Da www.balkanpeace
traduz. a cura di E. Vigna ( Associazione SOS Yugoslavia)
Documentazione su Srebrenica
Quel che segue è l’analisi di un italiano che fu realmente sul
terreno bosniaco durante la guerra, ed in particolare nel corso della caduta di
Srebrenica.
Si può essere d’accordo oppure no con l’analisi politica, ma si dovrebbe
davvero leggere il resoconto di come Srebrenica cadde, su chi sono le vittime i
cui corpi sono stati sino a questo punto ritrovati, e la ragione per cui
l’autore crede che i serbi volessero sopraffare e conquistare Srebrenica,
mettendone in fuga i musulmani bosniaci, piuttosto che avere nei loro confronti
qualunque proponimento di commettere una carneficina. E’ anche piuttosto
istruttivo il confronto Srebrenica e Krajina, così come la relazione mediatica
che con esso ha attinenza diffusasi tra la “stampa libera” in Occidente.
Vi sono scarsi dubbi sul fatto che almeno 2000 musulmani bosniaci perirono nel
combattere l’esercito serbo bosniaco. Permane tuttavia la domanda, QUANDO si
verificò la maggioranza di tali perdite? Stando all’analisi sottostante, ciò
avvenne prima della caduta definitiva di Srebrenica; dove i musulmani opposero
pochissima resistenza nell’estate del 1995.
Carlos Martins Branco
Vorrei esprimere le mie opinioni riguardo gli eventi di Srebrenica. Invio qui
un articolo che ho scritto tempo fa , che rispecchia un modo di accostarsi alla
questione molto diverso da quello trasmesso dai media occidentali, e dalla CNN
in particolare. Ero UNMOs Deputy Chief Operations Officers del UNPF (a livello
di luogo in cui si svolgono le azioni) e le mie informazioni si fondano sui
rapporti successivi alle operazioni militari dell’UNMOs che in quei giorni
venivano spediti a Srebrenica per posta, e su alcuni verbali dell’ONU non resi
noti all’opinione pubblica. Le mie fonti non sono Ruder & Finn Global
Public Affairs, che non include il mio nome nel suo database. Non voglio
dibattere di numeri e questioni simili. Tali argomenti non mi interessano in
alcun modo. Non vi sono informazioni attendibili, e le cifre sono state usate e
manipolate a fini propagandistici, non sono orientati ad una seria comprensione
del conflitto iugoslavo.
L’articolo si fonda su informazioni VERE e include la mia analisi degli eventi.
La storia è più lunga di quella dell’articolo, ho tuttavia tentato di essere il
più conciso possibile. Spero contribuisca a fare ulteriore chiarezza su ciò che
realmente accadde a Srebrenica e quel che si celava al di sotto degli eventi, specialmente
per quel che riguarda l’atteggiamento dei mussulmani bosniaci. Credo fermamente
che Srebrenica possa costituire una sorta di modello, di esempio di condotta
bellica delle due fazioni che si combattono nel conflitto: da una parte i
musulmani bosniaci che provocano i serbi, tentando in tutti i modi di
convincere la comunità internazionale ad intervenire con la forza contro i
serbi in modo da risolvere la questione militare; dall’altro lato la mancanza
di intelligence all’interno della leadership serba, che fornisce così ai
musulmani le giustificazioni ed i motivi che cercavano. So bene che ad alcuni
di voi non piaceranno i contenuti dell’articolo. Mi dispiace per loro.
L’accaduto di Srebrenica è stato un inganno?
Sono passati anni da quando l’enclave musulmana Srebrenica, è caduta nelle mani
dell’esercito serbo in Bosnia. Molto è stato scritto su tale questione
controversa. Nondimeno, la maggioranza dei resoconti si è limitata ad una
generica esposizione mediatica dell’accaduto, apportandovi uno scarso rigore
analitico. Un dibattito su Srebrenica non può limitarsi al genocidio e alle
fosse comuni, che costituiscono un’evenienza quasi banale da un capo all’altro
dell’ex-Jugoslavia. Un’analisi rigorosa degli eventi deve prendere in
considerazione il retroterra culturale, le circostanze che hanno fatto da
sfondo, così da comprendere le reali motivazioni che hanno condotto alla caduta
dell’enclave.
La zona di Srebrenica, come quasi tutta la Bosnia orientale, è caratterizzata
da un terreno molto accidentato ed aspro. Scoscese vallate con fitte foreste e
profondi precipizi rendono impossibile il passaggio ai mezzi di trasporto da
guerra, avvantaggiando decisamente le forze difensive. Date le risorse alla
portata di entrambe le parti e le
caratteristiche del terreno, parve verosimile che l’esercito bosniaco (ABiH)
avesse la forza necessaria per attuare una strategia difensiva, se si fosse
fatto pieno ricorso al vantaggio offerto dalla configurazione del territorio.
