www.resistenze.org - popoli resistenti - australia - 26-04-03

Australia / Discriminazioni e violazioni dei diritti

Gli antipodi scoprono l'antisindacalismo alla Thatcher
di Ornella Cilona

Discriminazioni verso le minoranze etniche e diritti sindacali a rischio: è questo l’inquietante scenario tratteggiato dalla Cisl internazionale nel Rapporto annuale sul mondo del lavoro in Australia. Il verbo predicato dall’ex premier britannico Margaret Thatcher sembra insomma aver attecchito anche nel Nuovissimo Mondo. Il governo conservatore guidato da John Howard non nasconde del resto l’ammirazione per la “lady di ferro”, della quale cerca di imitare la legislazione ostile ai sindacati e la noncuranza verso i diritti dei più deboli.
Redatto in collaborazione con l’Australian Council of Trade Unions (Actu), il sindacato più rappresentativo dell’area, il Rapporto denuncia, cifre alla mano, come il mercato del lavoro sia avaro di opportunità per chi non è maschio e di razza bianca. Il divario fra i pochi fortunati con un impiego ben pagato e i molti che sono al fondo della piramide sociale si è acuito negli ultimi anni, a causa della flessibilità selvaggia che ha rivoluzionato il panorama dei rapporti di lavoro.
Particolarmente pesanti sono le discriminazioni di cui soffrono gli aborigeni, la popolazione indigena. In questa comunità il tasso di disoccupazione è 6 volte più alto di quello nazionale, mentre i salari sono in genere pari alla metà di quelli percepiti da un australiano di razza bianca. I problemi degli aborigeni sono condivisi dagli immigrati, prevalentemente di origine asiatica, che negli ultimi anni hanno cercato rifugio dalla miseria in Australia, trovando però nella maggior parte dei casi lavori in nero e privi di garanzie.
Anche per le donne l’equità nei livelli salariali rimane sulla carta. A parità di mansioni, le paghe femminili non superano in media il 75 per cento di quelle maschili, ma non mancano professioni dove le donne percepiscono fino a un terzo in meno dei loro colleghi. “La segregazione di genere nel mercato del lavoro – si legge nel Rapporto – rimane un problema sostanziale in Australia”. Lo dimostra anche il fatto che i lavori dove si concentra il maggior numero di donne continuano a essere quelli meno qualificati. L’azione sindacale a favore dei soggetti più deboli è però ostacolata dal fatto che anche in Australia le grandi fabbriche sono state soppiantate da piccole unità produttive che operano soprattutto nel terziario, dove i controlli sono più difficili.
L’altro punto dolente segnalato dal rapporto sono i diritti sindacali. Nel corso degli anni 90 la legislazione federale ha minato alcuni principi base del diritto del lavoro, a partire dalla libertà di iscrizione al sindacato e dai modelli contrattuali. Il Workplace Relations Act, ad esempio, non solo ha dato via libera alla possibilità di redigere contratti individuali, assestando un duro colpo ai negoziati collettivi, ma ha anche limitato pesantemente il diritto di sciopero nel caso di licenziamenti ingiustificati. La spallata inferta al sistema di relazioni industriali consolidatosi negli scorsi decenni ha incontrato il pieno appoggio di molte grandi imprese, come Bhp Billiton, operante nel settore dell’energia, che oggi impone ai propri dipendenti contratti individuali e scoraggia in ogni modo l’iscrizione al sindacato. Le manifestazioni organizzate negli ultimi mesi dall’Actu davanti alle sedi della Bhp sono state represse dalla polizia, e si sono verificati anche casi di intimidazione contro alcuni dirigenti sindacali. Lo scorso inverno l’Actu ha scoperto che il governo intercettava abitualmente le telefonate dei propri dirigenti con il pretesto della sicurezza nazionale. “Il governo – afferma Collin Harker, autore del Rapporto della Cisl internazionale – spinge le società a privare i dipendenti della libertà di iscriversi ai sindacati. Queste iniziative, unite a una legislazione che discrimina l’Actu, pongono l’Australia all’ultimo posto nella classifica dei diritti sindacali nei paesi industrializzati”.
Le elezioni politiche alle porte (il prossimo maggio) e alcune crepe che cominciano a mostrarsi nei conti economici federali contribuiscono a rendere più aspro lo scontro in atto fra governo e sindacato. L’Australia, a differenza di Europa e Usa, ha un’economia in buono stato di salute: nel 2002 il prodotto interno lordo è cresciuto del 3,9. Questo dato positivo è però controbilanciato dalla crescita del deficit di bilancio, salito lo scorso autunno a 1,3 miliardi di dollari australiani (pari a 715 milioni di euro). Howard, che aveva puntato a pareggiare i conti pubblici prima del voto, deve ora guadagnare il consenso degli strati più conservatori della società australiana per fare uscire dalle urne un nuovo governo di destra. Ma sulla sua strada trova adesso un sindacato per nulla disposto a farsi smantellare.

(Rassegna sindacale, n. 13, aprile 2003)