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- pensiero resistente - movimento comunista internazionale - 25-11-24 - n. 916
L'atteggiamento della socialdemocrazia verso la guerra imperialista
Partito Comunista dei Lavoratori di Spagna (PCTE) * | iccr.gr
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
2024
Rivista Comunista Internazionale - Numero 13 - 2024
L'atteggiamento della socialdemocrazia verso la guerra imperialista
Ma con quanto più zelo il governo e la borghesia di tutti i paesi tentano di dividere i proletari aizzandoli gli uni contro gli altri, quanto più ferocemente si applica in tal nobile fine il regime dello stato d'assedio e della censura militare (...), tanto più improrogabile diviene il dovere del proletariato cosciente di difendere la sua unità di classe, il suo internazionalismo, le sue concezioni socialiste contro il baccanale dello sciovinismo della cricca borghese "patriottica" di tutti i paesi. Lenin, La guerra e la socialdemocrazia russa
1. Introduzione
La guerra imperialista che devastò l'Europa tra il 1914 e il 1919 segnò la rottura definitiva all'interno della socialdemocrazia, ovvero del movimento rivoluzionario marxista dei lavoratori sviluppatosi tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento.
La conseguenza principale di questa rottura politico-ideologica, in termini organizzativi, fu la creazione dell'Internazionale Comunista nel marzo 1919, dopo il trionfo della Grande Rivoluzione Socialista d'Ottobre in Russia che aveva dimostrato il successo della tattica dei bolscevichi - non soltanto del loro approccio rivoluzionario, ma anche, nello specifico, dell'integrazione in esso, quale aspetto cruciale, della lotta frontale contro la guerra imperialista.
Il crollo vergognoso dell'internazionale socialdemocratica rendeva necessario un cambiamento di nome, come evidenziano chiaramente i documenti del I Congresso del Comintern - da qui l'uso del termine "comunista" per differenziarsi completamente dalle posizioni che avevano portato i proletari del mondo a trasformarsi in carne da cannone a vantaggio dei capitalisti e dei loro governi.
Tuttavia, con il trascorrere degli anni, quelle stesse posizioni opportuniste che avevano minato la Seconda Internazionale hanno preso piede all'interno di numerosi partiti comunisti e operai. Oggi non è difficile trovare partiti sedicenti comunisti la cui prassi politica si differenzia soltanto sul piano retorico da quella dei partiti socialdemocratici che fanno parte dell'Internazionale Socialista.
Sulla questione della guerra imperialista e delle posizioni verso le alleanze imperialiste, è agevole riconoscere le distanze che separano i partiti socialdemocratici dalle posizioni rivoluzionarie. Non si tratta però di un fatto isolato, bensì di una conseguenza dell'accettazione a livello generale di tesi opportuniste - in particolare la negazione della lotta di classe e la concezione del capitalismo come via senza ritorno, priva di possibili alternative.
L'accettazione delle basi politico-economiche della società capitalista conduce inevitabilmente all'accettazione della "prosecuzione della politica con altri mezzi" - cioè della guerra. E ciò nonostante molti partiti della grande famiglia socialdemocratica si dichiarino teoricamente contrari alla guerra o ad alcune delle sue conseguenze - una triste riproposizione dei lamenti a cui diedero voce i leader socialdemocratici tedeschi o francesi poco dopo aver votato a favore dei crediti di guerra.
La posizione della socialdemocrazia contemporanea nei riguardi delle guerre è una posizione oggettivamente controrivoluzionaria. Mentre proclamano il pacifismo quale proprio principio-guida nei riguardi di qualunque fenomeno bellico, i socialdemocratici acconsentono alla partecipazione a guerre di rapina, contribuiscono a rafforzare le alleanze politiche, economiche e militari imperialiste e giustificano le guerre agli occhi delle masse. Al tempo stesso, si sforzano di negare la validità delle posizioni internazionaliste che, traendo insegnamento dall'esperienza storica del nostro movimento, sostengono che ogni guerra va valutata sulla base del materialismo storico e che, nell'era dell'imperialismo, le guerre sono generalmente collegate alla spartizione di mercati, fonti di materie prime, sfere di influenza e rotte di trasporto delle merci.
2. La guerra imperialista e l'atteggiamento dei comunisti
La guerra imperialista è il prodotto delle condizioni della fase imperialista dello sviluppo capitalista e viene condotta per lo sfruttamento politico ed economico del mondo, per il controllo dei mercati di esportazione, delle fonti di materie prime, delle sfere di influenza e gli ambiti di investimento dei capitali e delle rotte di trasporto.
