato un'importante intervento di solidarietà in tutto il Paese, inviando squadre nei centri più colpiti. Con modalità che nemmeno i media borghesi hanno potuto ignorare, il nostro partito ha fatto e continua a fare ciò che avrebbe dovuto fare lo Stato. Poi vi sono state le elezioni, e il TKP ha ottenuto un numero di voti enormemente inferiore alla sua influenza politica, non soltanto a livello nazionale ma anche nella regione colpita dal terremoto - al punto che alcune voci non legate a noi nell'ambito dei media hanno accusato il popolo di «slealtà».

Il TKP, per contro, ha proseguito la sua opera senza alcuna recriminazione. Con pazienza e in linea con la sua strategia, il partito ha continuato a organizzarsi nei quartieri dominati dalle ideologie conservatrici, e ha aperto sedi e uffici a livello distrettuale. Abbiamo agito e continuiamo ad agire con pazienza, consapevoli del fatto che il motivo per cui l'impatto da noi creato non si è tradotto in voti è che il popolo lavoratore desidera e si aspetta «soluzioni immediate». Non siamo disposti a barattare la nostra forza organizzativa e la nostra influenza politica in cambio di qualche milione di voti. Talvolta questa organizzazione e questa influenza si traducono in voti, talvolta no. Ma vogliamo assicurarvi una cosa: dopo essere rimasto fuori legge per ottant'anni, il TKP è divenuto una realtà importante in questo Paese, e dopo vent'anni di lotta proseguiamo sulla nostra strada.

La Turchia è un Paese che ci pone innumerevoli difficoltà. Pur conservando il carattere di avamposto dell'imperialismo USA che lo denota da anni, il nostro Paese sta assumendo anche un carattere imperiale, neo-ottomano, che è il prodotto delle esigenze di espansione di una borghesia turca che si va rapidamente rafforzando. Obiettivi quali «prima la democrazia», «prima la questione curda», «prima la fine della dipendenza dagli USA», «prima la sconfitta dell'Islam politico» si annullano a vicenda, e ostacolano lo sviluppo indipendente del movimento della classe operaia. Per di più, stiamo assistendo ancora una volta a tentativi sempre più intensi di dichiarare illegittima la Repubblica di Turchia, fondata un secolo fa come elemento del fronte rivoluzionario e prodotto di una rivoluzione borghese. Il TKP si sta impegnando a fondo allo scopo di condurre il retaggio repubblicano del Paese in direzione del socialismo, su una direttrice completamente anti-capitalista.

D'ora in avanti, qualunque mutamento radicale in Turchia non potrà che avere un carattere socialista. Di questo siamo certi. Il prezzo di una nostra eventuale mancanza di preparazione quando le condizioni saranno mature sarà il trionfo della controrivoluzione. In un certo senso, la storia della Turchia è una storia di controrivoluzioni; ma possiamo interpretarla anche come una «gestazione della rivoluzione», e continueremo la nostra lotta in linea con la nostra missione storica.

Carichi di entusiasmo e di speranza per questa lotta, vi rivolgiamo un benvenuto amichevole, caloroso e fraterno.


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