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- pensiero resistente - movimento comunista internazionale - 09-12-24 - n. 918
L'imperialismo austriaco e la guerra in Ucraina
Partito del Lavoro d'Austria (PdA) * | iccr.gr
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
2024
Rivista Comunista Internazionale - Numero 13 - 2024
L'imperialismo austriaco e la guerra in Ucraina
Il golpe di Maidan a Kiev del 2014 e la successiva guerra civile, ma ancor più la guerra imperialista interstatale tra la Federazione Russa capitalista e l'Ucraina, iniziata nel 2022, hanno posto il capitale austriaco in una posizione ambigua. Ciò è rispecchiato dalla linea politica del governo federale, che naturalmente fa parte del blocco occidentale incentrato su USA, NATO e UE, ma al tempo stesso deve tenere conto delle particolari condizioni e interessi dell'imperialismo austriaco. Il Partito del Lavoro dell'Austria (PdA) analizza questa situazione, ricavandone la propria posizione.
Il capitale austriaco nell'Europa orientale
Il capitale austriaco è stato tra i principali beneficiari a livello internazionale della contro-rivoluzione attuata nell'Europa orientale e nell'URSS tra il 1989 e il 1991. Le banche e le grandi imprese austriache invasero con successo i Paesi dell'Europa orientale e sud-orientale nel corso della restaurazione capitalista - un processo che inizialmente coinvolse i Paesi geograficamente più prossimi: Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Slovenia, Romania e Croazia. In un contesto di privatizzazioni e liberalizzazioni, fu attuata con successo un'espansione in Paesi che 75 anni prima avevano fatto parte della monarchia asburgica e che vengono tuttora considerati il «cortile di casa» dell'Austria, almeno sul piano economico, malgrado i poteri limitati della repubblica. Nella battaglia per gli investimenti, le sfere di influenza, le quote di mercato, le materie prime e la manodopera a basso costo, l'Austria ha avuto successo soprattutto nel settore finanziario, nelle catene di distribuzione al dettaglio, nelle telecomunicazioni e nei media, nella fornitura di energia, nell'agricoltura e nel settore edilizio, ma anche in settori industriali chiave. Questo nuovo sviluppo economico dell'imperialismo austriaco ha avuto anche un risvolto politico.
Il capitale austriaco aveva qui un vantaggio iniziale: grazie alla sua ufficiale neutralità, che naturalmente non è mai stata una neutralità reale, erano già state stabilite relazioni importanti con le economie socialiste durante i decenni precedenti - relazioni che fu possibile sviluppare negli anni Novanta. Naturalmente furono promossi i «processi di trasformazione» nell'Europa orientale e la successiva ammissione degli Stati in questione nell'UE, che a partire dal 1995 è servita da ulteriore veicolo per l'imperialismo austriaco. Infine, ma non meno importante, i governi di allora, guidati dai socialdemocratici, fomentarono il separatismo nei Balcani occidentali e con particolare zelo lo smembramento dell'ex-Repubblica Federale Socialista Jugoslava. L'Austria è presente anche militarmente in questa regione, con corposi contingenti dell'esercito federale integrati nelle forze di occupazione UE e NATO in Bosnia-Erzegovina e nel Kosovo serbo. In questo contesto, la fase successiva della spinta espansionistica si è rivolta ancora più a est, verso la Russia, la Bielorussia, l'Ucraina e il Kazakistan.
Ancora una volta, il capitale austriaco e il suo Stato hanno tratto vantaggio dal «jolly della neutralità» in un'area critica verso la NATO. Mentre l'imperialismo dell'Europa occidentale si muoveva con maggiore esitazione, l'Austria riusciva a fare affari con i regimi di Lukashenko e Nazarbayev agendo, per così dire, come avanguardia al disopra di ogni sospetto. Maggiore importanza, tuttavia, aveva la sbandierata «amicizia» dell'economia austriaca con la Russia. Il presidente Vladimir Putin e vari oligarchi russi sono stati a lungo ospiti graditi - in veste di partner d'affari e di apripista per gli investimenti austriaci, ma anche di investitori in Austria. Vennero stabiliti legami bilaterali in particolare nei settori edilizio, turistico e finanziario - e rapporti di dipendenza in campo energetico: i contratti di fornitura sottoscritti già nel 1969 con l'URSS sono stati recentemente estesi nel 2018 fino al 2040 con la russa Gazprom. La Federazione Russa fornisce all'Austria l'80% del suo gas, e il Kazakistan una percentuale altrettanto elevata delle sue importazioni di petrolio.