Questa definizione riproduce nell'essenza la proposta di risoluzione avanzata dalla sinistra di Zimmerwald nell'agosto 1915, e quella approvata dalla Conferenza del Partito Operaio Socialdemocratico Russo (POSDR) all'inizio dello stesso anno. Se essa rimane valida a oltre un secolo di distanza è perché l'umanità non è ancora uscita dalla fase imperialista del capitalismo e perché ai giorni nostri i rapporti tra Paesi e alleanze continuano essenzialmente a basarsi sugli stessi termini di allora.
Il fatto che non si possa più parlare propriamente dell'esistenza di colonie nel mondo o che le potenze imperialiste europee abbiano perduto importanza nel corso di questi cent'anni non riduce affatto la validità di queste affermazioni. Non si può certo affermare che oggi le contraddizioni interne all'imperialismo o le crisi del capitalismo, che sono all'origine delle guerre imperialiste, siano venute meno.
L'esistenza dell'Unione Sovietica e del campo socialista durante gran parte del Novecento non sminuisce la validità di quanto affermato sopra, e soprattutto non smentisce che le due guerre mondiali del XX secolo abbiano avuto origine dall'inasprimento delle contraddizioni interne all'imperialismo.1
L'atteggiamento dei comunisti nei confronti della guerra imperialista è chiaro ed essenzialmente è lo stesso del 1914. Come osserva Lenin in Il socialismo e la guerra:
«I socialisti hanno sempre condannato le guerre fra i popoli come cosa barbara e bestiale. Ma il nostro atteggiamento di fronte alla guerra è fondamentalmente diverso da quello dei pacifisti borghesi (fautori e predicatori della pace) e degli anarchici. Dai primi ci distinguiamo in quanto comprendiamo l'inevitabile legame delle guerre con la lotta delle classi nell'interno di ogni paese, comprendiamo l'impossibilità di distruggere le guerre senza distruggere le classi ed edificare il socialismo, come pure in quanto riconosciamo pienamente la legittimità, il carattere progressivo e la necessità delle guerre civili, cioè delle guerre della classe oppressa contro quella che opprime, degli schiavi contro i padroni di schiavi, dei servi della gleba contro i proprietari fondiari, degli operai salariati contro la borghesia. E dai pacifisti e dagli anarchici noi marxisti ci distinguiamo in quanto riconosciamo la necessità dell'esame storico (dal punto di vista del materialismo dialettico di Marx) di ogni singola guerra».
Questa necessità di studiare ogni singola guerra, insieme all'analisi specifica delle modalità con cui i vari Paesi e il mondo in generale si sono evoluti in termini economici e politici, costituisce una lezione che non va dimenticata. Ma soprattutto non può essere messa da parte al fine di spacciare - come fecero già nel 1914 i leader traditori della Seconda Internazionale - per guerre "difensive" o "giuste" quelli che non sono che esempi evidenti di guerre combattute tra schiavisti per una distribuzione "più equa" degli schiavi.
Oggi come allora, il riconoscimento delle vere cause di ogni guerra ha un'importanza cruciale. È importante, inoltre, condurre una lotta determinata contro le posizioni che, dietro sembianze pacifiste borghesi o dietro presunte sembianze rivoluzionarie, tentano di persuadere la classe operaia e la maggioranza della popolazione della necessità di appoggiare questa o quella potenza impegnata nel conflitto.
L'evoluzione della socialdemocrazia dal crollo della Seconda Internazionale a oggi è stata segnata da un costante arretramento. Le posizioni allora sostenute dagli Ebert, dai Debreuilh, dai Südekum o dai Guesde sono oggi rappresentate in buona sostanza dai partiti appartenenti alle due grandi famiglie della socialdemocrazia contemporanea - da un lato, i partiti socialdemocratici membri dell'Internazionale Socialista ed eredi diretti di quei leader; dall'altro, i partiti ex-comunisti che hanno subito nel corso del Novecento un processo di mutazione socialdemocratica che li ha condotti alla fusione con altre correnti contro-rivoluzionarie e quindi alla cogestione di governi capitalisti, come in Spagna a partire dal 2020.
La ragione è che un elemento accomuna tutti questi partiti - l'opportunismo. Come osservavano nel 1914 2 i bolscevichi russi, il fallimento della Seconda Internazionale rappresentò il fallimento dell'opportunismo:
«Il fallimento della II Internazionale è il fallimento dell'opportunismo, che si è sviluppato sul terreno delle particolarità del periodo storico trascorso (periodo cosiddetto "pacifico") e, in questi ultimi anni, ha dominato di fatto nell'Internazionale. Da molto tempo gli opportunisti preparavano questo fallimento negando la rivoluzione socialista e sostituendo ad essa il riformismo borghese; negando la lotta di classe e la necessità di trasformarla - in determinati momenti - in guerra civile e predicando la collaborazione di classe; predicando lo sciovinismo borghese col nome di patriottismo e di difesa della patria; ignorando e negando una verità fondamentale del socialismo già enunciata nel Manifesto comunista, e cioè che gli operai non hanno patria; attenendosi ad un punto di vista sentimentale piccolo-borghese nella lotta contro il militarismo, invece di riconoscere la necessità della guerra rivoluzionaria dei proletari di tutti i paesi contro la borghesia di tutti i paesi; trasformando la necessaria utilizzazione del parlamentarismo borghese e della legalità borghese nel feticismo per questa legalità e dimenticando l'obbligatorietà delle forme illegali di agitazione e di organizzazione nei periodi di crisi. Il "complemento" naturale dell'opportunismo - complemento che è anch'esso borghese e ostile al punto di vista proletario, cioè marxista - è la corrente anarco-sindacalista che si è creata una fama non meno disonorante ripetendo con sussiego le parole d'ordine scioviniste durante la crisi attuale».
