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Donne in Afghanistan: un tunnel senza luce?
 
di Cristina Carpinelli
 
24/05/2010
 
Incontriamo a Milano Mehmooda giovane donna membra del RAWA (Associazione Rivoluzionaria per le donne Afghane).
 
La condizione delle donne in Afghanistan non è stata sempre quella che si è determinata nel corso degli ultimi decenni. Le donne afgane hanno visto tempi migliori quando erano libere di uscire, lavorare, frequentare la scuola, e quando non c’erano restrizioni nel loro modo di vestire. Come è potuto accadere che abbiano perso nel tempo i loro fondamentali diritti?
 
Fino a due decenni fa la condizione della donna era più vantaggiosa rispetto ad oggi. Il suo peggioramento è ascrivibile al mutamento del quadro politico nel paese, che ha visto, dalla proclamazione della Repubblica islamica dell’Afghanistan (1992), il sopravvento e la presa del potere da parte dei signori della guerra e del fronte dei mujaeddin, che si è dimostrato disunito consentendo, dal 1996 al 2001, la vittoria dei talebani, salvo che in alcuni territori settentrionali controllati dall’Alleanza del Nord (AdN). I talebani hanno applicato al paese una versione estrema della sharia, che impediva qualsiasi forma di libertà e modernizzazione, e non riconosceva nessun diritto alle donne. Tuttavia, gli anni della guerra civile (1992-1996), quelli delle atrocità (stupri di gruppo, distruzione, carneficine, saccheggi ecc.) commesse nel nome dell’Islam dai partigiani della Jehad (guerra santa islamica) non furono certo migliori. I talebani sono stati soltanto la successiva generazione di tiranni fondamentalisti.
 
Sino alla fine degli anni ’80 le donne hanno potuto ricoprire posti di medico, insegnante e avere anche incarichi politici. Hanno potuto riappropriarsi dei loro ruoli dopo la caduta del regime dei talebani?
 
Prima dell’ascesa dei talebani, le donne afgane costituivano il 40% dei medici di Kabul, il 70% di insegnanti di scuola, il 60% di docenti all’università di Kabul e il 50% di studenti universitari. Con la guerra civile prima e con i talebani successivamente, i diritti delle donne sono stati azzerati. Attualmente, nell’Afghanistan di Karzai, è consentito alle donne uscire da sole, lavorare, studiare ecc. Tuttavia, la presenza sul territorio dei signori della guerra, dei trafficanti d’armi e di oppio, di bande criminali e di mafiosi, e dei talebani (dove in alcune province governano ancora), rendono il paese insicuro. L’Afghanistan si trova, poi, in uno stato di guerra permanente. Quasi tutti i giorni ci sono guerriglie, rappresaglie o bombardamenti da parte delle truppe straniere, di cui spesso le vittime sono dei civili. L’instabilità nel paese e i suoi pericoli costanti fanno sì che le donne tendano a rinchiudersi dentro le mura domestiche. Inoltre, la distruzione di vaste zone del paese ha contribuito ad innalzare il tasso di disoccupazione, soprattutto di quello femminile.
 
È rischioso per le donne recarsi al lavoro o all’università?
 
Ovviamente, instabilità e insicurezza si ripercuotono negativamente su di esse, che hanno paura di andare al lavoro o all’università. Alcuni genitori sono così angosciati che non permettono alle proprie figlie di lasciare la casa per recarsi a scuola. Fenomeni di aggressioni, violenze e stupri sono all’ordine del giorno, soprattutto nelle piccole città e nei villaggi. Donne e minori sono trascinati fuori delle proprie abitazioni e molestati sessualmente. Nelle regioni in mano ai “taleban commanders”, ai signori della guerra o al partito islamico, la posizione della donna è molto vulnerabile. Qui capita che donne e bambine siano violentate nelle proprie case, di solito la sera o la notte, durante le incursioni armate. Accade anche che le bambine vengano rapite lungo la strada mentre vanno a scuola. Ci sono al riguardo molte testimonianze documentate dall’Osservatorio per i Diritti Umani (HRW). Anche il clima che si respira nelle città o nella capitale (Kabul) non è certo rassicurante, tuttavia non è paragonabile a quello dei piccoli centri.
 