Tuttavia, ciò non accadde.
Stabilito il vantaggio militare delle forze difensive, risulta molto difficile
spiegare l’assenza di una resistenza militare. Le forze musulmane non
instaurarono un sistema di difesa effettivo, e non tentarono nemmeno di trarre
vantaggio della loro artiglieria pesante, sotto controllo delle forze delle
Nazioni Unite (ONU), in un momento in cui avrebbero avuto ogni ragione per fare
ciò.
La mancanza di una risposta militare si colloca in netto contrasto con
l’assetto offensivo che caratterizzò le azioni delle forze di difesa durante le
precedenti situazioni di assedio, connotate dai tipici “raids” violenti
sferrati contro i villaggi serbi circostanti l’enclave, causando in tal modo
perdite gravose fra la popolazione civile serba.
Ma in questo caso, con l’attenzione dei media che convergeva sull’area, la
difesa militare dell’enclave avrebbe svelato l’autentica situazione delle zone
di sicurezza, provando così che queste ultime non erano mai state
autenticamente demilitarizzate com’era stato rivendicato e come si sosteneva, ma
che al contrario davano protezione e nascondiglio ad unità altamente
militarizzate. Una resistenza militare avrebbe messo a repentaglio l’immagine
di “vittima” così accuratamente costruita, il cui mantenimento i musulmani
consideravano di capitale importanza.
Dall’inizio alla fine dell’intera operazione fu chiaro che esistevano
disaccordi radicali fra i leaders dell’enclave. Da un punto di vista
strettamente militare regnava il caos totale. ORIC, il carismatico comandante
di Srebrenica, era assente.
Il governo di Sarajevo non ne autorizzò il ritorno, così da poter guidare la
resistenza. Il potere militare cadde fra le mani dei suoi luogotenenti, i quali
avevano una lunga storia di incompatibilità. La mancanza di una chiara
leadership da parte di Oric condusse ad una situazione di totale inettitudine.
Gli ordini contraddittori dei suoi successori paralizzarono completamente le
forze sotto assedio.
Anche la condotta dei leaders politici risulta interessante. Il presidente
locale SDP, Zlatko Dukic, in un’intervista con gli osservatori dell’Unione
Europea, spiegò che Srebrenica era parte di una transazione d’affari, di un
negoziato che coinvolgeva una via di supporto logistico verso Sarajevo,
passante attraverso VOGOSCA. Affermò anche che la caduta dell’enclave faceva
parte di un’operazione militare orchestrata per screditare l’Occidente e
persuadere i paesi islamici, al fine di ottenerne l’appoggio. Questa era dunque
la motivazione per cui ORIC si era tenuto a distanza dalle sue truppe. Tale
tesi fu anche sostenuta dai sostenitori locali del DAS. Correvano anche molte
voci di rapporti commerciali all’interno della popolazione locale dell’enclave.
Un altro aspetto curioso fu l’assenza di una reazione militare da parte del 2°
Corpo dell’esercito musulmano, che non fece nulla per attenuare la pressione
militare sull’enclave. Era risaputo che l’unità serba nella regione, i “Drina
Corps” fosse esausta, e che l’attacco a Srebrenica sarebbe stato possibile
soltanto mediante l’aiuto di unità provenienti da altre regioni.
Ciononostante, Sarajevo non mosse un dito per sferrare un attacco che avrebbe
diviso le forze serbe ed esposto i punti vulnerabili creati dalla
concentrazione delle risorse attorno a Srebrenica. Un tale attacco avrebbe
ridotto la pressione militare gravante sull’enclave.
E’ anche importante notare il patetico appello del presidente di Opstina, Osman
Suljic, il 9 luglio, che implorava gli osservatori militari di dire al mondo
che i serbi stavano impiegando armi chimiche. Il medesimo gentiluomo accusava più
tardi i media di trasmettere false notizie riguardo la resistenza delle truppe
nell’enclave, richiedendo un diniego da parte dell’ONU. Secondo Suljic, le
truppe mussulmane non rispondevano e non avrebbero mai risposto con
l’artiglieria pesante.
Allo stesso tempo, egli lamentava la mancanza di derrate alimentari e
sottolineava la situazione dal punto di vista umanitario. Stranamente, agli
osservatori non fu mai permesso di ispezionare i depositi di stoccaggio cibo.
L’enfasi mostrata dai leaders politici sulla mancanza di risposta militare e
sull’assenza di provviste alimentari suggerisce vagamente una politica
ufficiale che iniziava a delinearsi, a distinguersi.