La principale differenza tra la situazione odierna e quella dei primi del Novecento è che la socialdemocrazia contemporanea non dissimula la sua presa di posizione a favore di questa o quella potenza o alleanza imperialista, né la tolleranza o l'accettazione che concede alle aggressioni imperialiste che hanno luogo anno dopo anno in tutto il mondo. La socialdemocrazia si è assuefatta alle guerre imperialiste perché si è assuefatta all'imperialismo e non è in grado di offrire alcuna alternativa a esso, né sulla carta né in pratica. La sua proposta "socialista" altro non è che la proposta di una gestione del capitalismo basata sulla negazione delle tendenze del capitalismo stesso, mirante a persuadere la classe operaia e i settori popolari del fatto che non esiste alternativa se non all'interno del capitalismo. Ma costoro dimenticano che il capitalismo è un "pacchetto completo" le cui tendenze e dinamiche non dipendono dalla volontà dei gestori politici. Per questo guerre, impoverimento e aumento della miseria sono sue caratteristiche implicite, che non potranno essere sradicate sino a quando il capitalismo continuerà a sopravvivere.
3. La socialdemocrazia europea dopo la prima guerra mondiale
Il primo conflitto mondiale fece da catalizzatore per le contraddizioni già presenti all'interno della socialdemocrazia. La crisi da esso scatenata smascherò i veri obiettivi di gran parte del movimento socialdemocratico, che tradivano completamente tutto ciò che era stato proclamato sino a quel momento, e per questo contribuirono ad allontanare importanti settori della classe operaia dalle posizioni rivoluzionarie e a metterli al servizio delle classi dominanti - non soltanto come manodopera, ma anche come carne da cannone.
Il rifiuto della rivoluzione socialista, la presa di posizione a favore del riformismo borghese e della collaborazione tra classi avrebbero caratterizzato da allora l'atteggiamento essenziale delle forze socialdemocratiche, che inoltre rinunciarono a trarre vantaggio in termini rivoluzionari dalla situazione creatasi nella fase finale della guerra. Coloro i quali nel 1914 avevano tradito ogni accordo e principio appoggiando i crediti di guerra, accettando la retorica sciovinista e decretando la fine della lotta di classe nei rispettivi Paesi, alla fine del 1918 non rispettarono nemmeno le linee guida approvate undici anni prima nella risoluzione contro il militarismo del Congresso di Stoccarda, che prescriveva a tutti i partiti dell'Internazionale di "trarre vantaggio dalla crisi economica e politica creata dalla guerra per condurre a fondo l'agitazione tra la popolazione e affrettare l'abolizione del dominio di classe capitalistico".
Malgrado questo tradimento, il movimento operaio rivoluzionario riuscì a proseguire la sua avanzata. Il trionfo della Grande Rivoluzione Socialista d'Ottobre in Russia dimostrò che la posizione rivoluzionaria sulla guerra imperialista, necessariamente legata alla lotta contro l'opportunismo, era effettivamente in grado di "affrettare l'abolizione del dominio di classe capitalistico". A quell'epoca, gli ex-leader dell'Internazionale e i loro partiti si erano già avviati sul cammino della gestione degli interessi della borghesia, entrando a far parte dei governi e assumendo un ruolo attivo nella repressione delle insurrezioni rivoluzionarie che iniziavano a scoppiare nell'Europa centrale e orientale.
Dopo il trionfo della classe operaia in Russia, la spaccatura all'interno della socialdemocrazia internazionale divenne definitiva, con un'ala destra, rappresentata dai revisionisti ormai trasformatisi in partito borghese, un'ala sinistra, rappresentata dai comunisti con i bolscevichi in prima linea, e un'ala centrista, ex-marxista e di fatto assuefatta all'opportunismo, che sosteneva di promuovere l'unità e la pace all'interno del partito.
