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Gli interessi attorno all'Afghanistan e la tragedia del suo popolo

Fabrizio Poggi, Nuova Unità n.6 * | nuovaunita.info

Novembre 2021

Heela Najibullah: dall'accordo sottoscritto a Doha nel febbraio 2020, tra USA e Talebani: «sono aumentate le violenze, le violazioni dei diritti umani, le uccisioni mirate di giornalisti, artisti e attivisti politici»

  La frettolosa uscita yankee dall'Afghanistan, non è una fuga e non è l'ammissione di una sconfitta. Tutto è stato programmato e concordato con le passate autorità collaborazioniste afgane e anche con gli stessi Talebani. Nulla a che vedere con il ritiro USA dal Viet Nam, un parallelo ostentato da numerose cronache giornalistiche; non foss'altro per il fatto che cinquant'anni fa la decisione di Washington fu lo sbocco anche di un vasto movimento popolare in tutto il mondo, USA compresi, contro l'aggressione neo-coloniale all'intera penisola indocinese.

La scelta di lasciare l'Afghanistan, dopo venti anni di bombardamenti, di stragi di centinaia di migliaia di civili, di rapina del territorio, è piuttosto la dimostrazione della necessità di un riposizionamento delle forze USA, rimanendo immutato l'obiettivo di insidiare i confini meridionali dell'ex Unione Sovietica, oggi costituiti dalle Repubbliche dell'Asia centrale e, soprattutto, di modulare lungo altre direttrici il confronto con la Cina. Ne sono testimonianza (vedi "nuova unità" n. 5/2021) quella "NATO orientale" che è il partenariato Indo-Pacifico, il Quadrilateral Security Dialogue (QSD: USA, India, Giappone, Australia), il patto AUKUS (USA, Gran Bretagna, Australia), che affiancano ANZUS (Washington, Wellington, Canberra) e il vecchio Five Eyes, firmato 75 anni fa da USA, UK, Canada, Australia e Nuova Zelanda.

E, cosa che riguarda anche l'Italia, Bruxelles risponde ai passi di Washington con una brusca accelerazione della propria strategia militare, proclamata dalla dichiarazione congiunta della presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen e del Ministro della difesa tedesco Annegret Kramp-Karrenbauer, con cui si chiede un «salto in avanti» nella militarizzazione della UE e «l'espansione della presenza navale nella regione Indo-Pacifico». Così, il Commissario europeo per il mercato interno, Thierry Breton, incita ad accelerare sulla "difesa comune europea" e a ridefinire «la dottrina della sicurezza», dando vita a «una forza di proiezione attivabile rapidamente», soprattutto dopo il ritiro yankee dall'Afghanistan, che «ha evidenziato ancora una volta la forte dipendenza dell'Europa dalla politica estera e di sicurezza di Washington». Ancora la von der Leyen ha affermato che la UE deve essere in grado di operare militarmente in modo indipendente, anche «senza la partecipazione di NATO o ONU», attraverso una «Unione europea di difesa».

D'altronde, dopo esser stati per vent'anni al servizio degli USA a Kabul, i "partner" europei vogliono esprimere i propri interessi più autonomamente di quanto non abbiano potuto fare in questi due decenni. Per quanto ci riguarda l'Italia, nonostante la "missione di pace" in Afghanistan sia costata oltre 8 miliardi, si continua a dislocare circa 10.000 soldati in 40 diverse operazioni militari all'estero, con i relativi costi, ma anche con i profitti per le imprese che ne garantiscono l'operatività. Tutte missioni che assicurano la fedeltà atlantica del nostro paese e la complicità nei crimini USA.

Oggi, dopo il "ritiro" occidentale e la presa del potere da parte talebana, a Kabul si intensificano gli attacchi dei loro avversari di ISIS e Al Qaeda, beneficiari di buona parte delle centinaia di miliardi di dollari ufficialmente "perduti" dagli USA, tra gestione mafiosa della "ricostruzione", affidata a società private americane (anche controllate da Presidenti USA), corruzione di funzionari e militari afgani, appalti pagati svariate volte più del valore reale, costruzione di inutili autostrade e di ville per ras locali. Un solo esempio, risalente al 2013 e che riguarda indirettamente l'Italia: una decina di anni fa, 16 aerei da trasporto G-222 della Alenia Aeronautica, costati 500.000 dollari, furono lasciati arrugginire all'aeroporto di Kabul dopo appena cinque anni dall'acquisto e poi venduti come rottami per 40.000 dollari.



