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- pensiero resistente - movimento comunista internazionale - 28-01-25 - n. 921
Azione Comunista Europea: Sviluppi in Medio Oriente - Discorso di apertura TKP
Partito Comunista di Turchia (TKP) | eurcomact.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
27/01/2025
Azione Comunista Europea (ECA) - Incontro su: Sviluppi in Medio Oriente. Rafforziamo la nostra solidarietà con i popoli di Palestina, Libano e Siria - Discorso di apertura * TKP (Türki̇ye Komüni̇st Parti̇si̇)
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Cari compagni,
Rappresentanti dei partiti dell'Azione Comunista Europea (ECA) che siete qui con noi o partecipate alla riunione online, rivolgo a tutti voi un saluto militante.
La decisione di tenere questa riunione è stata presa quando i massacri in Palestina e in Libano erano ancora in corso e prima del cambiamento di regime in Siria. È chiaro che quello che stiamo vivendo è un periodo di repentini cambiamenti. Per noi comunisti, l'interrogativo è se sapremo elaborare risposte adeguate alla rapidità del momento o se, al contrario, permetteremo agli eventi di trascinarci verso il baratro. A nome del Partito Comunista di Turchia, rivolgo ancora una volta un caloroso benvenuto a tutti voi. Oggi vorrei sottolineare alcuni elementi critici relativi agli sviluppi che hanno avuto luogo negli ultimi tempi nella nostra regione e riassumere l'atteggiamento del nostro partito verso queste questioni. Questo riassunto comprenderà anche alcune proposte politiche, teoriche e pratiche.
Innanzitutto, dobbiamo avere una visione chiara delle principali dinamiche di questi sviluppi a livello globale e regionale. La prima di queste è la storica operazione avviata dagli Stati Uniti e dai loro alleati - attraverso strumenti quali la NATO - contro la struttura politica emersa, in modo diretto o indiretto, in seguito alla Rivoluzione d'Ottobre e alla seconda guerra mondiale, compreso il processo di dissoluzione dell'Unione Sovietica.
Questo processo ha messo fine a una struttura internazionale basata su due sistemi sociali contrapposti incentrati sull'URSS e sugli USA, e i Paesi imperialisti hanno tentato di eliminare gli ostacoli che limitavano la libertà di movimento dei monopoli multinazionali e del capitale in generale, mediante guerre, occupazioni, blocchi economici e sanzioni. Frammentazione dei Paesi, limitazione del potere decisionale a livello nazionale attuata dall'Unione Europea, privatizzazioni generalizzate, erosione delle conquiste dei lavoratori, controrivoluzioni, «rivoluzioni colorate» - questi gli elementi, tra loro correlati, che caratterizzano questo periodo. Si tratta di un processo tuttora in corso. La disintegrazione della Jugoslavia, l'invasione dell'Iraq e i recenti sviluppi in Siria sono eventi inscindibili.
Nel corso di questo processo sono emersi vari centri di resistenza contro l'intervento dei Paesi imperialisti. Oltre alle lotte della classe operaia e delle forze rivoluzionarie, la cui influenza varia da regione a regione, si è sviluppato un contrappeso rappresentato da Paesi quali la Jugoslavia, l'Iraq e la Siria. Questo contrappeso rispecchiava gli interessi di un settore della borghesia, si fondava sovente su ideologie nazionaliste o religiose e mirava a preservare lo status quo raggiunto nel Novecento. Tra le ragioni che hanno occasionalmente consentito a questa resistenza di rafforzarsi vi erano le crescenti contraddizioni tra Paesi di primo piano come la Germania, la Gran Bretagna e la Francia, che nel corso di questo processo storico operavano come alleati degli Stati Uniti. Altri Paesi hanno cercato di fare leva su queste contraddizioni per attenuare le pressioni a cui erano sottoposti.
Il secondo elemento di cui dobbiamo tenere conto riguardo agli sviluppi odierni è che le contraddizioni e le rivalità interne al sistema imperialista hanno acquisito contenuti nuovi. Negli anni immediatamente successivi al crollo dell'Unione Sovietica, gli Stati Uniti si sentivano minacciati dalla competitività economica prima del Giappone e poi della Germania, ma sono riusciti a preservare sia il loro sistema di alleanze, sia la loro egemonia. Ben presto, tuttavia, la rapida ascesa della Cina - un attore esterno a questo sistema di alleanze - ha introdotto una nuova dinamica sul terreno internazionale. Oltre alla Cina, anche la Russia, nel tentativo di arrestare mediante contro-mosse l'espansione della NATO su un'area di influenza sempre più vasta comprendente l'Europa orientale e le repubbliche ex-sovietiche, si è schierata contro il blocco capeggiato dall'imperialismo statunitense, insieme ad alcuni Stati capitalisti interessati ad assicurarsi una fetta di torta più grossa.
