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Il Brasile dopo le manifestazioni del 13 marzo

Ana Saldanha | odiario.info
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

18/03/2016

Scritto al momento della nomina di Lula a Ministro della Casa Civil (sorta di Primo Ministro nel sistema brasiliano n.d.t.) da parte di Dilma Rousseff e prima della sua sospensione da parte di un Tribunale, questo pezzo di Ana Saldana mantiene la sua piena attualità perché ci spiega i come ed i perché della crisi politica brasiliana, dell'ascesa e della caduta del Partito dei Lavoratori (PT) e del cosiddetto "nuovo sviluppo" brasiliano.

«Si chiami o no "nuovo sviluppo", la politica perseguita dai governi del PT, il fatto è che rimaneva il potere assoluto dei trust e delle imprese monopolistiche, delle banche e dell'oligarchia finanziaria. Il modo di produzione capitalistico e dei rapporti sociali che ne conseguono, insieme con il freno ai diritti del lavoro che il governo del PT ha posto in essere, hanno proseguito a ritmo sostenuto. Lula si era fatto servo del grande capitale transnazionale e Rousseff ha proseguito questo impegno lulista»

Il Brasile dopo le manifestazioni del 13 di marzo

Domenica 13 marzo non c'era in piazza il Brasile della strada. C'erano ampi strati della popolazione e settori sociali benestanti, c'era la borghesia, accompagnata naturalmente anche da settori svantaggiati della popolazione, c'erano naturalmente i lavoratori, che, però, non rappresentavano la maggioranza di quelli che hanno marciato Domenica in Avenida Paulista o a Copacabana, in una marcia che ci rimanda a recenti tempi oscuri, ancora freschi nella memoria di questo continente.

Domenica 13 marzo i dintorni di Avenida Paulista rigurgitavano di magliette gialloverdi, cappellini verdeoro, pantaloni e scarpe di marca, capelli tinti di giallo (come i nobili nella cultura brasiliana oppure gli "zii" della cultura portoghese), scarpe Nike, Adidas e Puma. E facce botulinate, seni gonfiati a dismisura col silicone e tanta, tanta ignoranza concentrata nei due chilometri di estensione dei viali.

Attraversare Avenida Angelica verso Avenida Paulista, passando da Santa Cecilia, è lo stesso che attraversare la gerarchia sociale dello Stato. Iniziando il cammino, al principio dell'Avenida Angelica, quanto più si sale lungo una ripida scalinata, tanto più ci si avvicina ai corsi superiori e maggiore diventa anche il prezzo al metro quadro.

Se il PIL del Brasile fosse misurato in silicone, del principale indicatore per misurare la produzione economica all'interno di un paese avremmo avuto la sua massima concentrazione domenica 13 marzo nei viali di Copacabana, a Rio de Janeiro, in Avenida Paulista, a San Paolo.

Corpi stereotipati, volti violentemente aggrediti dalla plastica, seni e glutei sproporzionati, ogni guancia piena di Botox corrisponde al salario minimo mensile brasiliano - guadagnato praticamente da quasi la metà della popolazione. Infatti, il 44,8% dei 60,8 milioni di famiglie con reddito ha dichiarato di vivere solo con un salario minimo (Istituto Brasiliano di Geografia e Statistica IBGE, 2014). Così, oltre il 44% delle famiglie brasiliane vive con la metà del costo di un paio di quelle guance o glutei, che la Domenica marciava per le vie principali delle grandi città. Immaginate, quindi, quale concentrazione di capitale espressa  in coppie di guance, seni e glutei, quel giorno si sia radunata. Per non parlare delle scarpe da tennis, dei pantaloni e delle camicie. […]

Il Partito del lavoratori, dall'ascesa alla caduta

Il Partito dei Lavoratori (PT) e Luiz Inácio Lula da Silva erano stati il motore della speranza di un Brasile impoverito, affamato, il cui tasso di disoccupazione nel 2002 era pari al 12% : un Brasile il cui debito pubblico era raddoppiato col governo di Fernando Henrique Cardoso, un Brasile dove dilagava la corruzione, la violenza e la povertà.
In questo contesto, Lula e il PT  si sono presentati come la speranza annunciata di un nuovo Brasile.
La speranza, tuttavia, si è trasformato in farsa. Il nuovo Brasile previsto e sperato dalla maggioranza sfruttata, non sarebbe mai arrivato.

