da l'Unità del
14/01/2002
di Gianfranco Bologna La Cina cresce, ma i gas serra calano. Nel giro di cinque
anni il paese più popolato del mondo è riuscito a ridurre del 7,3% le emissioni
di anidride carbonica, principali responsabili di quel fenomeno chiamato
«effetto serra». Un autentico record, ma soprattutto un autentico schiaffo a
quei paesi - gli Stati Uniti - che utilizzavano l'inefficienza ecologica dei nuovi paesi industriali
per giustificare il proprio no al protocollo di Kyoto. I risultati, pubblicati
sulla prestigiosa rivista «Science» tolgono ogni alibi all'occidente e,
soprattutto, all'amministrazione Bush. Ma non possono allentare l'attenzione
che tutti i paesi devono porre alle condizioni di salute del pianeta.
Il 10 gennaio scorso gli amici ricercatori del Worldwatch Institute di
Washington hanno presentato ufficialmente l'ultimo «State of the World 2002»
(della cui edizione italiana che sarà pronta alla fine di marzo, edita dalle
meritorie Edizioni Ambiente di Milano, sono il. curatore da 15 anni). Dieci
anni dopo il grande Earth Summit dell'Onu di Rio de Janeiro, gli ecosistemi del
nostro pianeta si trovano in condizioni peggiori e la stragrande maggioranza
degli esseri umani vive in una situazione di povertà insostenibile.
La popolazione umana continua a crescere (eravamo 1,6 miliardi di persone
all'inizio del Novecento, abbiamo chiuso il secolo scorso con più di 6 miliardi
e, secondo le più aggiornate previsioni Onu, saremo 7 miliardi nel 2012, 8
miliardi nel 2026 e ben 9 miliardi nel 2043), i consumi sia dei paesi ricchi
che di quelli di nuova industrializzazione crescono la richiesta di energia
pure (e continua a basarsi drammaticamente sulle fonti fossili non rinnovabili
che, inoltre, provocano situazioni di instabilità sociale e politica sempre più
gravi), gli scarti ed i rifiuti del nostro sottosistema economico e produttivo
continuano a crescere, mentre, a dispetto, della prosperità economica degli
anni Novanta, il divario tra ricchi e poveri del mondo sta sempre più
crescendo, minando la stabilità sociale ed economica in moltissime aree del
mondo ed, in genere, nel pianeta intero.
A fine agosto i potenti della Terra si troveranno nuovamente al «capezzale» del
pianeta nel grande Summit mondiale dell'ONU sullo sviluppo sostenibile a
Johannesburg. Sarà quindi un momento fondamentale di bilanci e di rilancio
dell'impegno e della reale concretizzazione delle politiche di sostenibilità,
sino ad oggi troppo declamate e pochissimo praticate. La comunità scientifica
internazionale ha lanciato ormai una inquietante serie di allarmi argomentati e
serissimi (non ultimo quello della Open Science Conference on Global Change di
Amsterdam del luglio scorso dove i grandi programmi internazionali di ricerca
sui cambiamenti globali hanno rilanciato l'appello sulla responsabilità
dell'intervento umano come causa di profonde modificazioni nelle dinamiche dei
sistemi naturali) ma la risposta politica ed economica continua ad essere
drammaticamente carente e colpevole. Alla luce di tutto questo, assume ancora più importanza
quel che la Cina è riuscita a compiere nel giro di cinque anni. Tale «record» - effettuato dal 1996 al 2000 e documentato da vari team di ricercatori
cinesi e statunitensi sulle pagine della prestigiosa rivista «Science» - la dice lunga sull'assurdità delle posizioni dell'amministrazione Bush
che ancora si rifiuta di ratificare il Protocollo di Kyoto per la riduzione
delle emissioni di gas serra, con una previsione di percentuale di riduzione
francamente ridicola rispetto a quello che sarebbe necessario e che la comunità
scientifica richiede ormai da tempo.
Tra i motivi del suo rifiuto, l'amministrazione americana aveva infatti addotto
anche l'argomentazione che i paesi di nuova industrializzazione, come la Cina,
avrebbero dovuto, da subito, far
parte di quelli che il Protocollo comprendeva per gli impegni diriduzione,
previsti giustamente e logicamente per i paesi più ricchi e più
inquinatori,come, per l'appunto gli stessi Usa.
Il tempo passa, l'umanità continua a crescere, ad inquinare, a consumare risorse, a dividersi
sempre di più tra pochi ricchi-ricchi e tanti poveri-poveri. Non si vede all'orizzonte nessun governo che abbia
veramente il coraggio di prendere la leadership per un autentico cambio di rotta che la realtà che ci
circonda obbligherebbe come immediato e responsabile. In questo quadro generale
il Summit di Johannesburg ha una sola probabilità di riuscire: concordare
fina1mente l'avvio concreto di una vera e propria economia ecologica dove i sistemi
naturali entrino nei
conti economici e dove gli
indicatori che fanno la politica in tutti i paesi del mondo, come il Prodotto interno lordo, vengano
riformulati con nuovi indicatori di vero benessere, ambientale, sociale ed
economico.
Portavoce WWF Italia