È nota la storia dei crimini e delle violazioni dei diritti umani e delle donne compiuti dai gruppi dell’AdN (dopo la caduta del regime fantoccio di Najibullah nel 1992, entrarono a Kabul, rapirono migliaia tra bambine e donne ed imposero a quest’ultime il velo) e dai signori della guerra, inclusi omicidi per libidine, stupri e sevizie. Oggi sono rivali dei talebani e amici degli americani, e ricoprono un ruolo chiave nel governo di Karzai appoggiato dagli USA. Ma perché gli americani, che hanno invaso l’Afghanistan per portare “progresso e pluralismo, tolleranza e libertà” (operazione “Enduring Freedom”), considerano i “warlords” e l’AdN come loro principali alleati?
 
L’Afghanistan è il primo produttore mondiale di oppio. L’industria del narco-traffico è controllata dai signori della guerra e dai cartelli del crimine. Pure alcuni amministratori provinciali e comandanti militari ricavano un considerevole guadagno dal traffico di eroina. Si sa che gli USA sono coinvolti nel business globale della droga e nel suo traffico in Afghanistan. Ecco perché sono “amici” di queste bande di criminali, che per questo sporco giro d’affari, ma molto redditizio (incassano bilioni di dollari l’anno!), non esitano a rapire minori, usati anche per altri traffici (sessuale e di organi umani).
 
Accennando prima al governo attuale di Karzai, ho fatto riferimento al fatto che alcuni guerrafondai, che hanno preceduto i talebani e colpevoli di crimini inauditi fomentati dall’odio etnico e dal fondamentalismo religioso, ricoprono oggi un ruolo chiave nel governo. Ma come ciò può essere una garanzia per la lotta a favore dei diritti delle donne?
 
Infatti, le donne non hanno visto migliorare la loro condizione se non in alcune limitate parti del paese. In altre zone l’incidenza degli stupri e dei matrimoni forzati è nuovamente in crescita, e le donne continuano a indossare il burqa per paura, per tutelare la propria sicurezza. La guerra al terrorismo ha scacciato i talebani dal governo centrale, ma non ha sradicato il fondamentalismo religioso, che è la causa principale delle nostre sofferenze. I signori della guerra e l’AdN sono ancora al potere e sono appoggiati dal governo USA. Costoro sono ideologicamente simili ai talebani. Essi sono misogini quanto loro. Karzai ha radunato attorno a sé tutti i criminali e persino alcuni leader talebani di alto livello.
 
Che opinione ha la gente comune degli americani?
 
All’inizio gli americani sono stati accolti bene. Erano quelli che avrebbero portato pace e sicurezza, liberato il paese dai crudeli talebani. E in effetti nel giro di poco tempo il loro regime fondamentalista è stato rovesciato. Tuttavia, man mano che il tempo passava era sempre più chiaro che l’obiettivo degli americani (e dei loro alleati) non era il benessere del popolo afgano (che vedeva con enormi sofferenze cadere ogni giorno sulla propria testa le bombe straniere), ma il controllo di uno spazio geopolitico strategico nel campo energetico e redditizio nella compra-vendita dell’oppio. Certo, l’interesse americano per l’Afghanistan era già iniziato molti anni fa, quando gli Usa avevano largamente sovvenzionato i talebani (i “resistenti”, coloro che combattevano per liberare il paese dallo straniero invasore) per sottrarre il paese alla sfera d’influenza sovietica. Oggi la gente desidera che le truppe straniere si ritirino al più presto dal paese. Gli afgani sono stremati da due decenni di guerra.
 
C’è stato qualche miglioramento per le donne dopo che Barack Obama, il nuovo Presidente degli Stati Uniti, ha incrementato il numero delle sue truppe nel paese?
 
Assolutamente no. Sono aumentati i conflitti e le morti dei civili. La società è destabilizzata. La gente non sopporta più gli “invasori” stranieri, e ciò favorisce i talebani, i signori della guerra e le bande criminali.
 
Oggi le donne indossano ancora il burqa?
 
