www.resistenze.org - popoli resistenti - afghanistan - 08-09-09 - n. 285

da www.resumenlatinoamericano.org/index.php?option=com_content&task=view&id=1231&Itemid=47&lang=
Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
Elezioni afgane: una farsa in un paese occupato
 
di Miguel Urbano Rodrigues
 
Le elezioni presidenziali e locali in Afghanistan sono state, come previsto, una tragica farsa: astensionismo, episodi di violenza e le truppe straniere che salvaguardano gli interessi dell'impero invasore.
 
Più di 300.000 fra soldati e poliziotti (100.000 della NATO e della Forza “Libertà Duratura”, costituita esclusivamente da truppe statunitensi) sono state mobilitate per garantire il carattere "democratico" del processo elettorale. Ma lo spettacolo non si è svolto secondo programma.
 
Washington aveva espresso la speranza che le elezioni fossero "pulite e di massa”. Invece sono state sporche e l'astensione è stata enorme. Nella maggior parte delle province si sono moltiplicati gli attacchi armati contro siti strategici. Secondo la Commissione elettorale indipendente (si chiama così), in 15 province sono stati registrati circa 135 "incidenti". Bilancio provvisorio: 56 morti. Alcuni seggi sono stati colpiti da missili. Alla vigilia, il palazzo presidenziale è stato bombardato.
 
Hamid Karzai, un ex funzionario di secondo piano di una multinazionale statunitense, si è affrettato a proclamarsi vincitore con maggioranza assoluta, evitando così il ballottaggio nel mese di ottobre. Ma anche il suo principale avversario, Abdullah Abdullah, ha reclamato la vittoria.
 
La Commissione elettorale ha dichiarato che i risultati ufficiali, non ancora definitivi, saranno divulgati non prima della metà di settembre. Ufficialmente gli aventi diritto di voto erano oltre 17 milioni. Può accadere che le statistiche in Afghanistan siano fantasiose. Attualmente, queste attribuiscono al paese 33 milioni di abitanti ma 30 anni fa il governo rivoluzionario stimava questo dato in appena 16 milioni.
 
La Commissione elettorale ha affermato che hanno funzionato il 95% dei 6.500 seggi elettorali. Nessuno ci ha creduto, perché molti dei 364 distretti sono sotto il controllo della guerriglia.
 
Stranamente, il 70% degli elettori è di sesso femminile. L'assurdità ha una spiegazione: sono i mariti che iscrivono le loro mogli - spesso tre o quattro - nelle liste elettorali. La legge non richiede che esse siano presenti all’atto della registrazione. I certificati elettorali, inoltre, non hanno alcuna immagine, per cui il controllo è impossibile.
 
Corrispondenti dei giornali europei hanno rivelato che sul mercato nero sono stati venduti centinaia di migliaia di certificati elettorali ad un prezzo pari a sei euro. Uno dei candidati alla presidenza, il miliardario Ashrai Ghani, ex ministro delle Finanze, afferma che Karzai ha ricevuto circa 800.000 voti fittizi dall’elettorato femminile.
 
Siccome la stragrande maggioranza della popolazione è analfabeta, dopo il voto veniva loro dipinto un dito. L'inchiostro usato era lavabile, il che permetteva allo stesso cittadino di votare più di una volta.
 
Il numero dei candidati presidenziali è da guinness dei primati: una quarantina! Dal momento che contemporaneamente 3.195 cittadini erano candidati nelle elezioni locali alla carica di consigliere comunale, la corruzione e la violenza si è diffusa in tutto il paese come lava fuoriuscita da un vulcano.
 
I sostenitori di Karzai e Abdullah sono stati coinvolti in una guerra interna. Decine di candidati sono stati uccisi. E’ stato ucciso anche il direttore della campagna di Abdullah.
 
Il coinvolgimento della presidenza in diversi casi di corruzione (in casa del fratello del capo dell'Esecutivo è stato sequestrato un quantitativo enorme di eroina) e l’appropriazione da parte dei suoi dipendenti di centinaia di milioni di dollari di “aiuti internazionali", ha portato Karzai a rivedere le alleanze negli ultimi mesi. Per ricevere il sostegno dai grandi capi tribali, che per anni aveva combattuto o deportato (come l’uzbeko Rashid Dostum, un genocida), ha comprato la coscienza ed i voti.
 
L'euforia e la paura di Hamid Karzai
 
Il presidente temeva quello che sarebbe potuto accadere il giorno 20 agosto. Per prudenza, ha proibito ai mezzi di comunicazione di dare notizia delle violenza della vigilia e del giorno delle elezioni. L’accesso dei giornalisti ai seggi è stato impedito ed il governo ha reso noto che i corrispondenti stranieri sorpresi a violare il divieto sarebbero stati espulsi.
 
Il venerdì mattina seguente [21 agosto], Karzai ed i suoi ministri hanno cominciato a parlare di un massiccio afflusso alle urne. Alcuni media stranieri hanno diffuso la notizia. Era una notizia falsa. Le lunghe file di votanti ai seggi non esisteva.
 