La borghesia, spaventata dall'evoluzione degli eventi in Russia, seppe trarre vantaggio dalla situazione e, appoggiandosi sui revisionisti e sui centristi, ebbe modo di far abortire varie insurrezioni rivoluzionarie. A tale riguardo spicca il ruolo svolto dalla SPD tedesca, fondamentale nel contenimento dell'insurrezione di Kiel del novembre 1918 e nella repressione della sollevazione spartachista del gennaio 1919. La sua partecipazione all'assassinio di Karl Liebknecht e di Rosa Luxemburg evidenziò che la socialdemocrazia tedesca non si limitava ad appoggiare le forze borghesi, ma costituiva una forza attiva in difesa della stabilità borghese dopo la catastrofe della guerra. Con questa azione, la socialdemocrazia confermò definitivamente la propria funzione contro-rivoluzionaria.
Come osservato nel nostro articolo pubblicato sul numero 3 della Rivista Internazionale Comunista, 3 nel periodo interbellico - quindi dopo la creazione della III Internazionale - la socialdemocrazia internazionale fu dominata dal settore centrista, che proseguì sulla sua linea di approvazione formale delle risoluzioni rivoluzionarie e marxiste ma si inchinò in pratica alle richieste dell'ala destra, arrivando a imporre in diverse occasioni la partecipazione dei socialdemocratici a governi borghesi, sia monocolori sia di coalizione.
La SPD tedesca partecipò a numerosi governi della Repubblica di Weimar in coalizione con forze centriste e di destra. Il Partito Laburista britannico fu al governo nel 1924, con il sostegno dei liberali, e ancora tra il 1929 e il 1931. La SPÖ austriaca governò dal 1918 al 1920 nell'ambito di una grande coalizione con i cristiano-sociali. Il S/SAP svedese alternò la partecipazione ai governi all'opposizione parlamentare nel corso degli anni Venti e Trenta. Il Partito Socialdemocratico Danese governò ininterrottamente dal 1924 al 1940, e fu addirittura alla guida del governo che collaborò con i nazisti che occupavano il Paese. Anche il Partito Laburista Norvegese partecipò a diversi governi tra il 1928 e il 1940.
In particolare nei Paesi del Nord Europa, la vecchia socialdemocrazia non si limitò a prendere le distanze dal marxismo e a opporsi all'idea stessa di rivoluzione, ma partecipò attivamente all'elaborazione e all'attuazione dei cosiddetti "grandi compromessi" (come l'accordo di Saltsjöbaden in Svezia o l'accordo di Kanslergade in Danimarca) che gettarono le basi per quello che in seguito sarebbe stato presentato come il grande successo della socialdemocrazia europea: il cosiddetto "welfare state", basato su una politica di cancellazione della lotta di classe e di promozione di progetti economici e politici "trasversali", il tutto accompagnato da un rigido anticomunismo.
Per contro, l'accettazione da parte dei socialdemocratici britannici e francesi della tesi di Chamberlain sulla politica di "appeasement" con le potenze nazifasciste durante la seconda metà degli anni Trenta contribuì in misura decisiva al rifiuto di queste potenze di prestare aiuto al campo repubblicano durante la guerra rivoluzionaria nazionale combattuta in Spagna fra il 1936 e il 1939.4 Questo atteggiamento esemplificò, una volta di più e in modo drammatico, la riaffermazione dell'"union sacrée" da parte della socialdemocrazia in tutti gli ambiti politici ed economici, e la subordinazione dei compiti internazionalisti a presunti interessi nazionali.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale, la borghesia si trovò di fronte a uno scenario caratterizzato dai seguenti elementi:
- il trionfo sul nazifascismo, in cui l'URSS e l'Armata Rossa avevano svolto un ruolo decisivo.
- i successi della costruzione del socialismo nell'URSS.
- l'estensione del blocco socialista mondiale a numerosi Paesi.
- lo sviluppo di contraddizioni nei Paesi capitalisti dell'Europa occidentale, determinato dalla distruzione delle forze produttive provocato dalla guerra.
- la riduzione delle basi materiali del capitalismo.
- l'immenso prestigio del movimento comunista internazionale tra le masse lavoratrici dell'Occidente.
In tali circostanze, la socialdemocrazia svolse ancora una volta un ruolo contro-rivoluzionario, compiendo il suo ultimo e definitivo passo nel processo di mutazione da semplice forza opportunista a forza borghese in senso stretto, collocata tra i liberali e il comunismo. Non soltanto assunse un ruolo attivo a sostegno della stabilizzazione del capitalismo nell'Europa occidentale, ma svolse una funzione guida nell'intero processo di riorganizzazione dello sfruttamento capitalista della regione. Per farlo trasse vantaggio da due elementi: le esperienze di collaborazione di classe nei Paesi nordici e le enormi somme di denaro stanziate dal Piano Marshall.