Per contro, in Russia sono presenti 650 imprese austriache, con investimenti nell'ordine di miliardi di dollari. Tra esse vi sono anche medie imprese, ma la più importante è la Raiffeisenbank International (RBI). I suoi asset in Russia hanno un valore di circa 30 miliardi di dollari e RBI è attualmente la più grande banca straniera presente nella Federazione, davanti all'americana Citigroup e all'italiana UniCredit. In Russia RBI conta 130 filiali, 10.000 dipendenti e quattro milioni di clienti. Raiffeisen è un nome importante anche nel campo delle sponsorizzazioni, ma i suoi profitti naturalmente arrivano dall'attività bancaria vera e propria: recentemente, circa il 50% dei profitti netti di RBI (per un valore di 2,1 miliardi di dollari) provenivano dalla Russia - ed è superfluo specificare che la banca si oppone con veemenza alle sanzioni e non ha alcuna intenzione di abbandonare la sua gallina dalle uova d'oro. Raiffeisen, tuttavia, è molto più di una banca - è un conglomerato vero e proprio che comprende holding operanti nei media, il gruppo edilizio Strabag e la compagnia assicurativa Uniqa. Ma Raiffeisen è soprattutto - in una perversione del suo spirito originale di cooperativa agricola - un enorme monopolio agricolo. Attraverso Agrana AG, il gruppo è inoltre un importante attore nel campo della lavorazione della frutta in Russia.
E qui vi è una sovrapposizione in direzione dell'Ucraina. Il capitale austriaco è fortemente presente anche lì, come sesto maggiore investitore nel Paese. Prima dello scoppio della guerra vi erano 200 sedi di imprese austriache e 50 imprese industriali con 20.000 addetti. Operano perlopiù nei settori del legname, del cartone e della carta, ma in Ucraina vi sono anche imprese austriache che producono sci di fondo (Fischer) e prodotti di uso comune quali etichette per bottiglie e assi da stiro. In Ucraina, tuttavia, la gente oggi vede meno di buon occhio Raiffeisen a causa delle sue relazioni d'affari con la Russia; per questo RBI è stata inserita temporaneamente nell'elenco delle imprese accusate da Kiev di appoggiare la guerra di aggressione russa. Il governo austriaco è intervenuto con successo contro questa decisione per tramite dell'UE.
Questo esempio dimostra come il capitale austriaco si sia messo in una posizione difficile. La caccia al profitto ovunque ha creato difficoltà politiche che erano prevedibili già da qualche tempo, non ultimo in Ucraina. La «rivoluzione arancione» creò una sorta di dilemma nel 2004, quando Viktor Yushchenko stabilì temporaneamente il suo centro operativo a Vienna. Malgrado il sostegno concesso al primo rovesciamento di Yanukovych, il fallimento di Yushchenko nel 2010 fu una precondizione per il golpe di Maidan del 2014. All'epoca, tuttavia, Austria e Russia, così come il governo federale austriaco e Putin, erano ancora in ottimi rapporti, come si vide per esempio in occasione delle Olimpiadi Invernali di Sochi. L'area dell'ex-URSS in cui l'Austria ha maggiori interessi economici è chiaramente la Russia. Per questo l'impresa energetica OMV, in parte di proprietà dello Stato austriaco, ha acquistato una quota del 10% del progetto dell'oleodotto Nord Stream 2 nel 2015. Il gas russo a buon mercato doveva raggiungere la Germania e quindi l'Austria lungo una via sicura, tagliando fuori l'Ucraina - non necessariamente affinché le famiglie potessero riscaldarsi e cucinare, ma soprattutto per considerazioni economiche di portata maggiore: in Austria il gas viene utilizzato per generare elettricità, e vi sono inoltre importanti settori produttivi che consumano grandi quantità di gas, come le acciaierie e le cartiere.