Alla metà del 1995, il protrarsi della guerra aveva scoraggiato l’interesse
pubblico. Vi era stata una sostanziale riduzione nella pressione dell’opinione
pubblica delle democrazie occidentali. Un incidente di tale rilievo avrebbe
nondimeno fornito per settimane nuovo materiale scottante per i media,
risvegliando l’opinione pubblica ed incitando nuove passioni. Sarebbe così
stato possibile prendere due piccioni con una fava: si sarebbe potuta rivelare
la pressione in modo da togliere l’embargo, ed allo stesso tempo sarebbe stato
difficile per i paesi occupanti ritirare le loro forze, un’ipotesi quest’ultima
avanzata dai vertici dell’ONU, e cioè da personalità come Akashi e
Boutros-Boutros Ghali.
Nei musulmani albergava da sempre una segreta speranza riguardo il sollevamento
dall’embargo. Ciò era divenuto l’obiettivo principale del governo di Sarajevo,
alimentato dal voto al Senato e Congresso USA a favore di tale misura.
Tuttavia, il presidente Clinton pose il veto alla decisione e richiese una
maggioranza dei due terzi in entrambe le Camere.
Il collasso delle enclaves costituì la pressione decisiva di cui la campagna
necessitava. A seguito di tale caduta, il Senato statunitense votò con un
maggioranza di oltre due terzi a favore dell’eliminazione dell’embargo. Era
chiaro, inevitabile, che prima o poi le enclaves sarebbero cadute sotto il
controllo serbo. Vi era consenso fra i negoziatori (l’amministrazione USA,
l’ONU e i governi europei) sul fatto che fosse impossibile mantenere le tre
enclaves mussulmane, e che queste ultime si sarebbero dovute cedere in cambio
di territori della Bosnia centrale. In molteplici occasioni, fu Madeleine
Albright a proporre a Izetbegovic tale scambio, basato sulla proposta del
gruppo di contatto. All’inizio del 1993, primo momento di crisi dell’enclave,
Karadzic aveva proposto ad Izetbegovic di scambiare Srebrenica con le zone
periferiche attorno a Vogosca. Tale scambio includeva il movimento di
popolazioni in entrambe le direzioni. Questo era l’obiettivo cui miravano i
negoziati segreti, per evitare pubblicità indesiderata. Ciò implicava che i
paesi occidentali accettassero ed incoraggiassero la separazione etnica.
La verità è che sia gli americani che il presidente Izetbegovic erano
tacitamente convenuti alla decisione che non aveva senso insistere con la
permanenza di tali enclaves isolate in una Bosnia divisa. Nel 1995 nessuno
credeva più nell’inevitabilità di una divisione etnica del territorio. Nel mese
di giugno 1995, prima dell’operazione militare in Srebrenica, Alexander
Vershbow, assistente speciale del presidente Clinton, dichiarava che “l’America
dovrebbe incoraggiare i bosniaci a pensare in termini di territori con maggiore
coerenza e compattezza territoriale.” In altre parole ciò stava a significare
che si sarebbero dovute dimenticare le enclaves. L’attacco a Srebrenica,
attuato senza aiuto da parte di Belgrado, fu del tutto inutile, e ha
esemplificato al massimo grado il fallimento politico della leadership serba.
Nel mentre, i media occidentali esacerbavano la situazione trasformando le
enclaves in una potente icona ad uso e consumo dei media; situazione che
Izetbegovic avrebbe presto esaminato attentamente.
La CNN trasmetteva quotidianamente le immagini di fosse comuni per migliaia di
corpi, ottenute da satelliti spia. Nonostante la precisione microscopica nella
localizzazione di tali fosse, risulta certo che nessuna scoperta ha sinora
confermato tali sospetti. Poiché non sussistono più restrizioni di movimento, è
inevitabile che si facciano congetture, che si mediti sul perché esse non siano
state ancora mostrate al mondo.
Se vi fosse stato un piano premeditato di genocidio, invece di attaccare in
un’unica direzione, da sud verso nord – che lasciava adito all’ipotesi di fuga
verso nord e ovest, i serbi si sarebbero insediati in maniera tale da impedire
a chiunque di sfuggire loro. I posti di osservazione dell’ONU a nord
dell’enclave non furono mai disturbati e protrassero la loro attività anche al
termine delle operazioni militari.
Esistono ovviamente fosse comuni alla periferia di Srebrenica, come nel resto
della ex-Yugoslavia, laddove hanno avuto luogo i combattimenti, ma non
sussistono argomenti ragionevoli per la campagna che è stata montata, e nemmeno
per i numeri avanzati dalla CNN.