4. La socialdemocrazia europea dopo il 1945. La creazione delle alleanze imperialiste
Questo processo trovò riscontro in una "rifondazione" della socialdemocrazia, accompagnato dalla creazione di una nuova organizzazione internazionale: l'Internazionale Socialista, fondata nel 1951 a Francoforte.
La dichiarazione di Francoforte del 1951 5 dell'IS, stilata in gran parte dall'SPD, fissava già diversi elementi chiave destinati a segnare il percorso della socialdemocrazia. Da un lato l'abbandono del marxismo, equiparato ad "altri metodi di analisi della società, ispirati a principi religiosi o umanitari". Dall'altro, un esplicito e aperto anticomunismo, che accusava il comunismo di "distorcere la tradizione socialista" e di costituire un "nuovo imperialismo", e una concezione della pace fondata sulla necessità di un "sistema di sicurezza collettiva" basato sul presupposto per cui "il comunismo internazionale è lo strumento di un nuovo imperialismo".
Il programma di Bad Godesberg, approvato nel 1959 e considerato il documento politico-ideologico essenziale della socialdemocrazia del secondo dopoguerra, si muoveva sulla falsariga della direzione fissata a Francoforte, introducendo però un passaggio chiave riguardo ai sistemi di sicurezza collettiva, con l'indicazione della necessità di creare "sistemi di sicurezza regionale nell'ambito delle Nazioni Unite" e la precisazione che "la Germania riunificata deve essere membro, con pieni diritti e doveri, di un sistema di sicurezza europeo".
Pochi anni dopo, nel 1962, la dichiarazione di Oslo del Consiglio dell'IS 6 compì un ulteriore passo affermando quanto segue:
"Le Nazioni Unite hanno spesso contribuito a risolvere controversie tra nazioni. Tuttavia, nella loro forma attuale non sono in condizione di garantire protezione a un Paese vittima di aggressione e di salvaguardare la sicurezza di ogni Paese. In tale contesto, ogni nazione deve assumersi la responsabilità della propria sicurezza. Alcuni ritengono che una politica estera di non allineamento garantisca in modo ottimale la sicurezza e la stabilità politica delle rispettive regioni. L'Internazionale rispetta il desiderio delle nazioni di essere libere di seguire il proprio destino senza prendere posizione nei rapporti di forza mondiali. Gran parte delle democrazie occidentali si sono unite per formare l'alleanza della NATO. I partiti socialdemocratici dei Paesi dell'Alleanza considerano quest'ultima un potente baluardo della pace e dichiarano la loro ferma determinazione a sostenerla".
Queste parole, di fatto, non erano che la conclusione logica del processo che molti partiti socialdemocratici europei avevano imboccato sin dal 1948. Non va dimenticato, anzitutto, che prima della nascita della NATO nel 1949 fu istituita nel 1948 l'Unione Occidentale "in risposta alle mosse dei sovietici di assumere il controllo dei Paesi dell'Europa centrale",7 con il Trattato di Bruxelles 8 sottoscritto da Belgio, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Gran Bretagna, e siglato tra gli altri dai ministri degli Esteri socialdemocratici di Gran Bretagna (Ernest Bevin) e Belgio (Paul-Henri Spaak). D'altronde, non va dimenticato che la NATO sostiene di trarre la propria autorità e legittimazione dalla Carta delle Nazioni Unite e che in origine era considerata frutto di un trattato di sicurezza collettiva regionale.
La socialdemocrazia partecipò attivamente alla creazione della NATO. Dei dodici Paesi fondatori del 1949, quattro (Belgio, Danimarca, Norvegia e Gran Bretagna) erano guidati da governi socialdemocratici o laburisti. Paul-Henri Spaak sarebbe divenuto Segretario Generale dell'alleanza nel 1957-1961. Dopo di lui, altri esponenti socialdemocratici quali Willy Claes, Javier Solana, George Robertson e Jens Stoltenberg avrebbero ricoperto l'incarico di Segretario Generale. Ciò non lascia spazio a dubbi sul sostegno della socialdemocrazia a tutte le aggressioni imperialiste scatenate dalla NATO, a prescindere da tutte le dichiarazioni e le risoluzioni approvate dall'Internazionale Socialista e dai suoi membri dopo la creazione dell'alleanza.
