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Bielorussia: Tra le "macine" del sistema di sfruttamento. Il "bastone" dell'intervento imperialista cala in Bielorussia

Elisaios Vagenas | kke.gr.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

31/08/20

Il 10 agosto, il giorno dopo le recenti elezioni presidenziali bielorussie, una nave da carico è attraccata nel porto della città lituana di Klaipeda, trasportando 76.000 tonnellate di petrolio americano non raffinato, ordinato da quello che ai mass media occidentali piace chiamare "l'ultimo dittatore d'Europa", il Presidente della Bielorussia, Alexander Lukashenko.

Questo è il secondo carico americano ricevuto dalla Bielorussia. All'inizio dell'estate, 77.000 tonnellate erano state ricevute attraverso la rete ferroviaria e dallo stesso porto. La Bielorussia stava considerando di ricevere petrolio americano o saudita attraverso i porti polacchi, come parte del suo sforzo di diminuire la sua dipendenza dal petrolio russo. Questa era la conclusione della visita del Segretario di Stato americano, M. Pompeo in Bielorussia il febbraio scorso. Ovviamente, dati gli sviluppi recenti a seguito delle elezioni presidenziali, questi piani sembrano andati all'aria. O forse no?
Ma guardiamo alcuni dati sulla Bielorussia.

Sulla Bielorussia

Questo paese ha circa 10 milioni di abitanti. Confina a ovest con tre paesi dell'UE (Lituania, Lettonia, Polonia), a sud con l'Ucraina e a est con la Russia. È considerata il più grande paese senza accesso al mare in Europa.

Si è originata dalla dissoluzione dell'Unione Sovietica da cui ha "ereditato" infrastrutture avanzate per l'agricoltura e l'allevamento e la produzione industriale. Mantiene stretti rapporti politico-economici e militari con la Russia. Ha stretto un accordo con la Russia per istituire un singolo Stato, ma nonostante vari piani ("road maps") sui quali c'è l'accordo, questo processo è sospeso. Partecipa in associazioni regionali delle quali la Russia è la "locomotiva", come la "Unione Economica Eurasiatica" (UEE) e la "Organizzazione per il Trattato di Sicurezza Collettiva" (TSC).

A seguito di una proposta di A. Lukashenko e ratificata da un referendum (1996) la "Giornata dell'Indipendenza" è stata spostata dal 27/7 (il giorno dell'uscita dall'URSS) al 3/7, il giorno in cui l'Armata Rossa liberò la capitale Minsk (3/7/1944) durante la Seconda Guerra Mondiale, a causa della quale la Bielorussia perse 1/3 della sua popolazione.

Relazioni con Russia e Cina

La Bielorussia è fortemente dipendente dalle fonti energetiche russe e gioca un ruolo importante nell'esportazione di idrocarburi russi verso l'Europa. Ha "ereditato" dall'URSS un'importante sezione di reti di trasporto di petrolio e gas naturale, dai quali sono esportati annualmente il 50% del petrolio russo e il 30% del gas naturale russo in Europa.

Allo stesso tempo, guadagna significative entrate dalla trasformazione del petrolio non raffinato russo, dato che possiede grandi raffinerie che producono gasolio e diesel che rivende nei Paesi europei, assicurando fino al 25% delle entrate del budget statale (8 miliardi di euro annui). In aggiunta, ha ricevuto un numero di sussidi e prestiti dalla Russia, che al momento rappresentano il 40% del suo debito estero, mentre il secondo più grande finanziatore è la Cina (26%). Inoltre, la Russia è il principale importatore di prodotti bielorussi (es. latticini, trattori, autobus) mentre la Cina è il secondo più grande importatore.

I principali investitori stranieri nel 2019 venivano dalla Russia (44,2% di tutti gli investimenti), seguiti dal Regno Unito (19,7%), Cipro (6,6%), paesi nei quali il capitale russo è molto attivo.

La Cina vede la Bielorussia come "l'ultima fermata" della "Via della Seta" prima dell'UE. Per questa ragione, in anni recenti ha portato avanti investimenti e sussidi verso l'economia della Bielorussia, a vantaggio dei propri monopoli.