Le fosse comuni sono riempite da un numero limitato di corpi da entrambe le
parti, conseguenza di battaglie e combattimenti animati, ma non risultato di un
piano premeditato di genocidio, come si è invece verificato per le popolazioni
serbe di Krajina nell’estate del 1995, quando l’esercito croato portò a termine
uno sterminio di massa di tutti i serbi che là si trovavano.
In questo caso, i media serbarono un silenzio assoluto, nonostante il fatto che
il genocidio si fosse protratto lungo un periodo di tre mesi. L’obiettivo di
Srebrenica era la pulizia etnica e non il genocidio, a differenza di ciò che
accadde in Krajina, dove benché non vi fosse stata azione militare, l’esercito
croato decimò i villaggi.
Nonostante si sapesse che le enclaves erano già una causa persa, Sarajevo
insistette nel trarre dividendi politici dal fatto. La ricettività che era
stata creata negli occhi dell’opinione pubblica rendeva più semplice vendere la
tesi del genocidio.
Quel che rivestì ancora una maggiore importanza della tesi del genocidio e
dell’isolamento politico dei serbi fu il ricatto teso all’ONU: o quest’ultimo
avrebbe unito le forze del proprio contingente a quelle del governo di Sarajevo
nell’economia del conflitto (quel che in seguito si verificò) oppure
l’organismo ONU sarebbe stato completamente screditato agli occhi dell’opinione
pubblica, inducendola successivamente ad appoggiare la Bosnia.
Srebrenica fu il colmo che indusse i governi occidentali a cercare e
raggiungere un accordo per la necessità di porre fine alla loro condizione di
neutralità ed intraprendere un’azione militare schierandosi con una delle due
parti in conflitto. Fu la goccia che fece traboccare il vaso, ciò che unì
l’Occidente nel suo desiderio di rompere “la bestialità serba”. Sarajevo era
conscia di mancare della capacità militare necessaria a distruggere i serbi.
Era necessario creare le condizioni attraverso le quali la comunità
internazionale avrebbe agito per essa. Srebrenica assunse un ruolo vitale in
tale processo.
Srebrenica rappresenta un atto all’interno di una serie attuata dai leaders
serbi, che intendevano provocare l’ONU, dimostrando in questo modo la loro
impotenza. Fu un errore strategico che sarebbe costato loro caro. Fra i due
contendenti, colui che traeva tutto il suo guadagno dal dimostrare l’impotenza
delle Nazioni Unite era la leadership di Sarajevo e non quella di Pale. Nel
1995 era chiaro che il mutamento dello status quo richiedesse un intervento
potente in grado di rovesciare il potere militare serbo.
Srebrenica fu uno di tali pretesti, conseguenza della ristrettezza di vedute
dei leaders serbi bosniaci.
Guidate con sapienza, le forze assediate avrebbero potuto difendere l’enclave
con facilità, almeno per molto tempo ancora. Si rivelò conveniente lasciare che
l’enclave cadesse in tal modo.
Poiché l’enclave era condannata a cadere, si preferì lasciare che ciò accadesse
nella maniera più vantaggiosa. Ma ciò sarebbe stato fattibile soltanto se
Sarajevo avesse avuto iniziativa politica e libertà di movimento, eventualità
che non si sarebbe mai verificata attorno al tavolo dei negoziati. La caduta
deliberata dell’enclave potrebbe apparire come un terribile atto di
orchestrazione machiavellica, ma la realtà è che il governo di Sarajevo aveva
molto da guadagnare, come fu dimostrato. Srebrenica non fu un intrigo, un
disegno senza conseguenze. I serbi ottennero una vittoria militare che ebbe
però effetti collaterali altamente negativi sul piano politico, che portarono
al loro definitivo ostracismo.
Potremmo aggiungere una singolare nota conclusiva. Non appena le postazioni
degli osservatori Onu furono attaccate e si rivelarono impossibili da mantenere,
le forze si ritirarono. Le barricate innalzate dall’esercito musulmano non
fecero passare le truppe. Queste ultime non furono trattate come soldati in
fuga dal fronte, ma piuttosto con una sordida differenziazione.
Non soltanto i musulmani si rifiutarono di combattere per difendere loro
stessi, essi obbligarono altri a combattere in loro nome. In un caso, il
comandante di un veicolo olandese decise, dopo alcune conversazioni con l’ABiH,
di oltrepassare la barriera. Un soldato musulmano lanciò una granata da mano i
cui frammenti lo ferirono a morte. L’unico soldato ONU che morì nell’offensiva
di Srebrenica fu ucciso dai musulmani.
Carlos Martins Branco European University Institute
Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali Badia Fiesolana, Italia