Quanto all'Unione Europea, le iniziative di integrazione economica e politica non furono accolte con entusiasmo da tutti i partiti socialdemocratici europei nella fase iniziale, sebbene importanti esponenti socialdemocratici fossero schierati a loro favore. Questo scarso entusiasmo era dovuto principalmente alla priorità assegnata all'epoca agli interessi economici e politici nazionali, che peraltro non implicava un'esplicita opposizione a questo processo. In particolare, la posizione dei partiti spagnolo e portoghese contribuì in misura rilevante a legare la partecipazione dei rispettivi Paesi alle istituzioni europee al rafforzamento del sistema democratico-borghese emerso dopo la caduta delle rispettive dittature fasciste - ma soprattutto all'"apertura e liberalizzazione economica" che tale processo avrebbe implicato.9
Al di là delle differenze tra i percorsi e i ritmi adottati dalla socialdemocrazia europea in relazione al processo di integrazione capitalista europea, il momento decisivo giunse con il Trattato di Maastricht del 1992, che segnò la fondazione dell'Unione Europea come la conosciamo oggi. Il trattato fu appoggiato con entusiasmo da tutti i partiti socialdemocratici. Non si dimentichi che a quel tempo erano già in gestazione le tesi di Blair e Schröder sul "nuovo centro" e sulla "terza via", che nel periodo successivo avrebbero reso sempre più indistinte le differenze politico-ideologiche tra liberali e socialdemocratici.
5. L'evoluzione della socialdemocrazia spagnola
In Spagna, come già ricordato, la socialdemocrazia abbracciò con entusiasmo l'idea della partecipazione alla costruzione del polo imperialista europeo. Riguardo alla NATO, tuttavia, il processo fu più lungo a causa delle particolari condizioni del Paese rispetto ad altri Paesi europei nei quali la fine del secondo conflitto mondiale determinò un consolidamento delle democrazie borghesi.
Il fatto che il Partito Socialista fosse stato sostanzialmente inesistente per decenni nella lotta contro la dittatura di Franco fece sì che quando esso iniziò a trasformarsi in un partito indispensabile per la fase successiva alla fine della dittatura franchista - grazie al prezioso appoggio dell'Internazionale Socialista - il partito adottasse temporaneamente e per fini tattici alcune delle posizioni di riferimento sostenute dai comunisti sulle questioni internazionali, e specificamente sulla questione della NATO. Così il PSOE, nel corso dei suoi congressi precedenti alla sua entrata al governo nel 1982 e ancora per qualche tempo, mantenne una posizione formalmente contraria all'ingresso e alla permanenza nella NATO.
Il Partito Socialista Operaio Spagnolo, nei documenti dei suoi congressi precedenti la sua entrata al governo (1982), si pronunciò contro le basi militari USA (27° Congresso) e contro l'ingresso della Spagna nella NATO (28° Congresso), sulla base di una posizione molto simile a quella assunta dai socialdemocratici tedeschi negli anni Cinquanta - un atteggiamento di non-allineamento teorico con i due "blocchi" principali in conflitto, che portò il partito a ribadire la propria presa di distanza sia dalla NATO sia dal Patto di Varsavia. Indubbiamente, questo atteggiamento era all'epoca alquanto distante da quello di altri partiti socialisti europei.
Il Congresso Straordinario del PSOE del 1979 è passato alla storia come quello in cui si consumò l'abiura del marxismo, negli stessi termini formulati a Bad Godesberg. Da allora si evidenziò un cambio di tendenza, dovuto tra l'altro alla rilevante influenza che i socialdemocratici - soprattutto tedeschi e svedesi - esercitavano sui nuovi leader socialisti spagnoli.10
Nel suo 30° Congresso (1984), il PSOE accettò di sottoporre l'ingresso della Spagna nella NATO - che era avvenuto nel 1982 - a un referendum, esprimendo il proprio disaccordo con le modalità con cui l'ingresso nell'alleanza era stato attuato dal precedente governo ("in modo sventato, frettoloso e gratuito, spezzando il consenso delle forze politiche rappresentative, senza tenere conto degli interessi nazionali e senza fornire spiegazioni adeguate al popolo spagnolo"), ma al tempo stesso inserendo nella propria posizione due elementi di enorme rilevanza: la necessità di ricostruire il "consenso nazionale" in modo tale che l'esito del referendum godesse di un ampio sostegno, e di tenere conto degli "equilibri esistenti" (a livello internazionale) in modo tale che le tensioni internazionali "non subiscano conseguenze negative dall'esito del referendum". Due questioni che, alla luce del modo in cui furono formulate, preannunciavano la posizione favorevole del partito alla permanenza nella NATO.
Infine il PSOE, che nel 1982 aveva reso famoso lo slogan "NATO: innanzitutto NO", lo rimpiazzò con la parola d'ordine "Vota sì nell'interesse della Spagna" nel 1986. Il referendum si concluse con una maggioranza del 56,85% a favore della permanenza nella NATO. Un bell'esempio di "consenso nazionale"... Javier Solana, ministro della Cultura del PSOE nel 1986, sarebbe divenuto Segretario Generale della NATO dal 1995 al 1999, rendendosi direttamente responsabile dei bombardamenti contro la Jugoslavia attuati in quell'anno.