Tutto ciò disegna un quadro generale incompleto ma ricco di informazioni sui legami economici tra l'imperialismo austriaco, la Russia da un lato e l'Ucraina dall'altro. Nel caso della Russia si può arrivare a parlare di classici monopoli di Stato: importanti ex-politici austriaci rivestono cariche o funzioni di supervisione in imprese russe - è il caso di Wolfgang Schüssel (già cancelliere federale, ÖVP) alla Lukoil, Christian Kern (ex-cancelliere federale, SPÖ) alle ferrovie di Stato RZhD, Hans Jörg Schelling (ex-ministro delle Finanze, ÖVP) alla Gazprom/Nord Stream o Karin Kneissl (ex-ministro degli Esteri, FPÖ) alla Rosneft. L'ex-capo del governo Alfred Gusenbauer (SPÖ) ha svolto funzioni di consulenza e pubbliche relazioni, tra l'altro per Hapsburg Group a favore di Yanukovych, ma anche per i regimi kazako e azerbaigiano. Al tempo stesso, oligarchi russi hanno acquistato pacchetti azionari di importanti imprese austriache - per esempio Oleg Deripaska nel gruppo edile Strabag, di cui Raiffeisen e Uniqa possiedono la quota maggioritaria. Dietro le quinte, a tirare i fili vi era Christoph Leitl (ÖVP), a lungo presidente della Camera di Commercio, che ha incarnato una sorta di spirito di missione austriaco nell'Ucraina occidentale: in occasione di un evento pubblico, ha scherzato con Vladimir Putin davanti alle telecamere riguardo a una possibile «spartizione» dell'Ucraina - fino alla prima guerra mondiale, «Lemberg» (il nome tedesco di Lviv) era stata una città austriaca...
Alla luce di questa situazione generale degli interessi austriaci nell'Europa orientale, il golpe di Maidan del 2014, l'annessione russa della Crimea e la guerra civile nel Donbass non costituivano necessariamente eventi favorevoli per il capitale austriaco. In seguito si è tentato di ignorare questi problemi e di mantenere relazioni con tutti. La strategia di escalation messa in atto da USA, Gran Bretagna, NATO e nuovo regime di Kiev doveva essere tenuta d'occhio e formalmente sostenuta.
Guerra in Ucraina, neutralità e militarizzazione
Ed ecco arrivare il 24 febbraio 2022, giorno dell'invasione russa e dello scoppio del conflitto diretto interstatale tra Federazione Russa e Ucraina. Sei settimane dopo, ai primi di aprile del 2022, il cancelliere federale austriaco Karl Nehammer (ÖVP) è stato il primo capo di governo dell'UE a recarsi a Mosca a incontrare Vladimir Putin. Il contenuto del colloquio è rimasto in gran parte segreto. È improbabile che Nehammer sia stato tanto ingenuo da intraprendere un'«iniziativa di pace» in solitaria. Più probabilmente intendeva sondare il terreno e assicurare gli interessi economici austriaci - in altre parole, da un lato la continuazione della fornitura di gas dalla Russia all'Austria, che all'epoca passava anche tramite il Nord Stream 1, e dall'altro le attività della Raiffeisenbank (RBI), di cui il suo partito ÖVP è considerato in qualche modo il braccio politico, a causa degli stretti legami che ha con essa. È probabile che entrambe le parti si siano comportate in modo freddo ma professionale, nell'interesse di entrambe: i contratti con Gazprom sarebbero stati onorati e Raiffeisen non avrebbe subito sanzioni in Russia, tanto più che RBI, diversamente dalle banche russe, non era stata esclusa dal sistema SWIFT.