Nelle città e nella capitale le donne vestono in genere normalmente. Nei villaggi, dove è forte l’integralismo religioso, è facile incontrare donne con il burqa. Esse sono ancora talmente preoccupate per i rischi di molestie, rapimento dei bambini e matrimoni forzati, che si sentono più sicure se girano integralmente coperte.
 
Può una donna liberarsi da un matrimonio forzato o violento, nel caso lo desideri? È facile per lei risposarsi o avere nuove relazioni sentimentali?
 
Non è facile. Da noi la tradizione familiare è forte e sentita anche dalle donne, soprattutto da quelle che vivono nei villaggi. C’è un grande rispetto e attaccamento per la famiglia e i suoi valori. Il modello patriarcale è radicato e le donne difficilmente chiedono il divorzio. Nelle città capita d’incontrare donne che abbiano chiesto di divorziare e che poi si siano anche risposate. Sono tuttavia casi rari. Di solito queste donne sono persone coraggiose, che sanno di dover combattere un’opinione pubblica refrattaria che le etichetta come persone cattive, da allontanare. Oltre alla cultura, altri fattori agiscono da ostacolo alla liberazione della donna da matrimoni costruiti sulla costrizione e l’abuso. La legge e persino la sharia islamica prevedono la possibilità del divorzio. Ma gli ostacoli da superare sono tanti, e non pochi sono i casi di donne che attivano la procedura di divorzio per poi ritirarla. Innanzitutto, giudici e avvocati sono quasi tutti uomini. In più, sono difensori di un sistema giuridico che si appella alla sharia, quindi il loro comportamento è già a priori ostile verso le donne. Poi ci sono molte restrizioni. Ad esempio, essere picchiate dal marito non è una motivazione sufficiente per divorziare. Inoltre, bisogna trovare “otto” persone che testimonino davanti al tribunale i ripetuti abusi fisici da parte del marito. Il divorzio è concesso solo nei casi d’infermità mentale del coniuge o se quest’ultimo è ritenuto, secondo i canoni della morale islamica, un uomo “cattivo” o “infedele”.
 
Come viene trattata una donna sposata che non “può” avere figli?
 
L’uomo in questi casi ottiene facilmente il divorzio e si risposa con un’altra donna. Da noi una famiglia senza figli è impensabile.
 
Qual è oggi la condizione dell’istruzione nel tuo paese?
 
Non buona, c’è un clima d’insicurezza che non aiuta. Nei villaggi in mano ai talebani l’istruzione quasi non esiste; le donne sono private di questo diritto. In alcuni villaggi remoti non ci sono istituti scolastici. E poi c’è la piaga endemica della povertà. E’ difficile per i bambini di famiglie povere, che non hanno nemmeno i mezzi per soddisfare i bisogni più elementari, frequentare la scuola. Circa 1/5 dei 28 milioni di afgani vive sotto la soglia di povertà. Il 40% della popolazione non trova lavoro e la maggior parte della popolazione spende quasi tutti i propri introiti per procurarsi da mangiare. Molti giovani abbandonano la scuola in cerca di un lavoro comunque difficile da trovare. Il tasso di alfabetismo è molto basso: quello femminile è solo del 4%.
 
E per quando riguarda la sanità?
 
Ci sono pochi ospedali. Alcuni sono stati bombardati. Mancano le attrezzature sanitarie e c’è carenza di personale medico e para-medico. In alcune zone rurali il diritto alla salute non esiste. Non si trovano i servizi sanitari di base e soprattutto non ci sono donne medico e infermiere in grado di prendersi cura delle pazienti, che non possono essere visitate da un medico di sesso maschile. Nelle grandi città esistono cliniche private dove lavora personale medico straniero, i cui costi sono da capogiro. Sono state costruite per le leadership politiche ed economiche e sono inavvicinabili per la gente comune.
 
Secondo te, quali sono i problemi più urgenti che le donne dovrebbero affrontare?
 
Direi tre. Politico: lottare per sconfiggere il fondamentalismo religioso. Culturale: lavorare per sconfiggere il patriarcato e la cultura del familismo, che ostacolano qualsiasi progresso e avanzamento della donna in famiglia e nella società. Economico: rimuovere gli ostacoli materiali, poiché ciò aiuta a migliorare effettivamente le condizioni di vita.
 