6. Il ruolo della nuova socialdemocrazia
Il processo di mutazione opportunistica che aveva caratterizzato i partiti della Seconda Internazionale si produsse nuovamente in seguito nell'ambito del movimento comunista internazionale, con modalità su cui ci siamo già soffermati nel nostro articolo pubblicato sul n. 2 della Rivista Internazionale Comunista.11
Le tesi eurocomuniste, assai diffuse in molti partiti comunisti e operai nella seconda metà del Novecento, proclamarono ancora una volta la difesa della collaborazione tra classi, l'abbandono dell'idea della rivoluzione socialista e dei metodi di lotta rivoluzionari e la trasformazione della legalità borghese in un feticcio, traendo vantaggio dall'avanzata delle posizioni opportuniste nell'ambito del PCUS, soprattutto a partire dal suo 20° Congresso.
In Spagna, l'eurocomunismo svolse un ruolo attivo e di primo piano nella campagna per il "NO" al referendum sulla NATO del 1986. Fu proprio nell'ambito di questo processo che fu fondata Izquierda Unida (Sinistra Unita) - una coalizione di cui facevano parte forze socialdemocratiche ostili al PSOE. Nel corso dei successivi trentacinque anni, in cui governi di coalizione socialdemocratici furono sperimentati in più occasione a livello sia locale sia regionale, il linguaggio e gli atteggiamenti della socialdemocrazia divennero egemoni nell'ambito di questa formazione, al punto che essa, partecipando a governi nazionali insieme al PSOE, finì per passare a posizioni favorevoli alla permanenza nella NATO. A tale riguardo è quanto mai illuminante la risposta del Segretario Generale del PCE Enrique Santiago a una domanda relativa alla sua posizione sul vertice NATO di Madrid (luglio 2022), organizzato da un governo di cui lo stesso Santiago faceva allora parte in veste di Segretario di Stato per l'Agenda 2030.12
Parallelamente, altre organizzazioni emerse in seguito nell'ambito della socialdemocrazia, in particolare PODEMOS e più di recente SUMAR, utilizzano una retorica molto simile a quel pacifismo borghese che Lenin e i rivoluzionari denunciavano già all'inizio del Novecento. Nei loro documenti programmatici si dichiarano esplicitamente favorevoli all'"autonomia strategica" dell'Unione Europea, proponendo un "nuovo programma di sicurezza collettiva per l'Europa che vada oltre l'attuale ombrello NATO e si basi sugli interessi della nostra regione" 13 ovvero "il progressivo passaggio dalle garanzie di sicurezza della NATO a un'autonomia strategica complessiva al servizio dei cittadini europei e non dell'industria degli armamenti, a un'area di sicurezza europea soggetta a un controllo democratico".14 Il "superamento" della NATO (nemmeno il suo "scioglimento", pur proposto da alcuni partiti opportunisti di altri Paesi) non è cioè legato alla sua natura imperialista, bensì alla necessità di promuovere un'autonomia strategica europea che consenta all'alleanza imperialista UE di difendere meglio i suoi interessi nel mondo, sotto l'egida del "multilateralismo democratico", della "giustizia climatica globale" e di una "politica estera femminista".
L'accettazione di ogni singolo elemento essenziale della linea politica dell'Unione Europea e l'accettazione della permanenza nella NATO sono espressione del fallimento della nuova socialdemocrazia europea, preoccupata esclusivamente di mantenere una presenza nei governi della gestione capitalista.
7. Conclusione: la lotta dei comunisti contro la socialdemocrazia e la guerra imperialista
La lotta dei comunisti contro la socialdemocrazia rimane inquadrata in parametri molto simili a quelli del 1914, malgrado i numerosi anni trascorsi da allora. La natura opportunista della socialdemocrazia è manifesta in termini sia sostanziali sia formali, e le esperienze di gestione capitalista delle forze della nuova socialdemocrazia hanno reso tale situazione ancor più grave.
Il compito dei comunisti rimane pertanto quello di denunciare e smascherare la natura di questi partiti, oggi in particolare in relazione alla politica estera, alla luce degli eventi che stanno avendo luogo in Palestina e nell'area del Mar Rosso. La socialdemocrazia non si sta limitando a legittimare le posizioni di Israele, dell'UE e della NATO, ma di fatto sta spezzando il movimento di solidarietà con la Palestina allo scopo di promuovere le posizioni del governo spagnolo. L'attuale rifiuto di partecipare all'operazione "Prosperity Guardian" non altera il fatto che le truppe spagnole schierate all'estero non sono mai state numerose come oggi, e che la Spagna partecipa attivamente a tutte le manovre e le operazioni delle alleanze imperialiste di cui fa parte.
È evidente che la socialdemocrazia europea sta promuovendo i piani guerrafondai dell'Unione Europea, nel contesto dei preparativi per una grande guerra imperialista. La retorica del pacifismo borghese non può nascondere la sua prassi politica asservita agli interessi dei monopoli europei e la sua posizione totalmente schierata per la difesa e la promozione di tali interessi.