Nel frattempo, importanti esponenti della Confindustria austriaca ribadivano che le sanzioni e la guerra economica contro la Russia sarebbero state assurde ed enormemente dannose per l'economia austriaca. In qualche misura, all'interno del capitale si sono costituite due fazioni, una delle quali - minoritaria - è decisamente filo-russa a causa dell'orientamento dei suoi investimenti, esportazioni e interessi. Sul piano politico questa fazione sostiene la formazione di opposizione di estrema destra Partito della Libertà (FPÖ), che chiede che l'Austria assuma pubblicamente una posizione di maggiore neutralità. È probabile che il FPÖ, guidato da Herbert Kickl, otterrà una vittoria schiacciante alle imminenti elezioni per il Consiglio Nazionale, fissate per questo autunno. Attualmente, previsioni e sondaggi di opinione gli attribuiscono oltre il 30% dei voti e un netto vantaggio rispetto ai socialdemocratici (SPÖ), che sono all'opposizione, e al partito conservatore al governo ÖVP. Se Kickl dovesse realmente arrivare a guidare un governo, per il quale avrà bisogno di un partner, la fazione del capitale filo-russa spera che assumerà se non altro un atteggiamento verso la Russia simile a quello assunto da Orbán in Ungheria o da Fico in Slovacchia. In ogni caso, è un fatto che quando Zelensky ha parlato in videoconferenza al parlamento austriaco, i deputati del FPÖ hanno lasciato l'aula in segno di protesta. Alcuni socialdemocratici, peraltro, non si erano nemmeno presentati.
Una netta maggioranza del capitale austriaco si è schierata sul fronte anti-russo. Per quanto lucrosi e teoricamente allettanti possano essere gli affari con la Russia, infatti, per i settori orientati all'esportazione vi sono oggi mercati più importanti. Prendendo in considerazione i Paesi di destinazione delle esportazioni di merci austriache, per esempio, si scopre che nel 2021 - cioè prima dell'inizio della guerra - il 68% delle esportazioni erano verso Paesi UE. Il mercato di gran lunga più importante, con una quota del 30,2%, è la Germania, seguita da Italia (6,8%), Polonia (4%), Francia (3,8%), Ungheria (3,7%) e Repubblica Ceca (3,6%). Fuori dall'UE, anche la Svizzera conserva una certa importanza (4,9%), mentre il Paese d'oltremare più importante per le esportazioni sono gli Stati Uniti, dove affluisce il 6,7% di tutte le esportazioni austriache. A confronto, la quota della Russia (1,2%) è alquanto ridotta, benché il suo valore sia comunque di miliardi di euro. Ciononostante, l'orientamento è chiaro: il capitale austriaco ha bisogno della Germania, dei Paesi vicini e dell'UE - oltre che degli USA. Queste relazioni (e i relativi profitti) non possono essere messe a repentaglio favorendo la Russia, malgrado si possano immaginare ulteriori prospettive di espansione di maggiori proporzioni in questo Paese.
Analoga è la situazione delle esportazioni di capitali. Gli investimenti diretti austriaci all'estero nel 2022 ammontavano a 238 miliardi di euro. Il 60% di questa cifra riguardava Stati membri dell'UE - circa il 15% per la Germania e circa il 7% ciascuno per Paesi Bassi, Repubblica Ceca, Svizzera - e USA. A confronto, la Russia è un Paese di destinazione meno importante, con il 3% degli investimenti. La conclusione, quindi, è analoga: è naturale che il capitale austriaco sia più incline a sacrificare la Russia, piuttosto che l'UE o il Nord America, come piazza di investimento. Sebbene questo imponga come minimo una frenata significativa alla strategia di espansione in sé, un Paese di medie dimensioni - per quanto caratterizzato da un'economia finanziaria ipertrofica - deve fare i conti con gli sviluppi internazionali. Sono quindi i crudi interessi economici del capitale austriaco il fattore decisivo della posizione finale riguardo alla guerra in Ucraina. Per quanto a malincuore, questo o quel legame con Mosca viene reciso e vari progetti vengono messi in pausa - per ora, se non altro. Dopotutto, molte imprese - non soltanto Raiffeisenbank - sono rimaste sul posto e sperano di riuscire a superare la guerra in modo tale da poter poi partecipare alla spartizione del bottino, in un modo o nell'altro.