Certo: il programma Bolsa Familia ha coinvolto 45,8 milioni di brasiliani (vale a dire un brasiliano su quattro è stato beneficiario del programma stabilito dal governo di Lula nel 2003), mentre il coefficiente di Gini, che nel 2003 era 0,59, è passato nel 2012 a 0,519 [1] (nonostante i progressi, l'indice di Gini del Brasile è uno del peggiori del mondo. Tra i 127 paesi analizzati nel 2012, il Brasile era al 120mo posto). Nel 2004, il 10% più ricco concentrava su di se' il 45,3% del reddito, e il 10% più povero si accontentava dello 0,9% . Nel 2012, il più ricco 10% controllava il 41,9% del reddito nazionale e il 10% più povero possedeva l'1,1% del reddito nazionale (IBGE, 2013). La differenza è piccola, ma rappresenta un leggero miglioramento della distribuzione del reddito. Tutto questo è giusto. E merita di essere raccontato, lodato e non dimenticato.

Ma è anche vero che questa politica di ridistribuzione era sostenuta dalla prospettiva ideologica della collaborazione di classe, la quale ha permesso di arginare le dimostrazioni di malcontento delle fasce più povere della popolazione, in un momento molto particolare della vita latinoamericana.

Nel contesto storico-sociale ed economico dell'America Latina segnato dalla vittoria di Hugo Chavez nelle elezioni presidenziali del 2002, la vittoria di Evo Morales alle elezioni presidenziali del 2005, la vittoria di Rafael Correa alle elezioni presidenziali del 2007, quando le forze progressiste erano avanzate a livello elettorale ed avevano raggiunto, nel quadro della democrazia borghese, vittorie elettorali storiche, quando è stato avviato un ciclo di aumento dei prezzi internazionali delle materie prime e del barile di petrolio (nel dicembre 2002 il prezzo del barile di greggio era 27,89 dollari e nel giugno 2008 ha raggiunto i 132,55 dollari) - vale a dire, in un momento nel quale il capitalismo ha permesso la crescita degli indicatori economici nei paesi dell'America latina - la borghesia brasiliana decise di fare un accordo con il Partito dei lavoratori.

La politica di migliore redistribuzione della ricchezza e alcuni progressi nel piano sociale sarebbero, tuttavia, concomitanti con una politica di approfittamento del capitalismo.

Il PT, Lula ed il capitalismo.

A questa politica di redistribuzione, in cui lo Stato si assume il ruolo di promotore dell'economia, alcuni economisti e sociologi - prendendo come punto di partenza le teorie della Cepal (Commissione economica delle Nazioni Unite per l'America Latina e Caraibi - CEPAL)  degli anni 60 e una prospettiva neo-keynesiana - danno il nome di neodesenvolvimentista  o di "nuovo sviluppo".

Nella politica attuata dal governo Lula e Rousseff non si verificava, però, la fine annunciata del neoliberismo (concetto che corrispondeva in realtà al rafforzamento del capitalismo monopolistico di Stato) in Brasile. Si chiami o no "nuovo sviluppo", la politica perseguita dai governi del PT, il fatto è che rimaneva il potere assoluto dei trust e delle imprese monopolistiche, delle banche e dell'oligarchia finanziaria. Il modo di produzione capitalistico e dei rapporti sociali che ne conseguono, insieme con il freno ai diritti del lavoro che il governo del PT ha posto in essere, hanno proseguito a ritmo sostenuto. Lula si era fatto servo del grande capitale transnazionale e Rousseff ha proseguito questo impegno lulista. Come dice Maria Orlanda Pinassi (nuovo sviluppo e lotta di classe?, 2013):

"Secondo quanto consta, lo Stato cerca, quindi [con il "neosviluppo"], di ripristinare la sua funzione (di "sostegno") sociale - con la creazione di posti di lavoro (spesso precari e temporanei) con le politiche di recupero del salario minimo e di redistribuzione del reddito (aiuti per la famiglia, la scuola, la disoccupazione, ecc.) - mentre la rinazionalizzazione dell'economia attraverso i finanziamenti del BNDES [Banca nazionale per lo sviluppo economico e sociale] è volta alla reindustrializzazione ed alla sostituzione delle importazioni per il fabbisogno. Argomentazioni altamente discutibili, visto che le imprese pubbliche privatizzate sono ora fortemente controllate da capitale straniero (vedi Vale), una logica in cui il sistema dell'economia transnazionalizzata riconduce il Brasile al ruolo produttore di beni primari per l'esportazione.

(...) Il capitale nel processo generale di crisi ha qui poco da rimpiangere e molto da festeggiare: si veda la stratosferica redditività delle banche e l'enorme crescita del settore delle costruzioni. Ancora più impressionante è la performance del settore minerario estrattivo, dell'agro-alimentare, del settore energetico ed i numeri che indicano come  nelle aree agricole, foreste, fiumi e molti luoghi da tutelare siano invasi e distrutti dal pascolo, dalla monocoltura della canna da zucchero, della soia, della cellulosa, dell'arancia, nonché da  miniere e  dighe ".