Il sabato [22 agosto], la Commissione elettorale annunciava una quota di partecipanti al voto tra il 40 e il 50 percento. In altre parole, più della metà degli elettori registrati non avevano votato, nonostante le formidabili pressioni ufficiali e l'atmosfera di intimidazione che si respira in un paese occupato. Gli inviati speciali delle agenzie Reuters e EFE e dei grandi quotidiani conservatori europei, tra cui Le Monde, Le Figaro, El Pais, hanno sottolineato nei loro reportage che giganteschi brogli minavano la credibilità dei risultati che sarebbero stati divulgati.
 
Secondo Le Monde, i diplomatici occidentali stimavano al 10% la partecipazione degli elettori in alcune regioni del sud.
 
Un rapporto dell’UNAMA, la Missione di Assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan, pubblicato agli inizi di agosto, esprime grande preoccupazione per il futuro del paese. A suo parere, il clima di violenza che ha attraversato la campagna elettorale, contrassegnata dalle minacce, dal furto dei fondi internazionali, dall’omicidio e da una corruzione travolgente, smentisce l'ottimismo di coloro che insistono nel definire le elezioni come "democratiche".
 
Queste prove non hanno impedito che dopo la chiusura delle urne Barack Obama le definisse "un successo".
 
Alla vigilia, in un discorso in Arizona, il presidente degli Stati Uniti aveva ancora una volta difeso la guerra in Afghanistan, come una priorità strategica, essenziale per la sicurezza del popolo americano, e dichiarato che il grande compito dei militari del suo paese consiste ora nella "conquista dei cuori e delle menti degli afgani".
 
La reale situazione del paese non conferma la speranza dai toni romantici di Barack Obama.
 
Anche il nuovo segretario generale della NATO, il danese Anders Rasmunssen, ha espresso soddisfazione per il clima che avvolgeva la giornata elettorale, garantita dalle “forze di sicurezza".
 
Stando ai corrispondenti esteri, la grande maggioranza degli afgani di tutte le etnie, odia i militari stranieri che occupano il paese.
 
La popolarità di Karzai a Kabul è molto bassa. Non è così per l'immagine degli ex leader della rivoluzione afgana. René Girard, inviato di Le Figaro riporta che nella capitale non si vede un ritratto dell'ex presidente Muhammad Najibullah. Ma questo non impedisce - scrive - che egli sia ancora “il politico più popolare della storia afgana contemporanea”.
 
Incognita: l’opzione di Washington
 
Il principale obiettivo delle elezioni era la legittimazione con il voto della tutela imperiale imposta dagli Stati Uniti al popolo afgano.
 
Ma l'alta percentuale di astensione ha espresso la condanna della guerra e della caricatura della democrazia rappresentativa impiantata con la protezione delle baionette americane.
 
Non c'è da stupirsi che la stessa stampa dagli Stati Uniti cominci a mettere in discussione la strategia di Obama nella regione.
 
Viene ricordato che il presidente ha inviato in Afghanistan più di 21.000 soldati ed esteso gli attacchi aerei alle aree tribali del Pakistan, abitate da pashtun, sostenendo che queste fungono da “santuari per i talebani”.
 
La nomina del generale Stanley McChrystal a comandante in capo della regione è stata anche il prologo della grande offensiva nella provincia di Helmand che ha coinvolto 4.000 fra marines e truppe d'elite britanniche. Nel frattempo, lo stesso generale - un berretto verde con un curriculum da criminale di guerra - riconosceva che quest’offensiva, volta a creare le condizioni di sicurezza per le elezioni, non ha raggiunto i suoi obiettivi. E’ stata un fallimento militare e politico. Il numero di vittime è stato molto elevato. McChrystal ha abbandonato la retorica trionfalistica e ora parla di una "guerra di lunga durata".
 
La popolarità di Obama (che per la prima volta si attesta intorno al 50%) è indebolita, e la sua strategia afgana trova sempre maggiori detrattori.
 
Le principali reti televisive ed i giornali di rilievo nazionale, come il The New York Times ed il Washington Post, sono consapevoli che le elezioni presidenziali hanno messo la Casa bianca in una situazione problematica.
 
Nelle ultime settimane, le critiche verso Hamid Karzai da parte di figure di spicco dell’amministrazione sono aumentate. Il presidente fantoccio e corrotto è diventato molto scomodo. Ma Washington teme l'instabilità che potrebbe derivare dalla necessità di un ballottaggio nel mese di ottobre, nel caso Karzai non ottenga il 50% indispensabile alla rielezione automatica.
 