In questo scenario, era importantissimo per il governo federale austriaco, che è guidato dal partito conservatore ÖVP e di cui i Verdi sono alleati di minoranza, suscitare il minor numero possibile di dubbi a Bruxelles, Berlino e Washington riguardo all'affidabilità politica dell'Austria. Inizialmente ci si è limitati alla retorica: l'Austria può anche essere neutrale sul piano militare, ma non lo è sul piano politico, ha dichiarato il cancelliere federale Nehammer - che ha approfittato di ogni occasione possibile per ribadire che avrebbe appoggiato l'Ucraina per motivi morali e di diritto internazionale, allo scopo di difendere i valori europei di democrazia e libertà. A volte sembrava che le dichiarazioni del governo fossero state dettate direttamente dal quartier generale della NATO. In termini pratici si sono escogitate soluzioni ingegnose: sulla questione della «European Peace Facility» e del finanziamento degli armamenti destinati all'Ucraina dall'UE, l'Austria ha assunto una posizione di «astensione costruttiva», che ha permesso di giungere alla decisione desiderata rispettando il principio di unanimità. La quota austriaca dei fondi UE, tuttavia, può essere utilizzata soltanto per materiale civile. Ovviamente, l'idea che sia possibile separarla dal resto del materiale all'atto del reperimento e della consegna da parte dell'UE è assurda. Di fatto anche l'Austria sta pagando le armi per l'Ucraina e in ogni caso ne sta finanziando l'apparato amministrativo militare.
Non esistono tuttavia consegne dirette di armi dall'Austria all'Ucraina - dopotutto, le forze armate austriache avevano 48 dei famosi carri armati Leopard 2. Ma il governo federale si è vietato di fornire «armi offensive», e i soli materiali militari trasferiti in Ucraina dalle scorte dell'esercito federale sono stati elmetti d'acciaio e giubbotti antiproiettile - articoli di natura difensiva. Tuttavia, l'ambiguità della posizione austriaca emerge con chiarezza quando ci si sofferma sui trasporti di armamenti: il divieto di trasporto di armi straniere attraverso il territorio austriaco viene aggirato utilizzando vari trucchi contabili - per esempio, i carri armati italiani che transitano sul territorio austriaco vengono formalmente inviati alla Slovacchia, cioè a un Paese UE, e solo in un secondo tempo raggiungono l'Ucraina. Così, armi e truppe NATO utilizzano abitualmente le ferrovie austriache - con oltre 4500 treni nel 2023. Il governo federale non pare preoccupato nemmeno dal fatto che lo spazio aereo austriaco venga regolarmente percorso da velivoli NATO, alcuni dei quali addirittura privi di qualunque autorizzazione. In alcuni di questi casi si riscontrano evidenti violazioni della Legge sulla Neutralità austriaca, che ha valore costituzionale.
La totale abolizione della neutralità austriaca, storicamente proposta e sostenuta dall'URSS, è fortemente impopolare presso la popolazione. Soltanto per brevissimo tempo, all'inizio del conflitto, l'ÖVP ha tentato di avviare un processo di dibattito sul tema. Per il momento si può escludere del tutto la possibilità che l'Austria, seguendo l'esempio della Finlandia e della Svezia, chieda l'ammissione alla NATO. Ciononostante, è in atto un tentativo di creare un clima favorevole a questa eventualità, per esempio attraverso la sistematica apparizione di ufficiali dell'esercito nei notiziari televisivi. Di fatto l'Austria è già parzialmente integrata nell'alleanza, tramite le strutture militari dell'UE e la NATO Partnership for Peace. La neutralità dell'Austria si è fortemente indebolita a partire dall'ingresso del Paese nell'UE e ha subito ulteriori colpi nel contesto della guerra in corso in Ucraina. Al momento la strategia di chi è al potere consiste nel promuovere un ingresso silenzioso o in qualche modo parziale nella NATO, riducendo definitivamente la neutralità a un guscio vuoto. Per questo non dobbiamo essere ingenui: possiamo sì sfruttare la popolarità della neutralità nella lotta contro la NATO, ma non dobbiamo farvi affidamento esclusivo. È necessario sottolineare la natura imperialista e il ruolo criminale della NATO a spese dei popoli.