Oppure: nonostante 1,5 milioni di dollari al giorno per "combattere la coltivazione della droga" nel paese, nel 2020 la produzione di oppio era aumentata del 37% rispetto al 2019. A dispetto dei 90 miliardi di dollari per "l'addestramento" dell'esercito afgano, questo si è disintegrato in un batter d'occhio. E via di questo passo, senza contare i costi umani e sociali per il popolo afgano, martoriato negli anni '80 dalla guerriglia dei mujaheddin finanziati da Washington contro il governo democratico e il contingente sovietico che lo sosteneva, poi sottoposto alle violenze dei talebani per buona parte degli anni '90, prima di sperimentare vent'anni di "democrazia" dei bombardieri USA e NATO e, ora, di nuovo il regime oscurantista dei Talebani.

L'Afghanistan dei Talebani

Come ha testimoniato su il manifesto l'ex deputata del Parlamento afgano, Malalai Joya, a «meno di due mesi dall'inizio di questo nuovo regime talebano, possiamo già vedere la brutalità che scateneranno contro il nostro popolo... la distruzione di vaste aree del Panshir e le uccisioni mirate, le esecuzioni sommarie, il trasferimento forzato dei residenti del Panshir, la brutale repressione delle manifestazioni e la tortura, la scomparsa di molti giornalisti, attivisti sociali, giovani manifestanti, la cui sorte è ancora sconosciuta... i taleban non sono cambiati, né sono diventati moderati, morbidi e umani.I diritti delle donne sotto il regime talebano sono inesistenti e anzi tornano la tortura, le frustate, i matrimoni forzati, la lapidazione, il divieto della musica e la privazione dei bisogni elementari, la privazione dell'istruzione e del lavoro, disoccupazione».

Un reportage della TV russa di qualche settimana fa, dava notizia di «una lunga lista di divieti che hanno cambiato significativamente la vita degli afgani. Quando i talebani hanno preso il controllo del paese, hanno giurato di rispettare i diritti delle donne e di non vietare loro istruzione, lavoro o assistenza sanitaria, ma questo è durato appena un paio di settimane». Un esempio è la storia di Fazila, che ha «lavorato al Ministero Industria e Commercio per oltre 25 anni, iniziando sotto Najibullah, pur interrompendo il lavoro quando i talebani hanno preso il potere. Poi sono arrivati gli americani e Fazila ha lavorato con ONG occidentali. Poi gli americani sono fuggiti e ora Fazila e altre come lei non ha assolutamente idea di come vivere». C'è da dire, rileva la TV russa, che le «azioni dei talebani sono sostenute dagli uomini... di fronte al sentimento anti-americano, l'indipendenza delle donne è vista da molti come risultato delle azioni ostili del governo occupante». Inoltre, gli americani hanno «abbandonato decine di migliaia di afgani che avevano collaborato con le forze di occupazione: interpreti, personale logistico, tecnici...».

Ovvio che, oltre alla responsabilità principale USA, come ha detto Malalai Joya, le varie «potenze regionali sono da tempo interessate all'intervento e all'occupazione, o al controllo dell'Afghanistan, specialmente Cina, Russia, Pakistan, Iran. Ognuno di questi paesi ha i propri interessi strategici specifici. Inoltre, paesi come Regno unito, Germania, Turchia, Qatar, Francia e molti altri hanno contribuito all'instabilità dell'Afghanistan e a far arretrare il paese per i loro interessi politici, economici e militari», ghiotti delle ricche risorse naturali del paese.

Gli interessi esteri

Ecco, ad esempio, che i Ministri degli esteri di Russia, Sergej Lavrov, e Iran, Hosein Amir Abdolahian, incontratisi a Mosca, si sono detti interessati a una maggiore cooperazione internazionale "per la ricostruzione dell'Afghanistan" e i Talebani sono stati invitati ai negoziati a Mosca del 20 ottobre, insieme ai rappresentanti di Russia, Cina, Pakistan, Iran e India. Il 12 ottobre, assenti Russia e Cina, si è riunito il G20 sull'Afghanistan: formalmente, dopo la "guerra umanitaria", per parlare di "aiuti umanitari" e "corridoi umanitari e necessità di "contatti con i talebani!; sostanzialmente, ci si è preoccupati soprattutto di fermare i migranti.