La risposta a questa incognita sarà nota quando la Commissione elettorale annuncerà il nome del vincitore delle elezioni e la percentuale di voti ottenuta [La Commissione ha assegnato il 54% a Karzai ed il 28,3% a Abdullah. L’8 settembre però, per la prima volta, ha parlato di “prove chiare ed evidenti di brogli”, ordinando un parziale riconteggio delle schede, N.d.T.]. Nel frattempo, gli osservatori internazionali ritengono che la decisione sul nome del futuro presidente sarà presa a Washington. Ci sono stati tanti brogli in queste elezioni di fantasia che uno in più, ed il più grande di tutti, non è improbabile.
 
Il popolo afgano, soggetto della storia
 
Il 1988, 21 anni fa, fu la mia ultima volta in Afghanistan.
 
La rivoluzione, abbandonata da Gorbaciov, lottava per sopravvivere. Le ultime truppe sovietiche si ritiravano dal paese e la farina e l'olio cominciavano a scarseggiare. Ma le forze armate afgane si battevano coraggiosamente contro le bande di mujahidin delle Sette organizzazioni sunnite di Peshawar, armate e finanziate dagli Stati Uniti. Reagan riceveva alla Casa bianca i loro capi - quasi tutti milionari legati alla produzione, al traffico ed al racket della droga - come dei combattenti per la libertà.
 
Osama bin Laden, allora uno sconosciuto, era alleato di questa gente. La sua famiglia manteneva rapporti di amicizia con George Bush padre, il vicepresidente degli Stati Uniti. I talebani non erano ancora stati creati dalla CIA e dai servizi segreti del Pakistan.
 
Nel 1988 le ragazze erano ancora più numerose rispetto agli uomini all’Università di Kabul. Nelle caserme della cordigliera, durante l’attraversata dell'Hindu Kush, parlai con le donne che combattevano per la rivoluzione, con il fucile in spalla ed a viso scoperto. C’erano ministri donne nel governo.
 
Conservo di quella visita e delle altre precedenti dei ricordi indelebili.
 
La rivoluzione aveva espropriato i signori feudali, dato la terra e l’acqua ai contadini (in un paese in cui nulla di verde germoglia senza l’acqua che proviene dalle montagne innevate), aveva fondato università, installato fabbriche, costruito migliaia di scuole, restituito dignità alle donne.
 
Non una sola capitale delle 34 province era stata conquistata dai controrivoluzionari. Non posso dimenticare le notti insonni a Kabul trascorse a parlare della rivoluzione e delle sue inseparabili sfide con i dirigenti del Partito Democratico Popolare, l'organizzazione marxista che aveva preso il potere un decennio prima. Ricordo con nostalgia alcuni di questi compagni, rivoluzionari esemplari che mi aiutarono a capire la storia profonda dei popoli che per secoli hanno abitato le montagne, le valli e i deserti di quel paese.
 
Dopo due decenni, tutto questo è finito.
 
In Portogallo, leggendo i testi che giornalisti mercenari o ignoranti scrivevano a proposito delle elezioni farsa, non è senza dolore che penso alla terra afgana, invasa, occupata e governata dagli Stati Uniti.
 
Durante il mio passaggio in quei luoghi nacque un amore, che divenne quasi una passione per la storia della fusione di popoli molto diversi che solo nel XVIII secolo furono definiti come afgani.
 
Sulla loro storia ho scritto centinaia di pagine su libri e giornali.
 
Nel leggere cosa hanno detto sulle elezioni il presidente Obama ed il generale McChrystal, una domanda si è fatta strada in me: saranno a conoscenza, non importa se superficialmente, che l'Afghanistan è oggi probabilmente il più ricco museo archeologico naturale dell'umanità, perché sotto terra, inesplorati, si trovano le vestigia uniche di grandi civiltà scomparse?
 
Ho pensato alle città achemenidi della Battriana, rovine delle polis greche fondate da veterani di Alessandro, alle mura dei persiani sasanidi, ai Budda giganti di Bamiyan, eretti dai kushan venuti da Oriente, ai tesori statuari greco-battriani, ai palazzi sepolti dei ghaznavidi turchi, alle moschee abbacinanti dei safavidi, al principe timurida Babur, fondatore dell’impero del Gran Mogol, che a Kabul scrisse un capolavoro della letteratura mondiale.
 
E mi chiedevo se Obama ed il generale McChrystal sanno che nel corso di oltre venticinque secoli innumerevoli generazioni dei popoli di origine iraniana - da cui discendono gli attuali pashtun e tagiki - hanno combattuto per il diritto di essere liberi, tra le montagne e le valli del moderno Afghanistan, contro tutti gli invasori, dai persiani di Dario, agli americani di Obama, passando per gli unni eftaliti, gli arabi, i mongoli di Gengis Khan, i chagatai turchi di Tamerlano, gli inglesi, i russi dell'impero zarista.
 
Fa male sentire il presidente degli Stati Uniti, un uomo colto e forse onesto, farneticare sulla necessità di intensificare la guerra in Afghanistan per difendere la libertà e la democrazia. Fa male, ripeto, immaginare la barbarie occidentale che si abbatte sopra la terra ed i popoli dell'Afghanistan che ho imparato ad amare.