In linea con i piani governativi di intensificazione dei legami con la NATO, diviene necessario anche armare massicciamente l'esercito - e la guerra in Ucraina rappresenta un'opportunità ideale per giustificare il riarmo. Mentre il bilancio del Ministero della Difesa veniva aumentato a oltre quattro miliardi di euro, anche al difuori di questo processo sono stati avviati vari progetti di spesa. In aggiunta a 1000 veicoli da trasporto e a materiali quali maschere protettive NBC e dispositivi per la visione notturna, gli aumenti di budget avviati dal 2023 hanno determinato l'acquisto di 4000 nuovi fucili d'assalto (StG77/AUG) e di sistemi radar e di tracciamento più avanzati. Anche l'aviazione sta subendo una modernizzazione - non soltanto con i droni, ma anche, solo per citare alcuni casi, con i 36 nuovi elicotteri di fabbricazione italiana (Leonardo AW-169), il raddoppiamento della flotta di elicotteri Black Hawk portata a 24 velivoli, quattro aerei da trasporto (Embraer C-390) e la discussione sull'acquisto di nuovi caccia - i 15 jet Eurofighter esistenti stanno invecchiando e dovranno quantomeno essere modernizzati, se non integrati o sostituiti; si stanno valutando modelli USA e svedesi, e per il momento sono stati stanziati 16 miliardi di euro a tale scopo. Per quanto riguarda i veicoli corazzati, si stanno aggiornando sul piano tecnologico i 48 carri armati da combattimento Leopard 2A4 e i 112 veicoli corazzati Ulan. Tuttavia sono stati spesi anche 1,8 miliardi di euro per veicoli corazzati su ruote e sono stati ordinati 220 veicoli Pandur Evolution, alcuni dei quali saranno provvisti di torretta armata Sky Ranger.
Non occorre molta immaginazione per rendersi conto che le forze armate austriache sono destinate a essere radicalmente modernizzate e potenziate. A quanto pare, i militari intendono trasformarsi da «battitori liberi» in partecipanti più attivi delle missioni UE e/o NATO, in grado quantomeno di svolgere incarichi speciali ad alto livello. Nel documento strategico attualmente in vigore, il Ministero della Difesa afferma espressamente che le forze armate devono diventare «pronte per la guerra». La guerra in Ucraina fornisce un pretesto ideale, poiché ora è nuovamente possibile agitare ed esagerare propagandisticamente la minaccia militare proveniente da est. In questo contesto l'Austria ha inoltre avuto modo di partecipare al progetto NATO di difesa antimissile Sky Shield, a dispetto della sua neutralità.
La conclusione è che non vi è alcun dubbio che l'Austria si collochi all'interno del blocco imperialista occidentale. Si tratta anche di una necessità - se abbandonato a se stesso, il capitale austriaco disporrebbe di opzioni estremamente limitate. L'Austria è costretta a promuovere le sue ambizioni, che talvolta possono apparire esagerate, in veste di partner minoritario, specie in campo militare, dove si muove a rimorchio della Germania e di una UE militarizzata. Nel 2024, a 110 anni esatti dall'inizio della prima guerra mondiale, questo richiama alla memoria in modo inquietante i crimini di guerra storicamente commessi nell'Europa orientale dalla «fratellanza d'armi» austro-tedesca.
I politici, mentre si sforzano di assumere una posizione chiara e affidabile - almeno a parole - si stanno lasciando aperte anche varie «uscite laterali». Il capitale austriaco rimane in Russia e in Ucraina allo scopo di conservare i suoi bastioni economici e di trovarsi sul posto quando la guerra terminerà. Il governo protegge dalle sanzioni UE singoli oligarchi russi particolarmente importanti per l'Austria. Inoltre, si sta impiegando una sorta di tattica dilatoria per assicurare la continuazione della fornitura all'Austria di gas russo, da cui il Paese è tuttora dipendente - mancando di un accesso al mare, non ha modo di costruire un proprio terminale per il gas. Contemporaneamente, la mancata costruzione del gasdotto Nabucco (fortemente voluta da OMV), che avrebbe dovuto portare in Austria gas dal Kazakistan e dalla regione del Caspio attraverso la Turchia e i Balcani, sta facendo sentire le sue conseguenze. Perciò, se quest'anno l'accordo di transito tra Ucraina e Russia per il trasporto del gas russo in Europa verrà lasciato scadere senza essere rinnovato - o se il gasdotto dovesse essere danneggiato dal conflitto - l'Austria si troverà in gravi difficoltà. Questi elementi, insieme all'andamento negativo della guerra in Ucraina, potrebbero essere all'origine dei crescenti appelli da parte del partito di governo ÖVP sulla necessità di aprire negoziati di pace con Mosca con l'aiuto dei Paesi BRICS: soltanto qualche settimana fa, una proposta del genere sarebbe stata liquidata come bestemmia anti-ucraina.
