www.resistenze.org
- popoli resistenti - bolivia - 18-04-08 - n. 224
I veri interessi dietro Marinkovic, Costas e Quiroga
La pagliacciata autonomista
Alejandro Saravia - Rebelión
14/04/08
Sulla vera natura del cosiddetto movimento autonomista cruceno, non c’è niente di più illuminante del conto aperto che Branko Marinkovic ha con la Legge boliviana per appropriazione indebita di terre dello Stato. Avvalendosi della corruzione di funzionari e autorità statali, per un individuo o una famiglia, è stato possibile avere terreni molto estesi per cinque volte consecutive. Questo secondo le informazioni rese pubbliche dal viceministro delle Terre, Alejandro Alamraz, in merito all’appropriazione della laguna Corazon da pare dell’ineffabile paladino dell’autonomia crucena.
In un altro contesto, questo scippo di terreni potrebbe passare per un furto con destrezza compiuto da un personaggio abile, in un paese dove l’amministrazione e la giustizia è duttile a fronte del potere del denaro.Ma nell’ambito della convocazione di un referendum autonomista, proprio quello che propone Branko Marinkovic, si tratta di un fatto che fa luce sul futuro che attende i cruceños “autonomisti”.
Il cittadino dell’oriente boliviano si sbaglia, se crede che i suoi interessi saranno protetti da una oligarchia che si camuffa dietro le virtù della democrazia e della libertà. Questa oligarchia opera nei confronti delle risorse dello Stato con un implacabile istinto di saccheggio e di tornaconto personale. La prova sta nel fatto che a Santa Cruz 15 famiglie controllano mezzo milione di ettari. Nel Beni, 10 famiglie concentrano illegalmente mezzo milione di ettari. Nel Pando, 9 famiglie posseggono quasi 800.000 ettari. Si tratta dello scontro tra parti sociali: l’oligarchia orientale e la popolazione senza terra.
Da quando i latifondisti, quelli che hanno approfittato delle risorse del paese senza dividerle, hanno bisogno della solidarietà di chi sta sotto? Da quando la magra borghesia boliviana è paladina della democrazia e della libertà, quella borghesia personificata nei Gasser o Sanchez de Losada, che per anni ha goduto del golpismo militare?
Non è stato a Santa Cruz, come ricorda il giornalista de La Nación, Manuel Salazar, dove i grandi narcotrafficanti nel 1980 hanno offerto un finanziamento di 4 milioni di dollari al golpista García Mesa? A quella riunione non era presente Edwin Gasser, padrone del maggior zuccherificio e dirigente della Lega Anticomunista Mondiale (WALC), e non c’era anche Pedro Bleyer, presidente della Unione Industriale di Santa Cruz?
Branko Marinkovic e la parte sociale che lo ha eletto come suo portavoce, rappresenta la continuità di questa mentalità di esclusione sociale e saccheggio delle risorse dello Stato. Più che l’opinione, sono i suoi atti pubblici, la distanza fra il suo discorso e le sue azioni, ciò che da un assaggio di quello che sarà questa Santa Cruz nelle mani dei capataz locali.
Il discorso popolare è quello che rivela maggiormente la loro mentalità. Gabriela Oviedo, la miss Bolivia del 2004, è passata alla storia quando, con tutto il candore di uno stato di cose che non è cambiato fino ad oggi, dichiarò: “la gente che non sa granché della Bolivia, pensa che siamo tutti indios occidentali.. E’ La Paz l’immagine dominante, quella gente povera, di bassa statura e india. Io sono dell’altro lato del paese, del lato est… Noi siamo alti, siamo gente bianca e sappiamo l’inglese”.
Storicamente, Santa Cruz è stata stranamente una terra d’accoglienza per il nazismo. In questa città sono nati gruppi neofascisti come “I fidanzati della morte”, attivo durante la dittatura di Garcia Mesa. Ma già anni prima, la dittatura del colonnello Hugo Bánzer arrivò a coprire, proteggere e a dare la cittadinanza a un criminale di guerra nazista, Klaus Barbie, il macellaio di Lione, che più tardi, organizzerà gli attacchi paramilitari del 17 luglio 1980 contro la COB a La Paz.
In questa Santa Cruz del prefetto Rubén Costas, uomo alto, bianco e che sapeva l’inglese, paradigma di modernità. In questo paese desiderato dalla oligarchia cruceña non c’è posto per “gente povera, di bassa statura e india”, che non viene necessariamente dalla regione andina. Questi “poveri indios” sono i popoli indigeni Chiquitano, Ayoreode, Yuracare-Mojeño, Gwarayo e Guaraní, popolazioni che vivono a Santa Criz da cent’anni, molto prima dell’arrivo dei Mrinkovic, dei Costas o dei Quiroga. Se ci sono dei padroni legittimi delle terre di Santa Cruz, quei padroni sono i popoli indigeni. Quelli che non hanno accesso alle aule delle università private, né agli spazi ricreativi del quartiere Equipetrol, né ai saloni delle Torres Cainco. E non saranno quelli dell’Unione Giovanile Cruceñista quelli che lotteranno per una maggior giustizia e uguaglianza per i primi popoli indigeni cruceños, semplicemente perché non lo hanno mai fatto.