Il nuovo asse che si è formato e che sta tentando di consolidarsi mediante strutture quali i BRICS cerca, da un lato, di rafforzare la propria posizione in un contesto di una feroce competizione e conflitto interno al sistema imperialista e, dall'altro, di conseguire un vantaggio attirando verso di sé alcuni governi borghesi o Paesi che, come Cuba, vengono presi di mira direttamente per motivazioni politiche o di classe e sono preoccupati dai continui assalti sferrati dal Nuovo Ordine Mondiale sin dalla fine degli anni Ottanta. Ciascuno degli sviluppi attualmente in atto nel mondo costituisce una conseguenza diretta di questa lotta interna al sistema imperialista, o rientra nella sfera di influenza del conflitto inter-imperialista. D'altro canto, le contraddizioni e gli scontri interni al sistema imperialista non hanno determinato la fine dell'espansione dell'aggressione statunitense in corso dalla dissoluzione dell'URSS. Al contrario, vi hanno aggiunto una nuova dimensione.
Vi è poi un terzo fenomeno che, sebbene meno intenso delle due dinamiche appena citate, influisce anch'esso sugli sviluppi in corso nel mondo odierno. I conflitti di interesse tra i vari gruppi capitalisti all'interno dei singoli Paesi traggono origine dall'avidità connaturata al capitalismo. Nella fase imperialista, l'accelerazione dei movimenti di capitali, la continua delocalizzazione delle imprese e il processo di scomposizione e ricomposizione delle strutture di partnership hanno creato un contesto in cui l'identità nazionale delle imprese subisce un'erosione. In un simile contesto, è naturale che questi conflitti di interesse coinvolgano molteplici Stati. Mai prima d'ora nella storia, tuttavia, si è manifestato un simile livello di tensione all'interno della classe capitalista dei principali Paesi imperialisti. In particolare, l'evoluzione delle tensioni attualmente presenti negli USA è destinata ad avere serie conseguenze sia negli USA sia nel resto del mondo. Dobbiamo prendere atto di questa dinamica, che va tenuta in considerazione in relazione agli sviluppi internazionali.
L'analisi degli sviluppi nel Medio Oriente deve tenere conto di tutte queste dinamiche.
L'aggressione israeliana contro la Palestina sferrata più di un anno fa, che ha assunto dimensioni nuove e inedite, va interpretata come un'estensione del tentativo dei Paesi imperialisti di sbarazzarsi di ogni rimasuglio del mondo in cui esisteva l'URSS. Il nostro partito, sottolineando la natura di classe degli eventi di Gaza, ha evidenziato che sarebbe un errore analizzare la questione in termini religiosi o nazionali. L'immunità di cui Israele gode a livello internazionale trae origine dal sostegno tributato a questo Stato dal potere del denaro, dal fatto che il capitale ebraico è molto più forte del capitale palestinese e dal fatto che la borghesia palestinese non ha alcun legame con la popolazione ridotta in miseria di Gaza. Fatta eccezione per le proteste simboliche sollevate da alcuni Paesi e per la presa di posizione dell'Iran, che tenta di appoggiare la resistenza per fini propri, durante tutto questo periodo la situazione a Gaza non ha suscitato alcuna battaglia o competizione all'interno del sistema imperialista, e il popolo palestinese è stato abbandonato a se stesso.
Con ogni probabilità, la cosiddetta soluzione imposta al popolo palestinese solleverà obiezioni scarse o nulle. Un proseguimento dell'aggressione israeliana, incentrata ora anche sulla Cisgiordania, un allargamento della zona occupata in Siria, incursioni aeree sul Libano e la possibilità per Israele di rinnovare la propria immagine mediante un cambio di governo e di migliorare le sue relazioni con i Paesi della regione, Turchia compresa, non sono sviluppi improbabili. D'altronde, la strage perpetrata a Gaza non ha ostacolato le relazioni - mantenute in via riservata o indiretta - tra Israele e molti Paesi arabi, nonché la Turchia. L'Azerbaijan, stretto alleato della Turchia, ha intense relazioni con Israele, in particolare nel settore energetico e in quello degli armamenti, che indubbiamente rivestono importanza in questo contesto.
L'eliminazione dei dirigenti più determinati di Hamas, che avevano legami più stretti con gli abitanti di Gaza ridotti in miseria, e il ritorno dell'organizzazione sotto il controllo del duo Turchia-Qatar, favorirà probabilmente una maggiore disponibilità al compromesso da parte della resistenza palestinese. In questo scenario, l'unica possibilità per le forze progressiste, rivoluzionarie e comuniste della Palestina di riconquistare un'influenza è che i palestinesi ridotti in miseria, che vivono quotidianamente la dura realtà della lotta di classe, lancino un rinnovamento strategico della loro lotta per uno Stato palestinese indipendente, spostando la lotta dal terreno nazionale e religioso a quello di classe. Questa necessità, anzi, si sta facendo sempre più urgente in tutta la regione, come evidenziano con chiarezza gli sviluppi in Siria.