Quali sono i provvedimenti che il governo dovrebbe assumere per migliorare lo stato delle donne afgane?
 
Quelli per combattere il crimine e la corruzione. Dovrebbe, inoltre, lavorare per la democrazia e in difesa della laicità per rendere giustizia alle donne. Dovrebbe, infine, introdurre misure economiche per stimolare il lavoro femminile.
 
Non ci si può meravigliare, dopo il quadro del paese che hai illustrato, se in Afghanistan il tasso di suicidio tra le donne è in crescita…..
 
In effetti c’è un aumento significativo del tasso di suicidi femminili, soprattutto tra le donne di età compresa tra i 16 e i 25 anni che non vedono prospettive davanti a sé, se non una vita piena di umiliazioni e sofferenze. In molti casi, dietro questi suicidi si annida la violenza, domestica e non, che affligge le donne in una misura così rilevante da essere considerata un fattore d’emergenza nella società afgana.
 
Ci sono donne in top-position?
 
Si. Ma sono mogli di uomini di potere: politici o businessmen. Esercitano il potere che è loro attribuito dallo status coniugale. Una di queste è la moglie di Burhanuddin Rabbani (leader del partito islamico Jamiat-e-Islami e deputato in parlamento), che è un’importante donna d’affari.
 
Che cosa ci dici a proposito della partecipazione delle donne al voto politico?
 
Ci sono stati tempi in cui l’affluenza delle donne ai seggi era alta. Oggi si può dire che il loro interesse è scarso, e questo dipende dal fatto che non intravedono cambiamenti a loro favore, qualsiasi sia la compagine di governo. Le donne afgane vedono violati anche i loro diritti politici. Almeno il 90% non ha documenti e non può provare la propria cittadinanza. Centinaia di seggi elettorali riservati alle donne non sono aperti in alcune aree del paese. Gruppi armati le intimidiscono per impedire loro di esercitare il diritto di voto. In circa il 50% delle province il dato dell’affluenza elettorale delle donne è in calo.
 
Quante sono le donne in parlamento? In che modo s’impegnano per la causa femminile?
 
Circa il 27% dei seggi nel parlamento è riservato per legge alle donne. Le donne elette sono 68, ma sfortunatamente il loro impegno per la causa femminile non è incisivo. Battersi per questa causa può mettere a rischio la loro vita. Esemplare è il caso della giovane deputata Malaly Joya, che ha denunciato la presenza in parlamento di persone da lei definite “signori e criminali di guerra” e che è stata sospesa dal suo ruolo di deputato per aver aperto un contraddittorio con un collega durante una trasmissione televisiva. Oggi Malaly Joya è sotto scorta ed è costretta ogni notte a cambiare domicilio.
 
Durante il regime dei talebani Rawa ha gestito in clandestinità molte scuole per offrire educazione alle donne, cui era stato negato il diritto all’istruzione. Sono tutt’ora attive? Se sì, operano ancora segretamente?
 
Nelle città ce ne sono sempre di meno, mentre se ne trovano ancora nelle zone rurali. Rawa continua il suo lavoro. Molte scuole e programmi educativi sono tuttora operativi (pur non lavorando sotto il nome di Rawa), soprattutto nei villaggi dove le ragazze non hanno il permesso di andare a scuola. Ci sono ancora classi allestite nei cortili delle case per quelle bambine cui non è consentito nemmeno di uscire.
 
In tempi recenti, i media hanno avuto più libertà di espressione e maggiore diffusione. Questo è in qualche modo di aiuto per la causa delle donne?
 
Nell’Afghanistan di oggi, rispetto al periodo del terrore talebano, si vedono più giornali. Ma, chi più chi meno, sono asserviti alla propaganda ufficiale del governo e per i giornalisti ‘remare contro corrente’ può essere pericoloso. Anche Rawa ha una propria rivista, “Payam-e-Zan” (Il messaggio delle donne), ma gli edicolanti sono disincentivati, attraverso misure di pressione, dal tenerne delle copie per venderle. Così nel paese c’è una sua cattiva distribuzione. In alcune zone non riesce nemmeno ad arrivare.
 