Per quanto riguarda la strategia di Pechino, da varie parti si parla di compagnie militari private cinesi che prenderebbero posizione in varie aree delle ex Repubbliche sovietiche dell'Asia centrale, dopo il ritiro USA dall'Afghanistan. Ufficialmente, sembra che in Cina non esistano compagnie militari private, bensì organizzazioni addette alla protezione di società cinesi operanti in aree "problematiche", o di trasporti marittimi privati. Per quanto riguarda le Forze armate regolari, Pechino punta soprattutto sulla flotta, per fronteggiare la crescente presenza USA nell'Indo-Pacifico, ma, da tempo, sta elevando a livello adeguato anche i reparti di terra dislocati alle frontiere occidentali. Ciò sembra connesso anche alle dichiarazioni dei cosiddetti "talebani tadžiki", membri della Jamaat Ansarullah, di voler penetrare in Tadžikistan, partendo da alcune aree da essi controllate nel nord dell'Afghanistan.

Heela Najibullah

Significative anche le parole pronunciate nell'agosto scorso da Heela Najibullah, figlia dell'ex Presidente della Repubblica democratica d'Afghanistan e Segretario del Partito Democratico Popolare d'Afghanistan, Mohammad Najibullah, torturato e assassinato dai talebani nel 1996. La denuncia di Heela, non faceva che anticipare quanto ora ribadito da Malalai Joya e dalla TV russa. Dall'accordo sottoscritto a Doha, in Qatar, nel febbraio 2020, tra USA e Talebani, «sono aumentate le violenze, le violazioni dei diritti umani, le uccisioni mirate di giornalisti, artisti e attivisti politici». Chiaro, ha detto Heela, che agli yankee non «interessavano il futuro della società civile, i diritti delle donne». A proposito delle potenze occidentali: «Durante la Guerra Fredda e, in seguito, nella guerra contro il terrorismo, le grandi potenze hanno sostenuto i gruppi estremisti e hanno usato la religione come strumento per conquiste geopolitiche». Ora, ha detto Heela, la «situazione politica afgana è legata anche alle questioni globali odierne e alle alleanze mutevoli. Cina, UE, India, Iran, Pakistan, Arabia Saudita, Russia e Turchia hanno i propri interessi in Afghanistan... Gli USA e i loro alleati hanno trattato l'Afghanistan e il suo popolo come un laboratorio... Mio padre aveva proposto una conferenza internazionale sull'Afghanistan, in modo che le parti interessate, regionali e globali, potessero lavorare insieme e mettere da parte le differenze. Voleva che l'Afghanistan fosse un paese neutrale, che potesse vivere in pace con i propri vicini».

Come si può vedere dalla dichiarazione riportata in queste pagine, trascorso nemmeno un anno dagli accordi di Ginevra dell'aprile 1988, il Governo democratico afgano già paventava "piani espansionistici ostili" di USA e Pakistan in spregio a quegli accordi, nonostante la sciagurata decisione gorbačëviana sul ritiro del contingente sovietico. In tal modo, affermava Kabul, si compromettevano sul nascere gli "sforzi diretti a porre fine al conflitto e a raggiungere un accordo tra gli afgani". La fine stessa dell'URSS, poi, fece precipitare la situazione.

* * *

Dichiarazione del governo della Repubblica dell'Afghanistan - 1989

Agenzia Bahtar, 15 febbraio 1989 - Pubblicato sul n. 8/1989 di Notizie dai Partiti Comunisti

15/02/1989

Oggi l'ultimo soldato del limitato contingente di truppe sovietiche in Afghanistan è entrato nel territorio dell'Unione Sovietica. Nel contesto della soluzione politica globale е in conformità degli accordi ginevrini, sono stati completamente adempiuti gli impegni per il ritiro delle truppe straniere entro i termini stabiliti. Questo importante avvenimento esige una valutazione minuziosa е responsabile dello sviluppo della situazione all'interno е attorno all'Afghanistan negli ultimi dieci anni, l'analisi degli impegni internazionalmente riconosciuti dei paesi che hanno firmato gli accordi ginevrini.