Le posizioni del Partito del Lavoro dell'Austria
In passato, il Partito del Lavoro dell'Austria ha indicato nell'aggressività dell'imperialismo USA la principale minaccia alla pace - e nel concreto la situazione è tuttora questa. La particolare aggressività degli USA deriva da un lato dalle sue enormi capacità militari e finanziarie, ma anche da alcune condizioni di dipendenza e dal declino economico. Il ruolo della NATO è legato a questi aspetti. Abbiamo sempre denunciato l'espansione della NATO a ridosso delle frontiere della Russia e della Bielorussia come pericolosa, così come la militarizzazione dell'UE. Di conseguenza, le nostre istanze anti-imperialiste comprendono l'uscita dell'Austria dall'UE e la fine di ogni collaborazione con la NATO, compresa la cosiddetta «Partnership per la Pace», nonché con gli USA, compreso lo «State Partnership Programme» che coinvolge la Guardia Nazionale. Tutto ciò è incompatibile con la neutralità austriaca, che noi rivendichiamo malgrado i suoi evidenti limiti.
Al tempo stesso, le nostre posizioni anti-militariste implicano il rifiuto del riarmo delle forze armate austriache, dell'infiltrazione di ideali militari e guerrafondai mediatici nella società e della partecipazione delle forze armate a missioni imperialiste. Le forze di occupazione austriache presenti nei Balcani devono essere ritirate. Il compito delle forze armate austriache è la difesa del territorio austriaco contro le aggressioni militari - esse non fanno parte di un esercito internazionale di intervento e non sono destinate a essere dislocate nel Paese. Inoltre, il Partito del Lavoro si oppone all'introduzione dell'esercito professionale in Austria, ed è favorevole a un servizio militare obbligatorio, abbreviato e democratico e di un parallelo sistema di milizie.
Abbiamo condannato senza mezzi termini il golpe di Maidan del 2014. I regimi di Poroshenko e di Zelensky sono espressione degli aspetti più autoritari, antidemocratici, razzisti e di estrema destra della politica ucraina, caratterizzata da un'ostilità aggressiva e talvolta omicida verso la popolazione russofona e verso la classe operaia e le sue organizzazioni sindacali e politiche. La guerra civile nel Donbass, iniziata ormai da oltre dieci anni, ha implicato sin dall'inizio il rischio di trasformarsi in una guerra interstatale tra Federazione Russa e regime di Kiev. E tale rischio si è ormai concretizzato da oltre due anni, almeno sul piano formale.
In realtà, in Ucraina si stanno scontrando le alleanze imperialiste - si tratta di una guerra imperialista e ingiusta da entrambe le parti. L'Ucraina sta combattendo una guerra per procura per gli USA e la NATO, mentre la Russia ha nella Cina il suo principale alleato. Siamo nel pieno di una guerra che viene combattuta non soltanto per il controllo di materie prime, risorse, vie di trasporto, ambiti di investimento, quote di mercato e manodopera a basso costo, ma anche per un'importante posizione geopolitica nel contesto della lotta per la redistribuzione del mondo e per l'egemonia globale. Questo conflitto è conseguenza delle leggi dell'imperialismo, della sua natura, della sua competizione e dello sviluppo ineguale del capitalismo. Viene combattuto politicamente, economicamente e infine con le armi. Questo scenario complessivo è altresì all'origine del persistente rischio di un'ulteriore escalation verso la guerra mondiale, non soltanto attraverso un coinvolgimento più diretto della NATO in Ucraina, ma anche, per esempio, attraverso un'escalation nel Pacifico.