Il Secondo Congresso del Partito Comunista dei Lavoratori di Spagna ha fissato tra le sue priorità un deciso intervento nella lotta contro le guerre imperialiste e contro la permanenza della Spagna in qualunque alleanza imperialista, assegnando la priorità a quanto segue:
- opporsi a qualunque aggressione imperialista, con un forte richiamo all'internazionalismo e al diritto di tutti i popoli a scegliere le proprie modalità di sviluppo;
- illustrare alla classe e al popolo quali siano gli interessi della borghesia spagnola nelle varie operazioni imperialiste a cui essa partecipa in modo diretto o indiretto e i vari interessi imperialisti in gioco in ciascun conflitto;
- chiedere lo sganciamento unilaterale della Spagna da tutte le alleanze imperialiste di cui fa parte, in particolare l'UE e la NATO, e la chiusura delle basi militari straniere in territorio spagnolo;
- promuovere i Comitati per la Solidarietà tra i Popoli e la Pace (CoSPAZ).
Tutte queste priorità presuppongono inevitabilmente un rafforzamento organizzativo del Partito Comunista, una maggiore capacità di intervento nella classe operaia e tra i lavoratori e la trasformazione di tutti i luoghi di lavoro, le scuole e i quartieri operai in terreni di scontro diretto con la socialdemocrazia e l'opportunismo.
Note:
*) Astor Garcia, Segretario generale del Comitato Centrale del PCTE
1 Vagenas, Elisseos, "The Sharpening of the Imperialist Competition in the Region of the South-Eastern Mediterranean and the Balkans. The Position of the KKE Regarding the Possibility of Greece's Involvement in an Imperialist War", Rivista Internazionale Comunista N. 5, 2014.
3 Martínez, Raúl e López, Ramón, "Social-Democracy at the Service of the Ruling Classes. The Struggle of the Communist Party", Rivista Internazionale Comunista N. 3, 2012.
4 Si veda il nostro articolo sul n. 11 della Rivista Internazionale Comunista: Raúl Martínez, "The International Brigades and Proletarian Internationalism".
5Aims and Tasks of Democratic Socialism. Declaration of the Socialist International adopted at its First Congress held in Frankfort-on-Main on 30 June-3 July 1951, testo inglese disponibile all'indirizzo https://www.socialistinternational.org/congresses/i-frankfurt/
6The World Today: The Socialist Perspective. Declaration of the Socialist International endorsed at the Council Conference held in Oslo on 2-4 June, 1962, testo inglese disponibile all'indirizzo https://www.socialistinternational.org/councils/oslo-1962/
7History of the Western European Union, testo inglese disponibile all'indirizzo https://web.archive.org/web/20120811173845/http://www.weu.int/.
8 Si veda l'articolo del Partito dei Lavoratori Irlandese pubblicato sul n. 6 della Rivista Internazionale Comunista: Gerry Grainger, "NATO and the EU: Inter-State Imperialist Alliances, Inter-Imperialist Rivalry, Expansionism, the Threat to Peace and the Dangers of Aggression and War".
9 Questo processo è illustrato sinteticamente nell'articolo "The Socialist Parties and the European Construction", pubblicato da José Lamego, membro del Partito Socialista Portoghese sui nn. 57-58 (1994) della rivista Leviatán, edita dalla Fondazione Pablo Iglesias collegata al PSOE.
10 È risaputo che il PSOE ricevette sostegno politico, logistico e finanziario dalla SPD nel corso degli anni Settanta, sia direttamente sia tramite la Fondazione Friedrich Ebert. Willy Brandt, durante una conferenza sulla politica internazionale tenutasi nel 1976, dichiarò: "Quale partito socialdemocratico più importante d'Europa, abbiamo il dovere specifico, attraverso il sostegno politico e morale dei socialisti democratici della nostra parte d'Europa, non soltanto di respingere la reazione della destra, ma soprattutto di rafforzare l'alternativa al comunismo".
11 Martínez, Raúl, «From "Eurocommunism" to Present Opportunism"». Rivista Internazionale Comunista, N. 2, 2011.
12 Interpellato durante una conferenza stampa l'11 giugno 2022, Santiago affermò: "La nostra posizione sulla NATO è nota - preferiremmo non essere nella NATO (…), ma se facciamo parte di un'organizzazione internazionale e abbiamo degli obblighi, è ovvio che, finché ne facciamo parte, dobbiamo rispettarli".
13 Documento Politico, 4ª Assemblea dei Cittadini di PODEMOS (2021), p. 56.
14 Programma elettorale di SUMAR per le elezioni politiche del luglio 2023, p. 139.
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