Seguendo la politica della conciliazione nazionale e profondamente consapevole della necessità impellente di una rapida soluzione pacifica, la Repubblica dell'Afghanistan sta compiendo tutti gli sforzi per concludere felicemente il processo ginevrino ed eliminare tutti gli aspetti esterni del conflitto afgano.

La firma degli accordi ginevrini è diventata possibile solo quando, da una parte, il governo della RA ha creato le condizioni favorevoli al ritiro delle truppe sovietiche e, dall'altra, tutte le parti interessate hanno compreso la necessità di affrontare nella loro interdipendenza la soluzione degli aspetti esterni del problema afgano. Questa è stata appunto la base logica degli accordi di Ginevra. Lo spirito e la lettera di Ginevra sono diretti a porre fine all'ingerenza sempre maggiore dall'esterno nel conflitto interno afgano, ad aprire la via alla normalizzazione dei rapporti tra l'Afghanistan e il Pakistan, al fine di attenuare il conflitto interno in Afghanistan e rafforzare la pace e la sicurezza nella regione.

Tuttavia, i principi basilari del nesso reciproco tra gli impegni assunti e la necessità del loro adempimento, sono stati grossolanamente violati. Mentre le parti afgana e sovietica si sono impegnate al massimo per adempiere rigorosamente i loro impegni, il Pakistan e gli USA non hanno nascosto i loro propositi di ridurre il senso degli accordi ginevrini esclusivamente al ritiro delle truppe sovietiche, ignorando completamente i loro impegni circa la non ingerenza negli affari interni dell'Afghanistan. Nella stessa misura in cui il rispetto degli accordi ginevrini da parte dell'Unione Sovietica e delI'Afghanistan hanno elevato il prestigio dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, la loro violazione da parte degli USA e del Pakistan ha minato l'autorità di questa organizzazione internazionale. In ciò, si manifesta con chiarezza il disprezzo da parte degli USA e del Pakistan delle norme del diritto Internazionale.

L'ingerenza armata negli affari interni dell'Afghanistan è aumentata di molto, sia sul piano quantitativo che qualitativo, rispetto ai nove mesi precedenti la firma degli accordi ginevrini. In territorio pakistano hanno intensificato la loro attività i campi in cui avviene l'addestramento militare dei gruppi di estremisti. Sempre in territorio pakistano si trovano depositi di armi e munizioni, tipografie, stazioni radio, comandi e altri uffici dei gruppi afgani di opposizione.

La recente decisione del Pakistan di intervenire direttamente nel conflitto con operazioni delle sue forze armate, a fianco dei gruppi di opposizione afgana, ha peggiorato notevolmente la situazione.

Secondo notizie ricevute da fonti competenti, a tutt'oggi sono stati registrati più di 4.600 casi di violazione, da parte del Pakistan, degli accordi di Ginevra, 1.800 dei quali sono stati portati a conoscenza della Missione ONU per i Buoni Uffizi in Afghanistan e Pakistan (UNGOMAP) per un loro ulteriore esame.

Purtroppo, gli Stati Uniti non solo hanno violato i loro impegni come garanti degli accordi ginevrini, ma hanno alimentato il conflitto, inviando grosse partite di armi moderne alle formazioni dell'opposizione afgana. Inoltre, gli sforzi del UNGOMAP per controllare il rispetto degli accordi ginevrini si sono rivelati infruttuosi, a causa degli ostacoli artificiosamente creati dal Pakistan.