Le relazioni tra la Bielorussia e la Russia negli ultimi 26 anni, durante i quali il Presidente del Paese è stato A. Lukashenko, appaiono come un'alternanza di "doccie calde e fredde". Da una parte, la Bielorussia è emersa come il più stretto "alleato" della Russia. Dall'altra, in questi 26 anni, i due Paesi si sono scontrati in una serie di "guerre" commerciali. A volte per i prezzi di trasporto degli idrocarburi russi, altre volte per i prezzi ai quali la Bielorussia acquista gli idrocarburi russi. In alcuni momenti, per l'importazione di prodotti caseari bielorussi in Russia (i media russi affermano che lo Stato bielorusso sostenga finanziariamente la propria produzione molto più che lo Stato russo, determinando una competizione diseguale per le imprese russe corrispondenti). Mentre i media filo-governativi bielorussi si concentrano sulle mire del capitale russo, che vorrebbe "estendere i suoi tentacoli" in settori dell'economia del Paese che ancora non sono stati privatizzati.

A. Lukashenko in molte occasioni ha minato i piani russi per approfondire l'unificazione capitalista tra i Paesi dell'Unione Economica Eurasiatica (UEE), ad esempio scuotendo i piani per una moneta comune. Nell'ultimo incontro telematico dell'UEE (maggio 2020), Bielorussia e Armenia hanno bloccato la proposta russa per lo "sviluppo strategico fino al 2025", citando soprattutto la necessità di prezzi uguali per gli idrocarburi nei territori dell'UEE.

Per di più, Lukashenko non ha supportato la Russia in decisioni politiche critiche, come l'assimilazione della Crimea nella composizione della Federazione Russia, l'operazione militare russa in Ossezia del Sud o quella in Siria.

La Russia, in tutti questi anni, ha realizzato l'importanza della sua alleanza strategica con la Bielorussia che è una barriera nei confronti dell'"abbraccio" del territorio russo da parte della NATO e dall'altra, è il "territorio amico" più a ovest attraverso il quale la Russia si avvicina alla exclave di Kaliningrad e fa passare i suoi idrocarburi diretti in Europa. Ha compreso lo sforzo della borghesia bielorussa e la sua leadership nel manovrare, contrattare termini migliori nel processo di unificazione capitalista, che è in corso nei territori dell'Ex-URSS ma considerava i margini geopolitici di queste manovre molto limitati. Ci sono stati momenti in cui la parte russa sembrava perdere la calma in questa "contrattazione", per esempio nell'estate del 2002 quando Putin propose la dissoluzione della Bielorussia in 7 regioni e la loro integrazione nella Federazione Russa.

I piani dell'imperialismo euro-atlantico

Chiaramente, l'Occidente (i capitali europeo e americano) hanno aspirazioni di lunga data che, sotto la presidenza di Lukashenko, hanno trovato più difficile penetrare il Paese rispetto ai capitali russi e cinesi.

L'UE e gli USA vedono ormai da anni la Bielorussia come un "frutto proibito". Per questa ragione, hanno messo pressione su Lukashenko affinchè "aprisse" il Paese all'Occidente e procedesse con "riforme" politiche ed economiche. Hanno fatto pressione per decenni, a volte con la "carota" (vedasi "Partnership Orientale dell'UE") ma principalmente col "bastone", finanziando e addestrando forze di opposizione, imponendo sanzioni alla leadership della Bielorussia, sviluppando e rafforzando le forze NATO sui suoi confini. Questi sforzi non hanno avuto un risultato visibile, infatti in recenti rapporti dell'UE non si prevedevano cambiamenti politici imminenti nel Paese.

Allo stesso tempo, mentre la crisi si sta approfondendo in tutto il mondo capitalista, gli USA hanno tentato di sfruttare le relazioni inasprite tra Russia e Bielorussia. Qualcosa di simile a ciò che sta facendo la Russia con la Turchia, sfruttando il tumulto nelle sue relazioni con gli USA.

Nel febbraio 2020, il Segretario di Stato degli USA, M. Pompeo, ha visitato la Bielorussia, affermando che gli USA possono soddisfare il 100% dei bisogni energetici della Bielorussia per quanto riguarda gli idrocarburi. A. Lukashenko ha dichiarato che il Paese avrebbe ridotto le sue importazioni di idrocarburi russi del 30-40%, procedendo all'acquisto di petrolio americano e perfino saudita. La visita di Pompeo è stata accompagnata da passi concreti, che abbiamo già menzionato e un rilassamento, ma non la rimozione, delle sanzioni statunitensi alla Bielorussia. Questa visita ha avuto una importanza politica più che economica. Ha dimostrato che la leadership della Bielorussia sta puntando a utilizzare il suo riavvicinamento agli USA come una "leva" per fare pressione sulla Russia.