In questo contesto, gli eventi recentemente occorsi in Siria rivestono grande importanza. Il processo che ha condotto al rovesciamento del governo baathista in Siria è collegato da un lato al periodo contro-rivoluzionario iniziato con il crollo dell'Unione Sovietica, e dall'altro alle contraddizioni interne al sistema imperialista. Non sorprende che i soggetti collocati dietro le quinte dell'operazione sferrata quattordici anni fa contro la Siria siano praticamente gli stessi che hanno organizzato la «vittoriosa» operazione finale. Oltre agli Stati Uniti, anche la Gran Bretagna, Israele, la Turchia e altri attori hanno finalmente ottenuto il risultato che agognavano da molti anni.
A detta di molti, il prossimo bersaglio sarà l'Iran. In particolare, va preso seriamente in considerazione il fatto che ad affermarlo apertamente siano alcune figure che rappresentano il governo turco o che hanno stretti legami con esso. In tale contesto vanno inquadrate anche le crescenti tensioni tra l'Iran e l'Azerbaijan, date le strette relazioni di quest'ultimo con Israele. Le popolazioni azera e curda dell'Iran vanno considerate punti sensibili per qualsiasi eventuale operazione contro questo Paese. Indubbiamente, il principale problema dell'Iran sta nel fatto che da anni un governo ostile al popolo condanna il Paese all'oscurantismo e alla miseria. In modo molto simile a quanto è avvenuto in Siria, la disponibilità e la determinazione di ampi settori della popolazione a difendere il Paese contro l'aggressione imperialista si sono indeboliti.
Tutti questi sviluppi si ricollegano ai tentativi messi in atto da un settore della borghesia turca di aumentare la propria influenza a livello regionale, in una prospettiva neo-ottomana, sfruttando il carattere islamista dell'AKP. A tale riguardo, è rilevante notare che esistono due interpretazioni diverse all'interno degli ambienti capitalisti turchi. La prima, evidenziando l'inarrestabile ascesa della Turchia, saluta questi sviluppi con entusiasmo. Per contro, vi è chi obietta che la Turchia si è infilata in una trappola, e teme che dopo l'Iran sarà il turno della Turchia.
Questi due esiti sono complementari. Sappiamo che il capitalismo turco è oggi caratterizzato da una tendenza imperialista, che malgrado le vulnerabilità della sua economia possiede un'infrastruttura industriale di tutto rispetto e che i monopoli turchi vantano una presenza considerevole in Asia, Europa, Africa e perfino America Latina. Inoltre, la presenza di militari turchi in vari Paesi e lo sviluppo dell'industria degli armamenti turca rafforzano ulteriormente questa tendenza. Sebbene si tratti di una tendenza impossibile da invertire, è evidente che sarebbe molto difficile per la Turchia diventare il Paese dominante della regione dando vita a un asse islamico sunnita e a una cosiddetta pace con i curdi. Questa regione costituisce un'area di aspri conflitti, e nessuna potenza regionale o globale accetterebbe la Turchia come attore forte a livello locale. Per questa ragione, il TKP ammonisce che «una Turchia espansionista finirà per rimpicciolirsi o perfino per scomparire». Questa non va considerata soltanto come una presa di posizione politica e morale del TKP contro l'espansionismo - costituisce anche una valutazione realistica.
Riteniamo che i partiti dell'ECA debbano discutere nei dettagli le seguenti questioni:
In un periodo in cui i confini vengono alterati da operazioni imperialiste o vengono messi in discussione in vista di potenziali modifiche, quali devono essere le prese di posizione e i metodi di lotta dei partiti comunisti in reazione a questi progetti?
Quali iniziative vanno prese per impedire che i migranti musulmani si accodino ai movimenti jihadisti - ciò che è divenuto oltretutto un problema interno all'Europa ed è destinato a divenire presto un dato sociale rilevante in Paesi come la Germania, la Francia, il Belgio e i Paesi Bassi?
È il momento di riconsiderare e rivalutare il principio del Diritto delle Nazioni all'Autodeterminazione, che in passato è stato messo in primo piano nell'affrontare la questione nazionale, mettendo talvolta in ombra la prospettiva di classe?
Siamo fiduciosi che i nostri partiti faranno la loro parte per rispondere a questi e ad altri interrogativi analoghi in modo coraggioso, motivato e creativo. Anche il TKP prenderà parte a questo sforzo collettivo.
Nella nostra regione così come nel mondo intero, il futuro appartiene alla classe operaia - il futuro appartiene ai comunisti.
*) Discorso di apertura di Kemal Okuyan, Segretario generale TKP
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