Gli USA e il Pakistan, avendo calpestato gli accordi di Ginevra, hanno compromesso i nostri sforzi diretti a porre fine al conflitto e a raggiungere un accordo tra gli afgani. Il Pakistan ha compiuto tentativi per unificare i vari gruppi di opposizione afgani, nella cosiddetta Shura (consiglio consultivo) e nel governo provvisorio sul suo territorio, e a tal fine ha esercitato una forte pressione nei loro confronti. Servendosi di questo «governo», alcuni dirigenti del Pakistan vorrebbero realizzare il loro piano di annessione dell'Afghanistan con il pretesto della «Confederazione afgano-pakistana». II popolo e il governo della Repubblica dell'Afghanistan respingono e condannano con fermezza questi piani espansionistici ostili, diretti contro l'indipendenza dell'Afghanistan. Qualsiasi decisione di questa «Shura», nella quale non sono rappresentate tutte le forze politiche reali esistenti dentro e fuori l'Afghanistan, non eserciterà nessun'altra influenza tranne quella di rafforzare l'ostilità e di rendere ancor più difficile la normalizzazione politica della situazione in Afghanistan, e perciò non avrà nessun valore legale per il popolo e per il governo della Repubblica dell'Afghanistan. Non v'è alcun dubbio che la posizione del governo della Repubblica dell'Afghanistan su questa questione gode dell'appoggio totale degli amici dell'Afghanistan.

Nella situazione che si era creata, l'Afghanistan e l'URSS avevano il pieno diritto di sospendere il ritiro dei reparti sovietici. Tuttavia è stato deciso di proseguire il loro ritiro in conformità del calendario stabilito, al fine di dimostrare la fedeltà dei due paesi agli accordi ginevrini, e anche per spingere l'altra parte a rispettare gli impegni derivanti dagli accordi.

Ora che nell'Afghanistan non vi sono truppe sovietiche, il governo della Repubblica dell'Afghanistan invita a compiere un'analisi responsabile e realistica della situazione ed anche delle serie conseguenze che deriveranno inevitabilmente dalle gravi violazioni degli accordi di Ginevra da parte del Pakistan e degli USA. Esso dichiara che nel caso in cui dovesse proseguire l'ingerenza negli affari interni dell'Afghanistan, tutta la responsabilità per le pericolose conseguenze di questo fatto ricadrà interamente sulla parte pakistana.

Coloro che pensano che dopo il ritiro delle truppe sovietiche sarà loro permesso di fare tutto quello che vogliono e che si propongono di continuare ad estendere l'aggressione contro l'Afghanistan, devono sapere che il Governo della RA ha il pieno diritto di adottare tutte le misure difensive necessarie, in conformità dello statuto dell'ONU e degli accordi bilaterali afgano-sovietici.

Il popolo e il governo della Repubblica dell'Afghanistan si aspettano che il Segretario generale dell'ONU, come depositario degli accordi ginevrini, adempirà con efficacia e sotto tutti gli aspetti i suoi doveri sulla base della risoluzione della 43° sessione dell'Assemblea generale dell'ONU e utilizzerà i poteri che gli sono stati dati per indurre la parte opposta a rispettare anch'essa gli accordi di Ginevra.

Ora che le truppe sovietiche hanno abbandonato il territorio dell'Afghanistan, il governo della RA, a nome di tutto il popolo afgano, esprime sincera gratitudine al popolo e al governo dell'URSS per il loro aiuto multilaterale e per la loro solidarietà con la lotta per la sovranità nazionale, l'indipendenza politica e l'integrità territoriale della nostra patria. Esso è certo che i rapporti tra i due Stati continueranno a svilupparsi sui principi dell'amicizia, dei rapporti di buon vicinato, del mutuo vantaggio, della non ingerenza negli affari interni, in conformità dei trattati e degli accordi bilaterali, nell'interesse dei popoli dei due paesi, della pace, della stabilità e della collaborazione nella nostra regione e in tutto il mondo.

Il governo della RA dichiara che il popolo afgano è pronto a lottare con fermezza contro tutte le forme di ingerenza straniera e a sventare i piani nefasti e gli intrighi dei nemici del loro paese.



*) è in distribuzione il n. 6/2021:
La democrazia borghese un paravento. Maggioranza e opposizione due facce della stessa medaglia, pagina 2
La montagna ha partorito il solito topolino. Abbiamo bisogno di un rovesciamento completo di questa barbara società, pagina 2
Lavorare per un adeguato sciopero generale. Riflessione sullo sciopero dell'11 ottobre, pagina 3
Gli interessi attorno all'Afghanistan e la tragedia del suo popolo, pagina 4
L'incubo della Talidomide. La pubblicità ne sottolineava la "completa atossicità", pagina 6
In breve dal mondo, pagina 7


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