Le politiche di Lukashenko e il movimento comunista

26 anni fa il movimento comunista della Bielorussia ha salutato l'ascesa di Lukashenko alla presidenza, il suo rifiuto di guidare il Paese nella NATO e l'UE, di rifiutare le "direttive" del FMI per rapide riforme di mercato. Ha accolto con favore le dichiarazioni filo-sovietiche del Presidente, ma allo stesso tempo ha mantenuto un atteggiamento cauto e critico verso le sue mire di rafforzamento dei suoi poteri rispetto a quelli del parlamento e di slittamento sempre più verso una forma personalistica e autoritaria di governo.

Nel 1996, per via di questo, ci fu una scissione nel Partito dei Comunisti della Bielorussia (PcB) che si unì all'opposizione e il Partito Comunista di Bielorussia (PCB) che emerse dalla spaccatura e che fino ad oggi ha supportato A. Lukashenko. Il PcB si è evoluto in un partito socialdemocratico che alla fine ha cambiato il suo nome nel Partito della Sinistra Bielorussia "Un Mondo Giusto" e ha unito le proprie forze con il "Partito della Sinistra Europea". Di converso, il PCB partecipa agli Incontri Internazionali dei Partiti Comunisti e nella Unione dei PC-PCUS, supportando senza riserve Lukashenko. Ha eletto 11 su 110 membri del Parlamento, mentre membri della sua leadership, come l'ex Primo Segretario I. Karpenko, che è ora Ministro dell'Istruzione, hanno ottenuto ruoli nel governo. Un atteggiamento simile è mantenuto da altri partiti dell'ex URSS, come il Partito Comunista della Federazione Russa (PCFR), l'Unione dei PC-PCUS, che è una loro forma di cooperazione e che supporta la vecchia strategia del Movimento Comunista Internazionale delle "fasi", della partecipazione nei governi del "centro-sinistra" nel quadro del sistema capitalista, basati su un forte settore statale che "controlla" e "regola" il mercato.

Naturalmente, la realtà del capitalismo è implacabile, anche in Bielorussia, dove un'ampia sezione dell'economia rimane nelle mani dello Stato. Le conquiste che esistevano nell'URSS si stanno riducendo o sparendo del tutto, forse a un ritmo più lento che negli altri paesi dell'ex-URSS. Ad esempio, l'età pensionabile nel Paese è aumentata, così come sta andando avanti la commercializzazione dei bisogni sociali, come la sanità e l'istruzione. Migliaia di persone sono costrette ad abbandonare le loro case e cercare lavoro in Russia, Polonia, Lituania, Repubblica Ceca ecc. I dati ufficiali mostrano che circa il 60% dei lavoratori oggi lavorano in imprese non-pubbliche, che in percentuale è un dato maggiore di quello della Russia. Infatti, rispetto a 20 anni fa, questo spostamento e l'aumento del settore privato, insieme all'aumento delle diseguaglianze sociali nel Paese, è chiaramente evidente. Solo nel 2020 dozzine di imprese sono state privatizzate.

Nel paese ci sono altre forze comuniste minori, come il Partito Comunista dei Lavoratori della Bielorussia, affiliato al Partito Comunista Operaio Russo (PCOR), il quale mantiene un atteggiamento di "supporto critico" verso Lukashenko e che non è stato riconosciuto dalle autorità come un partito politico e non può partecipare nei processi elettorali e nel periodo è stato oggetto, così come qualsiasi lotta operaia, con atti di repressione dallo Stato borghese.

Le elezioni presidenziali del 2020. Dietro le quinte e risultati

Durante il periodo pre-elettorale, le autorità bielorusse, utilizzando vari pretesti, hanno escluso molti candidati presidenziali in vista delle elezioni.

Uno di questi è Victor Babariko, banchiere, presidente fino al maggio 2020 della Belgazprombank, della quale il 49% è di proprietà della russa Gazprom e il 49% dalla banca russa Gazprombank. Dopo il rifiuto della sua candidatura, è stato incarcerato dalle autorità bielorusse per il suo coinvolgimento in uno scandalo economico.