Il Partito del Lavoro non si schiera in questo conflitto imperialista, nemmeno dalla parte dell'imperialismo più debole o del «male minore», come purtroppo fanno alcuni partiti comunisti e operai. Noi siamo schierati esclusivamente con la classe operaia, che non ha alcun interesse in questa guerra - né la classe operaia russa, né quella ucraina, né naturalmente quella austriaca. Per questo non concediamo alcuna tregua al governo austriaco, e respingiamo le sanzioni e la guerra economica così come la fornitura all'Ucraina di finanziamenti o di materiale militare. Queste forniture si traducono in problemi sociali, preoccupazioni esistenziali e difficoltà di approvvigionamento per la popolazione austriaca, oltre a implicare il rischio di venire risucchiati in modo ancor più diretto nel conflitto militare. Il motivo è che il governo e lo Stato borghese sono profondamente implicati nei piani imperialisti della NATO, dell'UE e degli USA. Naturalmente, non ci si può aspettare che il governo austriaco passi improvvisamente a una politica attiva di neutralità e di pace. Per questo è tra i compiti essenziali del partito spiegare alla popolazione che non può fidarsi del governo, dal momento che non dobbiamo riporre fiducia in nessun governo borghese né nello Stato borghese in generale.
Dobbiamo informare e mobilitare il popolo per guidare la lotta contro l'integrazione dell'Austria nella NATO e l'abolizione della neutralità. Occorrono un forte movimento per la pace e una lotta di massa per passare dalla difesa all'attacco. Per questo è necessario intensificare i nostri sforzi per rafforzare la lotta di classe - contro il nostro nemico principale, che è nel nostro Paese: l'imperialismo austriaco, il capitale monopolistico austriaco. Su questo non c'è alcun dubbio. In caso di guerra, la classe operaia deve rivoltarsi contro i governanti che la mandano sui campi di battaglia. Gli attuali rapporti di forza possono essere sfavorevoli, ma agitazioni continue possono imprimere alla situazione una dinamica per la quale dobbiamo essere preparati. Un'eventuale nuova guerra mondiale dovrà terminare con il rovesciamento del capitalismo e dell'imperialismo. La storia recente delle ex-repubbliche sovietiche dimostra con la massima chiarezza che l'imperialismo significa guerra, mentre il socialismo significa pace.
Per il momento, tuttavia, tutti gli sforzi vanno concentrati sull'obiettivo di prevenire un'escalation della guerra in Ucraina e lo scoppio di un conflitto mondiale. Sono i lavoratori a morire nelle trincee - e ogni giorno di guerra in più è un giorno di troppo. Per questo, la nostra richiesta principale riguarda un cessate-il-fuoco e soluzioni negoziate, per quanto sia lecito avere dei dubbi sulle opzioni rimaste al sistema borghese e alle Nazioni Unite ormai indebolite. È legittimo temere che la pace verrà soltanto quando il capitale USA e il capitale russo lo riterranno entrambi opportuno, e che questa pace servirà soltanto ad alimentare i profitti dei capitalisti attraverso la ricostruzione - e il riarmo: ogni pace, infatti, non è che una pausa per riprendere fiato in attesa della prossima guerra.
Di conseguenza, anche un'eventuale soluzione di pace non ci esime, naturalmente, dalla lotta di classe rivoluzionaria per il socialismo. Questo vale a maggior ragione per l'Austria, il cui capitale spera di sopravvivere più o meno intatto alla guerra in Ucraina in veste di profittatore di guerra ancor più avido, e di accaparrarsi nuovi profitti. Non ci accontenteremo mai della relativa «prosperità» austriaca che si fonda sul saccheggio di altre nazioni dell'Europa orientale e sud-orientale. Non ci rassegneremo mai alla schiavizzazione di lavoratori salariati oppressi sul piano politico e sfruttati su quello economico. E non accetteremo mai un sistema che porta la guerra proprio come le nuvole portano la pioggia.
Note:
*) Tibor Zenker, Presidente del PdA
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