In Occidente è opinione diffusa che ora le donne afgane stanno meglio. C’è una qualche responsabilità dei media occidentali riguardo a ciò?
 
Sì, penso che i media occidentali trasmettano questo messaggio a scopo propagandistico, per dimostrare quanto la presenza degli americani e dei loro alleati in territorio afgano sia stata e sia molto utile per la causa afgana (e delle donne). Purtroppo, la realtà non è questa. La presenza talebana è radicata soprattutto nelle regioni meridionali e orientali del paese su cui Kabul non ha nessun controllo.
 
Puoi dirci, in sintesi, qual è il programma futuro di Rawa per portare nel paese pace e prosperità?
 
Espandere le sue attività e indirizzarle il più possibile all’istruzione di donne e bambini. Istituire diversi corsi di formazione per donne, in particolare vedove, in modo che possano imparare un mestiere. Pubblicare libri e periodici appositamente per donne, bambini e adolescenti nelle varie lingue del paese. Fondare una ‘biblioteca Meena’ in ogni grande città dell’Afghanistan, e fornire al pubblico migliaia di libri moderni in persiano e pashtu. Continuare, insomma, nel lavoro di educazione e propaganda, con la consapevolezza che le attività di Rawa in Afghanistan sono ancora clandestine e limitate a causa del comportamento prevenuto e brutale dei fondamentalisti. Gestire i team medici mobili ‘gratuiti’, collocati in 8 province dell’Afghanistan, che curano principalmente le donne che non possono andare dal medico per problemi finanziari. Proseguire il lavoro sociale tra le donne afgane rifugiate nei campi profughi in Pakistan. Infine, impegnarsi nell’attività politica, e cioè in difesa dei diritti di libertà e democrazia delle donne e dei diritti umani, e nella denuncia delle azioni barbare compiute dai fondamentalisti. Per quanto riguarda le soluzioni da adottare per ottenere pace e benessere, quella prioritaria è certamente il ritiro immediato delle truppe straniere dal paese.
 
Avete contatti con organizzazioni internazionali come Amnesty, Emergency, Medici Senza Frontiere, o con le Ong?
 
Forniamo ai media stranieri, alle organizzazioni per i diritti umani, e ad altre che siano interessate, notizie e reportage su omicidi, lapidazioni, amputazioni, incarcerazioni, torture, pestaggi, frustate, umiliazioni e altri atti disumani compiuti dai fondamentalisti. Segnaliamo alle organizzazioni per i diritti umani, come Amnesty International e simili, le violazioni dei diritti umani subite dalle donne.
 
Come si finanzia Rawa?
 
Con piccole attività di apicoltura, allevamenti di polli e pesce; produciamo marmellate, verdure sottaceto. Gestiamo attività di micro artigianato. Abbiamo officine per tessitura di tappeti, ricamo e lavoro a maglia con perline. Riceviamo anche donazioni e soldi da tutti coloro che ci sostengono, soprattutto dall’estero.
 
Durante il tour in Italia, che tipo di reazione hai percepito riguardo alla tua testimonianza sulla situazione in Afghanistan e sulla condizione delle donne afgane?
 
Ho avuto la sensazione che la maggior parte degli italiani non fosse a conoscenza di quello che sta realmente succedendo nel mio paese. Molti sono sinceramente convinti di quanto i media divulgano al proposito. E cioè che ora la situazione è decisamente migliore e che l’elezione di Barack Obama abbia segnato una svolta positiva. Ma come ho già accennato, spesso si tratta di mera propaganda. Comunque, il pubblico era molto interessato ad ascoltare, a capire e a rivedere le proprie idee. Sono convinta che questo viaggio sia stato per me e per voi molto utile.
 
Quali sono le tue speranze per il futuro?
 
Vedere il mio paese affrancato dai criminali, mafiosi, signori della guerra, fondamentalisti. Libero anche dalle truppe straniere e libero di auto-determinarsi. Poter vedere finalmente realizzato il rispetto dei diritti delle donne.
 
 

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