Un paese allo stremo: la Bulgaria
di Marcello Graziosi
Oltre ai drammatici costi della ventata neoliberista che ha investito tutta
l’Europa Orientale e Balcanica alla fine degli anni ’80 del secolo scorso, la
Bulgaria ha subito, tanto sul piano economico quanto politico, il profondo
isolamento determinato dai disegni occidentali di destabilizzazione pressoché
totale della ex-Jugoslavia, con particolare riferimento a Serbia e Montenegro.
Tanto che oggi la Bulgaria parrebbe un paese alla deriva, in balia di se
stesso.
Sul piano generale, la transizione verso il libero mercato su basi
capitalistiche ha avuto in Bulgaria uno sviluppo diverso rispetto agli altri
paesi dell’Europa Orientale, con una dinamica non dissimile per certi versi
dalla vicina Romania. Il Partito Socialista Bulgaro (ex Partito Operaio
Bulgaro), nonostante la presenza di circoli riformisti, nella fase di profonda
trasformazione seguita alla caduta di Jivkov (1989-1990) non ha perduto il
proprio carattere di classe né l’opzione strategica legata alla costruzione di
una società socialista. Pur nel contesto di una discussione complessa ed
articolata, le posizioni filoatlantiche e subalterne alle riforme imposte dal
FMI hanno subito una secca sconfitta al 40° Congresso del dicembre 1991 grazie ad
un’alleanza tra socialisti di sinistra e neo-comunisti (Piattaforma Marxista,
guidata da Mincho Minchev). Nonostante questo, dal Partito Socialista si sono
staccati nel 1990 alcuni gruppuscoli che hanno fondato almeno due partiti
comunisti, privi però di alcun seguito di massa.
Alle elezioni del giugno 1990 si sono imposti i socialisti, con l’opposizione
liberista che, forte del sostegno di studenti e sindacati indipendenti ed
approfittando del disastro provocato dalle prime riforme imposte dal FMI, ha
giocato la carta della destabilizzazione politica, rifiutando qualsiasi
collaborazione col governo Lukanov e costringendo alle dimissioni il presidente
della repubblica Mladenov, prontamente sostituito da Zhelev, massimo esponente
dell’Unione delle Forze Democratiche (SDS). Le riforme liberiste hanno così
subito una brusca accelerazione, soprattutto, in seguito alle elezioni
anticipate del 13 ottobre 1991, vinte di misura dalla SDS, e dal successivo
governo Dimitrov, sostenuto anche dal Movimento per i Diritti e la Libertà
(DPS, minoranza turca). E’ stato sufficiente un solo anno per ridurre allo
stremo il paese, letteralmente saccheggiato dalle multinazionali e dal capitale
occidentale. Tanto che nel dicembre 1992 si è reso necessario un governo di
emergenza nazionale, sostenuto da socialisti, DPS e parte della SDS, col
consenso di Zhelev, nel frattempo (gennaio 1992) eletto presidente al
ballottaggio contro Valkanov, candidato di un blocco nazionale bulgaro
sostenuto anche dai socialisti. Con l’ala radicale della SDS che, sostenuta da
Stati Uniti e FMI, ha tentato di continuo la carta della destabilizzazione e
del ricatto.
Nonostante questo, in seguito al trionfo del blocco nazionale alle elezioni del
1994, la guida del governo veniva affidata al socialista Videnov: continuazione
delle riforme ma attenzione ai costi sociali, rallentamento del processo di
integrazione nel contesto euroatlantico ed avvicinamento alla Russia. Lo
scontro con le opposizioni si è fatto campale, con Zhelev e la Corte
Costituzionale in grado di bloccare diversi provvedimenti e ridurre il governo
all’impotenza, a tutto vantaggio della SDS. Alle elezioni presidenziali del
novembre 1996 si è imposto il candidato della destra liberista, Stoyanov con il
56% dei consensi, aprendo una prima crisi all’interno dei socialisti: congresso
straordinario del partito a fine anno e dimissioni di Videnov da presidente del
BSP e da primo ministro.
Il tanto atteso momento per la destabilizzazione era finalmente giunto: nella
notte tra il 10 e l’11 gennaio 1997 una delle numerose manifestazioni
dell’opposizione a sostegno delle elezioni anticipate terminava con
l’assalto di alcune decine di
facinorosi alla sede del Parlamento, con l’assenso di Zhelev, Stoyanov e dei
paesi occidentali. Uno schema che si sarebbe ripetuto, pur se con diversi
obiettivi, nell’ottobre del 2000 a Belgrado. Dopo un breve governo di
transizione, nell’aprile 1997 si sono tenute le elezioni anticipate, con la
scontata vittoria della SDS e con l’emergere di profonde divisioni all’interno
del partito socialista, con l’ala riformista di Parvanov intenta ad isolare
Videnov e Minchev, e con Lilov impegnato in una difficile mediazione.
Il governo guidato da Kostov si è distinto da subito per la totale subalternità
a Stati Uniti e FMI, mescolando il più rigido liberismo con disegni autoritari.
Fino ad un nuovo tracollo del paese, del quale ha approfittato l’ex Zar Simeone
II per aggiudicarsi a sorpresa le elezioni politiche del giugno 2001, sulla
base di un programma tanto demagogico quanto generico, puntualmente
trasformatosi in subalternità ai poteri forti una volta al governo. Il
Movimento Nazionale Simeone II ha ottenuto il 42,74% (a tanto arriva la
frustrazione!), con la SDS in rotta (18%) e la Coalizione per la Bulgaria, una
sorta di cartello delle forze di centro sinistra comprendente tra gli altri
socialisti, comunisti di Paunov, antifascisti di Valkanov, agrari di sinistra e
forze di orientamenti riformista, al 17%. E con il DPS di nuovo ago della
bilancia.
Date le pessime prove di Simeone, che vede assottigliarsi sempre più la propria
maggioranza causa il proprio dilettantismo e con il DPS di Dogan sempre più
determinante per gli equilibri di governo, alle presidenziali del novembre 2001
si è determinata una nuova sorpresa: vittoria del presidente dei socialisti
Parvanov contro il presidente uscente della destra Stoyanov, sostenuto anche da
Simeone. Con Dogan protagonista nel sostenere Parvanov. Pur se fortemente
critico rispetto all’aggressione della Nato contro la Repubblica Federale
Jugoslava del 1999 e l’aggressione unilaterale contro l’Iraq della primavera
2003, Parvanov, riprendendo il nuovo programma dei socialisti (approvato non
senza un acceso dibattito interno), ha precisato la propria intenzione di
procedere nel percorso di integrazione euroatlantica, pur se sulla base di una
maggiore autonomia e guardando anche ad Oriente, non solamente verso Russia ed
Ucraina, ma anche India e Cina.
Determinante, per il prossimo futuro, sarà anche la discussione interna al
Partito Socialista, dove la Piattaforma Marxista pare in grado di condizionare,
almeno in parte, le decisioni interne al partito, dove però l’ala più
riformista, vicina alle socialdemocrazie occidentali, pare essersi imposta.
Sul piano politico, quanto potrà resistere un paese depredato e ridotto allo
stremo, con il partito della minoranza turca da anni ago della bilancia della
vita politica?