www.resistenze.org - popoli resistenti - bulgaria - 18-11-03

Un paese allo stremo: la Bulgaria


di Marcello Graziosi

Oltre ai drammatici costi della ventata neoliberista che ha investito tutta l’Europa Orientale e Balcanica alla fine degli anni ’80 del secolo scorso, la Bulgaria ha subito, tanto sul piano economico quanto politico, il profondo isolamento determinato dai disegni occidentali di destabilizzazione pressoché totale della ex-Jugoslavia, con particolare riferimento a Serbia e Montenegro. Tanto che oggi la Bulgaria parrebbe un paese alla deriva, in balia di se stesso.

Sul piano generale, la transizione verso il libero mercato su basi capitalistiche ha avuto in Bulgaria uno sviluppo diverso rispetto agli altri paesi dell’Europa Orientale, con una dinamica non dissimile per certi versi dalla vicina Romania. Il Partito Socialista Bulgaro (ex Partito Operaio Bulgaro), nonostante la presenza di circoli riformisti, nella fase di profonda trasformazione seguita alla caduta di Jivkov (1989-1990) non ha perduto il proprio carattere di classe né l’opzione strategica legata alla costruzione di una società socialista. Pur nel contesto di una discussione complessa ed articolata, le posizioni filoatlantiche e subalterne alle riforme imposte dal FMI hanno subito una secca sconfitta al 40° Congresso del dicembre 1991 grazie ad un’alleanza tra socialisti di sinistra e neo-comunisti (Piattaforma Marxista, guidata da Mincho Minchev). Nonostante questo, dal Partito Socialista si sono staccati nel 1990 alcuni gruppuscoli che hanno fondato almeno due partiti comunisti, privi però di alcun seguito di massa.

Alle elezioni del giugno 1990 si sono imposti i socialisti, con l’opposizione liberista che, forte del sostegno di studenti e sindacati indipendenti ed approfittando del disastro provocato dalle prime riforme imposte dal FMI, ha giocato la carta della destabilizzazione politica, rifiutando qualsiasi collaborazione col governo Lukanov e costringendo alle dimissioni il presidente della repubblica Mladenov, prontamente sostituito da Zhelev, massimo esponente dell’Unione delle Forze Democratiche (SDS). Le riforme liberiste hanno così subito una brusca accelerazione, soprattutto, in seguito alle elezioni anticipate del 13 ottobre 1991, vinte di misura dalla SDS, e dal successivo governo Dimitrov, sostenuto anche dal Movimento per i Diritti e la Libertà (DPS, minoranza turca). E’ stato sufficiente un solo anno per ridurre allo stremo il paese, letteralmente saccheggiato dalle multinazionali e dal capitale occidentale. Tanto che nel dicembre 1992 si è reso necessario un governo di emergenza nazionale, sostenuto da socialisti, DPS e parte della SDS, col consenso di Zhelev, nel frattempo (gennaio 1992) eletto presidente al ballottaggio contro Valkanov, candidato di un blocco nazionale bulgaro sostenuto anche dai socialisti. Con l’ala radicale della SDS che, sostenuta da Stati Uniti e FMI, ha tentato di continuo la carta della destabilizzazione e del ricatto.

Nonostante questo, in seguito al trionfo del blocco nazionale alle elezioni del 1994, la guida del governo veniva affidata al socialista Videnov: continuazione delle riforme ma attenzione ai costi sociali, rallentamento del processo di integrazione nel contesto euroatlantico ed avvicinamento alla Russia. Lo scontro con le opposizioni si è fatto campale, con Zhelev e la Corte Costituzionale in grado di bloccare diversi provvedimenti e ridurre il governo all’impotenza, a tutto vantaggio della SDS. Alle elezioni presidenziali del novembre 1996 si è imposto il candidato della destra liberista, Stoyanov con il 56% dei consensi, aprendo una prima crisi all’interno dei socialisti: congresso straordinario del partito a fine anno e dimissioni di Videnov da presidente del BSP e da primo ministro.

Il tanto atteso momento per la destabilizzazione era finalmente giunto: nella notte tra il 10 e l’11 gennaio 1997 una delle numerose manifestazioni dell’opposizione a sostegno delle elezioni anticipate terminava con l’assalto  di alcune decine di facinorosi alla sede del Parlamento, con l’assenso di Zhelev, Stoyanov e dei paesi occidentali. Uno schema che si sarebbe ripetuto, pur se con diversi obiettivi, nell’ottobre del 2000 a Belgrado. Dopo un breve governo di transizione, nell’aprile 1997 si sono tenute le elezioni anticipate, con la scontata vittoria della SDS e con l’emergere di profonde divisioni all’interno del partito socialista, con l’ala riformista di Parvanov intenta ad isolare Videnov e Minchev, e con Lilov impegnato in una difficile mediazione.

Il governo guidato da Kostov si è distinto da subito per la totale subalternità a Stati Uniti e FMI, mescolando il più rigido liberismo con disegni autoritari. Fino ad un nuovo tracollo del paese, del quale ha approfittato l’ex Zar Simeone II per aggiudicarsi a sorpresa le elezioni politiche del giugno 2001, sulla base di un programma tanto demagogico quanto generico, puntualmente trasformatosi in subalternità ai poteri forti una volta al governo. Il Movimento Nazionale Simeone II ha ottenuto il 42,74% (a tanto arriva la frustrazione!), con la SDS in rotta (18%) e la Coalizione per la Bulgaria, una sorta di cartello delle forze di centro sinistra comprendente tra gli altri socialisti, comunisti di Paunov, antifascisti di Valkanov, agrari di sinistra e forze di orientamenti riformista, al 17%. E con il DPS di nuovo ago della bilancia.

Date le pessime prove di Simeone, che vede assottigliarsi sempre più la propria maggioranza causa il proprio dilettantismo e con il DPS di Dogan sempre più determinante per gli equilibri di governo, alle presidenziali del novembre 2001 si è determinata una nuova sorpresa: vittoria del presidente dei socialisti Parvanov contro il presidente uscente della destra Stoyanov, sostenuto anche da Simeone. Con Dogan protagonista nel sostenere Parvanov. Pur se fortemente critico rispetto all’aggressione della Nato contro la Repubblica Federale Jugoslava del 1999 e l’aggressione unilaterale contro l’Iraq della primavera 2003, Parvanov, riprendendo il nuovo programma dei socialisti (approvato non senza un acceso dibattito interno), ha precisato la propria intenzione di procedere nel percorso di integrazione euroatlantica, pur se sulla base di una maggiore autonomia e guardando anche ad Oriente, non solamente verso Russia ed Ucraina, ma anche India e Cina.

Determinante, per il prossimo futuro, sarà anche la discussione interna al Partito Socialista, dove la Piattaforma Marxista pare in grado di condizionare, almeno in parte, le decisioni interne al partito, dove però l’ala più riformista, vicina alle socialdemocrazie occidentali, pare essersi imposta.

Sul piano politico, quanto potrà resistere un paese depredato e ridotto allo stremo, con il partito della minoranza turca da anni ago della bilancia della vita politica?