Tuttavia, oggi che la grande borghesia possiede i mezzi di produzione, per il grande capitale nazionale collegato con il grande capitale straniero, il governo del PT non è più necessario. La grande borghesia, dopo 14 anni di governo del PT ha raggiunto una vittoria ideologica, che si perfeziona con lo sfratto del PT dalle alte sfere delle istituzioni borghesi: tramite l'idea che la politica attuata dal PT fosse una politica progressista, anche socialista. La qual cosa è falsa. Categoricamente falsa.

Il PT ha messo in atto una politica che serve i grandi gruppi economici brasiliani (i quali sono collegati al capitale straniero), ha consegnato interi settori dell'economia brasiliana al capitale straniero (vedi la concessione di più di 2500 km di strade al gruppo spagnolo OHL, la privatizzazione della Pará State Bank, la privatizzazione della Banca dello Stato del Maranhão, la privatizzazione della centrale idroelettrica di Santo Antônio e di Jirau - al consorzio di Suez Energia Sud America (50,1%), Camargo Corrêa (9,9%), Eletrosul (20%) e alla Compagnia idroelettrica di San Francisco (20%) - la consegna di alcuni campi di bacino petrolifero, continuazione delle concessioni per lo sfruttamento e la trasmissione dell'energia, la vendita delle quote di minoranza in società che erano state privatizzate, mentre l'aver potenziato l'espansione dell'agrobusiness ha fatto del Brasile uno dei più grandi produttori ed esportatori in tutto il mondo (nel 2013, questo settore ha rappresentato il 41,28% delle esportazioni brasiliane). Secondo i dati di IBGE per il 2012, la quota dell' 1% dei brasiliani più ricchi ha guadagnato quasi cento volte di più rispetto alla quota del 10% più povero.

Il PT, applicando una politica al servizio dei grandi gruppi economici, ha tradito non solo la sua base sociale ed elettorale, ma ha dimostrato di essere un partito sul quale la classe dirigente brasiliana può sempre contare contro gli interessi della classe operaia e contro gli interessi dei lavoratori. Un partito corrotto e corruttibile, che ha dimostrato che l'esercizio del potere in una democrazia borghese, conferma non solo che "il partito al governo in una democrazia borghese garantisce soltanto la tutela della minoranza" (V.I. Lenin, La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky), ma anche che la democrazia nello stato borghese, pur rappresentando uno storico passo avanti rispetto ai precedenti modi di produzione, "continua ad essere sempre (...) un ristretto, amputato, falso, ipocrita, paradiso per i ricchi, nonché trappola e inganno per gli sfruttati, per i poveri" (V.I. Lenin, la rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky).

Il PT non era, e non sarà mai, il partito dei lavoratori. La sua azione è stata sempre fondata sulla difesa della minoranza sfruttatrice, il rafforzamento del capitalismo, la difesa delle istituzioni che garantiscono l'esercizio del potere dalla stessa minoranza, allontanando le "masse dall'amministrazione, dalla libertà di riunione e di stampa, etc." (V.I. Lenin, la rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky), cercando di nascondere il fatto che in realtà "mille barriere separano la partecipazione delle masse lavoratrici nei parlamenti borghesi (che non risolvono i problemi più importanti della democrazia borghese: questi sono direttamente risolti dalla borsa e dalle banche) "(V.I. Lenin, la rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky). Non posizionandosi ideologicamente dal punto di vista delle classi oppresse, il PT, attraverso la corruzione, la menzogna, l'inganno, ha sempre cercato di far credere alle masse sfruttate che il sistema e l'ordine capitalistico, con le disuguaglianze che ne derivano, sono un'inevitabilità storica .

Lottare per il lavoro contro il capitale.

La classe operaia, i diversi strati di lavoratori e gli strati più poveri della popolazione hanno tutte le ragioni per scendere in piazza e lottare.

Nel contesto attuale del conflitto tra lavoro e capitale, la maggioranza sfruttata dovrebbe aprire la strada a grandi lotte ed ottenere che il capitale retroceda: lottare contro il piano di privatizzazioni guidato da Fernando Henrique Cardoso e proseguito da Lula e Dilma, chiedendo la promessa e tradita Riforma Agraria, lottare contro la precarietà del lavoro, contro il lavoro degli schiavi che esiste in molti settori, per la dignità sul posto di lavoro, un alloggio decente, lottare contro i tagli ai programmi sociali, contro la promiscuità tra lo Stato e gli interessi economici di una minoranza, lottare per un'istruzione ed un servizio sanitario pubblico, universale e di qualità, contro l'esclusione sociale e l'emarginazione di fasce della popolazione appartenente alla maggioranza sfruttata, contro le grandi opere dell'agroalimentare e dell'agroindustria, contro la consegna della natura alle imprese private, per salvaguardare i diritti alla terra dei popoli amerindi, contro l'uccisione e la persecuzione dei leader e degli attivisti dei movimenti sociali e politici.

Queste lotte non possono però essere portate avanti sotto le bandiere della borghesia e dei suoi accoliti benestanti che domenica 13 marzo sono scesi in piazza.