Santa Cruz deve la sua crescita economica allo stagno, cioè al lavoro dei minatori di Catavi, Llallagua, Pulacayo e Siglo XX, per citare alcuni centri minerari. Furono quegli indios aymara e quechua quelli che ebbero la silicosi perché Santa Cruz potesse lastricare le sue strade e la sua agroindustria potesse capitalizzarsi. Il lavoro dei “poveri indios” permise negli anni 70, secondo lo storico Mariano Baptista Gumucio, l’enorme espansione della agricoltura cruceña mediante crediti dello Stato destinati alla coltivazione e all’esportazione del cotone, del caffè, dello zucchero, del legno e dell’allevamento. E quando si trattò di devolvere i prestiti, fu lo Stato che assorbì i debiti dei produttori cruceños al Banco Agricolo. I boliviani che non ebbero un centesimo di quei capitali alla fine dovettero pagare circa 700 milioni di dollari. Questo travaso del debito privato all’erario pubblico fu opera di ADN, la formazione politica dell’ex dittatore Hugo Banzer e che oggi porta il nome di PODEMOS, o ROBEMOS, il che è lo stesso. ROBEMOS, guidata da Jorge Quiroga, ex consulente del Fondo Monetario Internazionale.
Più che un conflitto tra cittadini d’oriente contro quelli dell’occidente, in Bolivia si tratta del neoliberismo che sta lottando per schiacciare le richieste di maggior giustizia economica e sociale. Marinkovic, Costas e Quiroga difendono gli interessi delle multinazionali. La loro espressione politica è la destra, è PODEMOS, è l’avallo dell’ambasciatore statunitense Philip S. Goldberg. L’ambasciate degli USA ha dato centinaia di migliaia di dollari a una serie di organizzazioni che si oppongono alle riforme che sta portando avanti il presidente Morales. A questa destra degli oligarchi creoli, non dei cruceños, quella che ha rifiutato la mediazione della Chiesa e la mediazione di paesi come il Brasile o l’Argentina per evitare la divisione del paese.
In più di 180 anni di storia della Bolivia, mai un governo statunitense ha agito con la Bolivia in modo altruista. Washington ha nascosto i suoi interessi usando dittature militari o politici corrotti (Banzer - Sanchez de Losada), calpestando i diritti umani dei boliviani. E se è potuto capitare tutto questo, è stato grazie al sostegno della borghesia locale. Questo “noi siamo alti, siamo bianchi e sappiamo l’inglese” ha una dimensione politica che si manifesta nello specchietto per allodole dell’autonomismo. Non ci può essere autonomia se non siamo uguali nei diritti umani, nei diritti sociali ed economici.
Quello che il referendum dell’oligarchia cruceña vuole fare è la balcanizzazione della Bolivia. Marinkovic, Costas e Quiroga non fanno altro che creare le condizioni per una guerra civile sulle risorse naturali in Bolivia. Gli interessi che difendono sono quelli delle grandi corporazioni del gas e del petrolio. Sono quelli delle multinazionali che hanno già affondato la Bolivia e il Paraguay tra il 1932 e il 1935 nella guerra del Chaco, la prima guerra per il petrolio della regione. In quel conflitto, che fece 100.000 morti, furono gli indios aymara e quechua quelli che difesero le risorse petrolifere a Santa Cruz. Oggi sono quegli stessi interessi che vogliono mettere fine alla Bolivia come paese. L’attuale ambasciatore statunitense a La Paz, Philip S. Goldberg, è lo stesso che ha curato gli interessi degli USA durante la divisine della ex Yugoslavia, il paese d’origine di Branko Marinkovic. E non c’è alcun dubbio che saranno proprio gli USA, i primi a riconoscere il referendum di Marinkovic, Costas e Quiroga.
In fondo, il potere non è nel Palazzo Quemado, né nella Prefettura di Santa Cruz. Il potere non ce l’ha Evo Morales e neppure Branko Marinkovic. Il potere è nel popolo e in quelle parti sociali simboli o istituzioni in cui il popolo investe questo significato. Il potere sta nel popolo e nelle sue azioni collettive. Contro l’autonomia, al neoliberismo mascherato da cruceñismo, alle tre tigri dell’imperialismo Marinkovic, Costas y Quiroga, c’è una delle armi più efficaci dell’arsenale democratico dei popoli mobilitati: il boicottaggio del referendum. Viva Santa Cruz senza capataz!