Anche a Valery Tsepkalo è stato impedito di partecipare alle elezioni. Un ex diplomatico ed ex ambasciatore bielorusso negli USA, ex ministro degli esteri e ora imprenditore, che ha cercato rifugio non in un paese occidentale ma in Russia, da dove ha lanciato invettive contro Lukashenko.

Solo alcuni giorni prima delle elezioni presidenziali, 32 cittadini russi sono stati arrestati dalle autorità bielorusse come "turisti di guerra", come sono noti coloro che lavorano per le compagnie militari private. Le autorità bielorusse li hanno accusati di "terrorismo", nel tentativo di creare un clima di "destabilizzazione", pretendendo spiegazioni dalla Russia in quanto è ben noto che vari "eserciti privati" che sono emersi in Russia, così come negli USA, hanno legami intricati con le strutture statali ufficiali. Infatti Lukashenko ha accusato l'oligarchia russa e le forze politiche neo-liberali della Russia di tentare di rovesciarlo. L'essenza di tutta questa situazione, i vari "eccitanti" scenari potrebbero occupare pagine, quindi riporteremo qui solo la versione ufficiale, che è stata resa nota dopo la loro resa alle autorità russe: sarebbero caduti "vittime" dei servizi segreti ucraini i quali, ingannandoli, li avrebbero diretti in Bielorussia al fine di creare una crisi nelle relazioni tra Russia e Bielorussia.

Le elezioni hanno finalmente avuto luogo e secondo i dati ufficiali, più dell'84% dei votanti registrati ne ha preso parte. Alexander Lukashenko, il quale è stato eletto Presidente ininterrottamente dal 1994, è stato rieletto con l'80,1% dei voti.

Il suo avversario principale era Svetlana Tsikhanouskaya, moglie di Sergei Tsikhanouski, a sua volta escluso dalle elezioni presidenziali, la quale ha registrato il 10.1% dei voti ma ripudia completamente i risultati diffusi dalla Commissione Elettore e sostiene di essere la vincitrice basandosi sul conteggio dei voti fatto dai rappresentanti dell'opposizione. La coppia di affaristi Tsikhanouski ha chiaramente una agenda politica più pro-occidentale degli altri due candidati esclusi, che si dichiarano "a favore della cooperazione internazionale con tutte le parti". Tutti loro, tuttavia, propongono l'approfondimento delle privatizzazioni come una "panacea". Alla fine, la Tsikanouskaya è fuggita in Lituania dove ha formato il "Consiglio di Coordinamento" che sta pretendendo il passaggio del potere a lei da parte di Lukashenko.

Sviluppi post-elettorali

A seguito dell'annuncio della rielezione di A. Lukashenko sono emerse proteste di vari giorni nel centro di Minsk e in altre città, con bandiere nazionalistiche e slogan anti-governativi come "Vattene!". Ci sono stati scontri tra i manifestanti e la polizia, intensa repressione e l'uso di granate flash-bang, mazze, proiettili di plastica ecc., con più di 6-7000 arresti e la morte di due manifestanti. Allo stesso tempo, le forze di opposizione sono state in grado di organizzare scioperi di massa in molte grandi imprese del Paese.

Un elemento denunciato dalle autorità come un tentativo di "rivoluzione colorata" è stato il coinvolgimento di altri stati a supporto delle forze di opposizione, principalmente gli Stati Baltici e in particolare Lituania e Polonia, ovvero i Paesi dell'UE dove avvengono importanti violazioni dei diritti e delle libertà democratiche, come la persecuzione dei comunisti. Infatti, il 13/8, gli ambasciatori dell'UE e degli USA hanno portato dei fiori nel punto dove era caduto un manifestante anti-governativo morto.

In termini di riconoscimento internazionale dei risultati delle elezioni, finora i leader di Russia, Cina, Kazakhistan, Uzbekistan, Moldavia, Azerbaijan, Tajikistan, Kyrgyzstan, Siria, Venezuela, Nicaragua, Vietnam, Turchia e Armenia (il Primo Ministro, ma non il Presidente) hanno mandato messaggi di congratulazioni a A. Lukashenko. L'UE, che non riconosce i risultati, si è mossa nella direzione opposta, imponendo sanzioni, così come gli USA, anche se con una minore intensità rispetto a quella alla quale siamo stati abituati negli anni precedenti.