Nel contesto attuale della regressione civile ed ideologica in America Latina, dove l'equilibrio delle forze sembra essere più favorevole al capitale, in un contesto di lotta di classe in cui le forze più reazionarie, guidate dalla grande borghesia nazionale associata con il capitale straniero, cercando di imporsi senza freni od ormeggi, distruggendo i risultati del lavoro degli ultimi 15 anni sul continente, la classe dirigente brasiliana, sostenuta dai suoi omologhi stranieri, non ha bisogno del PT.

La borghesia brasiliana non ha più bisogno della politica di riconciliazione tra le classi guidata dal governo Lula. Non ha bisogno di bloccare il movimento popolare di emancipazione e rivendicazione dell'inizio millennio. E' già riuscita a diffondere la falsa idea che la politica del PT è una politica progressista. E' noto che i rapporti di forza sono al momento a lei favorevoli, ed in virtù di questi può manipolare le sue istituzioni statali - da lei e per lei create - in suo favore.

Lula, l'ex presidente che era diventato il conversatore telefonico più costoso in Brasile, con la ricarica di schede che vanno da 200 mila reais a 790.000 reais, ha conversato con  multinazionali come LG, Telefonica, Microsoft, Acapulco, l'Associazione delle banche del Messico, Bank of America e Merrill Lynch; Lula e il suo governo hanno creato, come affermato dal Partito comunista brasiliano (PCB), nella sua nota politica del 6 marzo 2016, "la palude dove ora affondano" [2] .

Abbandonato dalla classe dominante che aveva servito, Lula si trasforma oggi, ancora una volta, per la base sociale ed elettorale che lo ha portato al potere nell'ottobre del 2002. Quella stessa base sociale ed elettorale ed il terreno della sua lotta di classe, si sono visti  truffati e traditi  da questo Presidente che, prima di essere l'oratore più costoso in Brasile, era stato il sindacalista tornitore meccanico il quale aveva dichiarato che se un giorno fosse  stato eletto presidente, avrebbe "dimostrato che si può tranquillamente mettere corrotti in galera. (...) Il grande furfante ruba senza vergogna e per questo abbiamo bisogno di metterlo  in galera " (vedi https://www.youtube.com/watch?v=TBwvT5nTUEo).

Prendiamo atto che oggi, 16 marzo, le indagini di corruzione che pesano sulla Casa Civile (il più importante ministero in Brasile, corrispondente al primo ministro degli altri regimi parlamentari borghesi), non sono più sotto la competenza del giudice di primo grado ma sono ora sotto la giurisdizione della Corte Suprema (STF). Questa nomina ministeriale conferma la corruttibilità e la perversione ideologica di Lula, discredita lui come discredita il PT, dimostrando come la corruzione è intrinsecamente legata all'esercizio del potere in uno uno stato che rimane al servizio di una minoranza sfruttatrice. Questa nomina dimostra ulteriormente il fatto che né Lula né il PT sono in grado di difendere gli interessi della maggioranza sfruttata (che, ipocritamente, e per ragioni di sopravvivenza, dicono proteggere) nonché il fatto che il PT (come Lula e Dilma) fosse un mero strumento del capitale, in un particolare periodo della storia brasiliana.

Altri servi del capitale succederanno a questo PT eletto tra gli applausi dell'imperialismo degli Stati Uniti, probabilmente ancora più retrogradi e docile nei confronti del capitale; questo, tuttavia, non annulla le responsabilità del PT, di Lula né le responsabilità e Dilma in un processo di rafforzamento del capitalismo e delle sue conseguenti ed eclatanti disuguaglianze.

La lotta di classe si acuisce. Ma nel terreno concreto di questa lotta, la maggior parte di coloro che Domenica 13 marzo sono scesi in strada difende ferocemente la classe dirigente degli attuali rapporti di produzione. Prima adoravano Lula, oggi lo calpestano.

Una cosa è certa: Lula non è mai stato nella lotta per il pane, per il lavoro e per la dignità della classe operaia e di tutti i lavoratori, quegli stessi che dal 2002 Lula ha continuamente tradito.

Note:

1) Il coefficiente di Gini è un parametro internazionale utilizzato per misurare la diseguaglianza della distribuzione del reddito tra i paesi. Varia tra 0 ed 1: più è vicino a zero, minore è la disparità di reddito in un paese.

2) Come esempio di deferenza verso il capitale straniero e rafforzamento del capitalismo, si vedano le cifre della Banca Centrale del Brasile nel primo mandato del Presidente Lula (2003-2006). Per ogni dieci reals investiti da società multinazionali in Brasile, ben sei sono stati inviati alle loro sedi all'estero. Le banche sono state, nel 2006, le imprese che hanno inviato più risorse brasiliane fuori dal Brasile.


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