Australia
/ Discriminazioni e violazioni dei diritti
Gli antipodi scoprono l'antisindacalismo alla Thatcher
di Ornella Cilona
Discriminazioni verso le minoranze etniche e diritti sindacali a rischio: è
questo l’inquietante scenario tratteggiato dalla Cisl internazionale nel
Rapporto annuale sul mondo del lavoro in Australia. Il verbo predicato dall’ex
premier britannico Margaret Thatcher sembra insomma aver attecchito anche nel
Nuovissimo Mondo. Il governo conservatore guidato da John Howard non nasconde del
resto l’ammirazione per la “lady di ferro”, della quale cerca di imitare la
legislazione ostile ai sindacati e la noncuranza verso i diritti dei più
deboli.
Redatto in collaborazione con l’Australian Council of Trade Unions (Actu), il
sindacato più rappresentativo dell’area, il Rapporto denuncia, cifre alla mano,
come il mercato del lavoro sia avaro di opportunità per chi non è maschio e di
razza bianca. Il divario fra i pochi fortunati con un impiego ben pagato e i
molti che sono al fondo della piramide sociale si è acuito negli ultimi anni, a
causa della flessibilità selvaggia che ha rivoluzionato il panorama dei
rapporti di lavoro.
Particolarmente pesanti sono le discriminazioni di cui soffrono gli aborigeni,
la popolazione indigena. In questa comunità il tasso di disoccupazione è 6
volte più alto di quello nazionale, mentre i salari sono in genere pari alla
metà di quelli percepiti da un australiano di razza bianca. I problemi degli
aborigeni sono condivisi dagli immigrati, prevalentemente di origine asiatica,
che negli ultimi anni hanno cercato rifugio dalla miseria in Australia,
trovando però nella maggior parte dei casi lavori in nero e privi di garanzie.
Anche per le donne l’equità nei livelli salariali rimane sulla carta. A parità
di mansioni, le paghe femminili non superano in media il 75 per cento di quelle
maschili, ma non mancano professioni dove le donne percepiscono fino a un terzo
in meno dei loro colleghi. “La segregazione di genere nel mercato del lavoro –
si legge nel Rapporto – rimane un problema sostanziale in Australia”. Lo
dimostra anche il fatto che i lavori dove si concentra il maggior numero di
donne continuano a essere quelli meno qualificati. L’azione sindacale a favore
dei soggetti più deboli è però ostacolata dal fatto che anche in Australia le
grandi fabbriche sono state soppiantate da piccole unità produttive che operano
soprattutto nel terziario, dove i controlli sono più difficili.
L’altro punto dolente segnalato dal rapporto sono i diritti sindacali. Nel
corso degli anni 90 la legislazione federale ha minato alcuni principi base del
diritto del lavoro, a partire dalla libertà di iscrizione al sindacato e dai
modelli contrattuali. Il Workplace Relations Act, ad esempio, non solo ha dato
via libera alla possibilità di redigere contratti individuali, assestando un
duro colpo ai negoziati collettivi, ma ha anche limitato pesantemente il
diritto di sciopero nel caso di licenziamenti ingiustificati. La spallata
inferta al sistema di relazioni industriali consolidatosi negli scorsi decenni
ha incontrato il pieno appoggio di molte grandi imprese, come Bhp Billiton,
operante nel settore dell’energia, che oggi impone ai propri dipendenti
contratti individuali e scoraggia in ogni modo l’iscrizione al sindacato. Le
manifestazioni organizzate negli ultimi mesi dall’Actu davanti alle sedi della
Bhp sono state represse dalla polizia, e si sono verificati anche casi di
intimidazione contro alcuni dirigenti sindacali. Lo scorso inverno l’Actu ha
scoperto che il governo intercettava abitualmente le telefonate dei propri
dirigenti con il pretesto della sicurezza nazionale. “Il governo – afferma
Collin Harker, autore del Rapporto della Cisl internazionale – spinge le
società a privare i dipendenti della libertà di iscriversi ai sindacati. Queste
iniziative, unite a una legislazione che discrimina l’Actu, pongono l’Australia
all’ultimo posto nella classifica dei diritti sindacali nei paesi
industrializzati”.
Le elezioni politiche alle porte (il prossimo maggio) e alcune crepe che
cominciano a mostrarsi nei conti economici federali contribuiscono a rendere
più aspro lo scontro in atto fra governo e sindacato. L’Australia, a differenza
di Europa e Usa, ha un’economia in buono stato di salute: nel 2002 il prodotto
interno lordo è cresciuto del 3,9. Questo dato positivo è però controbilanciato
dalla crescita del deficit di bilancio, salito lo scorso autunno a 1,3 miliardi
di dollari australiani (pari a 715 milioni di euro). Howard, che aveva puntato
a pareggiare i conti pubblici prima del voto, deve ora guadagnare il consenso
degli strati più conservatori della società australiana per fare uscire dalle
urne un nuovo governo di destra. Ma sulla sua strada trova adesso un sindacato
per nulla disposto a farsi smantellare.
(Rassegna sindacale, n. 13, aprile
2003)