Dovrebbe essere notato che le forze che supportano A. Lukashenko, superando la fase di sorpresa iniziale, hanno organizzato manifestazioni con bandiere statali e lo slogan "Non permetteremo al Paese di disintegrarsi".

A. Lukashenko ha parlato in una di queste ed è andato anche a parlare agli scioperanti in una grande impresa di Minsk. È arrivato e ripartito in elicottero e durante il suo discorso ha chiesto ai lavoratori di far in modo che non perdessero i propri posti di lavoro, così che il Paese "non si sarebbe disintegrato" e di "stare lontani dalla politica". Ovviamente, non è riuscito ad evitare gli insulti di alcune sezioni degli scioperanti.

Allo stesso tempo, il Presidente bielorusso, dopo l'aggravarsi della situazione politica, ha fatto varie affermazioni "pro-russe" aggiungendo che è in contatto regolare con il Presidente russo V. Putin e che le forze del TSC potrebbero intervenire in Bielorussia se l'intervento dell'Occidente dovesse avere una escalation. Ha lasciato aperta una "finestra" per la ripetizione delle elezioni dopo l'approvazione della nuova Costituzione del Paese in un referendum.

Il Presidente bielorusso ha mobilitato le forze militari del Paese verso l'ovest, citando il rinforzo delle forze NATO nell'area e allo stesso tempo sembrava determinato a perseguire tutti coloro che si sono uniti al "Consiglio di Coordinamento" costituito dalla Tsikhanouskaya e che chiedeva la sua cessione del potere.

Ovviamente, al momento in cui si scrive questo articolo le cose sono ancora irrisolte e c'è grande mobilità. Ad esempio, l'imprigionato V. Babariko ha scritto una lettera a Putin, mentre il cosiddetto "Consiglio di Coordinamento" ha affermato che non intende turbare le relazioni con la Russia. Merita una menzione l'affermazione dell'ex Presidente della Polonia, A. Kwasniewski, che ha svolto un "ruolo speciale" nel violento rovesciamento in Ucraina. In particolare, ha avvertito l'UE che "combattendo per rovesciare Lukashenko potrebbe, inaspettatamente, portare al potere un leader filo-russo in Bielorussia".

Alcune utili conclusioni

Gli sviluppi in Bielorussia dimostrano chiaramente che il "bastone" in una serie di interventi imperialisti di USA, UE e NATO nella regione eurasiatica ha raggiunto anche la Bielorussia. La loro mira è di "stringere" ancora di più il "cappio" attorno alla Russia al fine di far guadagnare alle forze euro-atlantiche "pilastri" economici e geopolitici nelle dure competizioni inter-imperialistiche con le altre forze della "piramide" imperialista, Russia e Cina.

Ancora una volta, stanno sfruttando forze che hanno fortemente finanziato e addestrato per questo scopo, così come hanno fatto in Ucraina e stanno "portando con loro" gli elementi più reazionari e nazionalisti che esistono in Bielorussia. Tutte queste forze sono "divampate", insieme alla borghesia che è stata "allevata" durante gli anni del governo di Lukashenko.

Cumuli di "materiali infiammabili" sono stati trovati nei problemi sociali e nelle impasse creati dallo sviluppo capitalista in Bielorussia nei 26 anni di presidenza di Lukashenko, mentre la "miccia" è stata accesa dal cinismo e la repressione con i quali l'élite politica dominante ha tentato di gestire le elezioni borghesi e il risultato elettorale.

In aggiunta, la leadership bielorussa si è "impantanata" ed è stata quasi schiacciata nei conflitti inter-imperialistici tra le forze più potenti, che aveva tentato di sfruttare.

In queste circostanze, la solidarietà verso i comunisti e i lavoratori della Bielorussia ha una particolare importanza in quanto sono coloro che possono e devono organizzare la loro lotta indipendente basata sui loro interessi, per respingere gli interventi esterni, per pretendere la soddisfazione dei bisogni popolari contemporanei, preparare la via per il socialismo, che è l'unica soluzione alternativa agli impasse della via di sviluppo capitalistica.

Elisaios Vagenas

Questo articolo è stato pubblicato nel giornale "Rizospastis" - Organo del CC del KKE il 22/8/2020


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