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fonte www.solidnet.org
da: Partito Comunista Boliviano, 17/07/2005
marxmil@hotmail.com

Qual’e’ la soluzione:
Elezioni o masse in azione?


L’assemblea plenaria del Comitato Centrale svoltasi all’inizio del mese, ha analizzato la congiuntura politica che è formalmente  cominciata il 9 di giugno col nuovo Presidente della repubblica, l’avvocato Hugo Rodríguez.

L’attuale situazione è il risultato della crisi aperta con i “ritorni” di Carlos Mesa, e finita con il cedimento della corda a cui era appeso. Il suo affanno bonapartista di soddisfare tutti i protagonisti del confronto sociale, si è esaurita nonostante la sua capacità di suggestione acquisita con l’uso e l’abuso della televisione. Ciò che la sua retorica non è mai riuscita a nascondere è stata la sua fedeltà al programma neoliberale, col quale aderì insieme al suo predecessore, quella stessa fedeltà che infine lo ha sconfitto.

Mesa non ha capito che la caduta di Sánchez de Lozada è stato il risultato di una straordinaria maturazione delle masse nella difesa degli interessi nazionali e popolari. Il recupero del dominio della Patria sugli idrocarburi amministrati da YPFB, si è trasformata in una bandiera di lotta riassunta in una parola: nazionalizzazione degli idrocarburi.

Ma Mesa non è l'unico perdente di giugno. Sono cadute anche le ambizioni di Vaca Diez, quello adottato dall’ambasciata yankee e dall’oligarchia cruceña, la destra politico movimirista. Intuitivamente il popolo ha respinto la formula della successione costituzionale semplice, e con pazienza si è accontentata di accettare il presidente della Corte Suprema. Di quest’ultimo l’unica cosa che si può dire è che si tratta di una specie di “Pipino il Breve”, destinato all’amministrazione routinaria dello Stato e a presiedere delle elezioni che hanno il compito di produrre un nuovo dirigente. Per il resto, tutti gli occhi saranno su di lui. Ex funzionario di USAID, giudice supremo per il cuoteo, organicamente militante del fronte unico della destra; farà di tutto perché le cose tornino alla normalità, cioè per garantire una transizione… verso la situazione precedente.

Questo è possibile, perché la destra avrà il controllo dei mezzi di comunicazione decisivi nell’orientare il voto cittadino e perché le candidature che si presentano in realtà garantiscono il mantenimento dello status quo. Ci sarà adenismo, movimentismo, mirirismo, anche se appariranno altre sigle e vestano altri colori. Il blocco borghese pro oligarchico e pro imperialista si unirà nel parlamento che partorirà un dirigente di “ampia base” parlamentare.

Nel frattempo, in quello che si può considerare il campo popolare, non ci sono né strumenti né candidature adeguate per offrire una reale alternativa. Ciò che sorprende è che molti che fino a ieri bestemmiavano contro le elezioni borghesi, oggi corrono rapidi alle urne. Sotto quest’aspetto è condannabile l’uso che si vuole fare delle organizzazioni sindacali. Si tratta di trasformare la COB in un partito politico. Non si capisce che sindacato e partito sono due livelli di organizzazione diversi per natura e funzione, benché siano complementari nella lotta per gli interessi concreti del popolo e della classe. Nel partito non ci sono ideologie né linee politiche generali distinte. Nel sindacato ci sono programmi di rivendicazione collettivi con pluralismo politico-organico. Se s’ignorano queste condizioni, non si va solo verso uno strepitoso fallimento, ma a danneggiare l’essenza delle organizzazioni dei lavoratori caratterizzate dalla loro indipendenza politica e democrazia interna.

Da un altro lato si pretende “un fronte unico” che incominci a strutturarsi attraverso le organizzazioni “sociali”, i sindacati, i vicini, le donne indigene. Ma esiste il pericolo si abbia nella testa un’idea corporativista che parla e manipola, in nome delle “basi”, senza che queste, realmente, siano partecipi della generazione d’idee ed azioni, finendo col trasformarsi in semplici “tifosi” di un leader di dubbia affidabilità.

È certo che in larga misura l’uscita dalla crisi, è stata prevista dal Partito. Una sorta di “realpolitik” l’ha imposta ed ha aperto questa congiuntura elettorale. Ma dobbiamo chiederci: è questa la soluzione dei problemi che angosciano popolo, e lavoratori? Non sarà che la massa in azione, la massa mobilitata ed organizzata altrimenti sia la portatrice del cambiamento di cui ha bisogno il paese? Senza cadere nell’avventurismo e senza abbandonare nessun scenario della lotta di classe, comprese le elezioni, perché ci sono modi validi di parteciparvi, l’esperienza boliviana c’indica in questo senso quali sono le vie preferenziali per il cambiamento sociale avanzato o rivoluzionario. Ma non sono le elezioni l’obiettivo primario e finale. Si tratta di riuscire ad attivare l’organizzazione delle masse politicamente attive con metodi di lotta adeguati al momento storico concreto.

traduzione dallo spagnolo di FR