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Aginform - http://www.pasti.org/amata13.htm
Stabilità e squilibri in Cina
Nello scorso mese di Marzo si è svolta a Pechino un’importante sessione
dell’Assemblea Popolare Cinese per approvare, oltre al rapporto annuale del
primo ministro, anche altre modifiche alla Costituzione, dopo quelle apportate
negli ultimi venti anni. Tra queste modifiche, l’inserimento delle "tre
rappresentanze" (in aggiunta al marxismo-leninismo, al pensiero di Mao,
alla teoria di Deng), come fondamento teorico e guida del "socialismo
secondo le caratteristiche della Cina", il riconoscimento e la protezione
della proprietà privata formatasi lecitamente, cioè nel rispetto delle leggi
dello Stato, e come tale espropriabile, pena un indennizzo, quando si riconosce
un motivo di pubblica utilità; ed ancora la protezione ed il rispetto dei
diritti umani.
I media italiani ed internazionali, che di solito parlano poco delle vicende
cinesi, hanno trovato sugli ultimi due argomenti pane per i loro denti per
manifestare in termini sensazionali, come sempre, le loro striminzite
affermazioni, anziché presentare pacatamente i fatti e ricercare i dovuti
approfondimenti.
Siccome il loro scopo non è quello di far conoscere i fatti, ma di
strumentalizzarli, per dimostrare l’omologazione della Cina al capitalismo,
proverò in questa breve nota a ragionare serenamente per invitare i compagni
alla riflessione ed alla discussione, senza posizioni precostituite se la Cina
è il baluardo del socialismo o viceversa se è sprofondata nel capitalismo e senza
essere ripetitivo rispetto a quanto già scritto su Aginform.
Tuttavia non analizzo soltanto le modifiche alla Costituzione, bensì il
rapporto del primo ministro ed altri scritti sulle riviste cinesi che ritengo
utili per il dibattito in corso sul "socialismo secondo le caratteristiche
della Cina".
La brevità dell’articolo mi costringe ad essere schematico, ma cercherò di
essere convincente, elencando gli argomenti per punti:
1) Con la riforma economica e con il riconoscimento dell’attività privata si è
formata in Cina una piccola e media borghesia (per usare i parametri di
riferimento del nostro paese) che opera intorno al 20% del Pil. Questa
borghesia, che al momento (domani non lo sappiamo!) opera in gran parte nel
rispetto delle leggi dello Stato a "dittatura democratico-popolare" e
non è subordinata all’imperialismo, tranne una minoranza che si dedica ad
attività illecite, con la quantità di denaro a sua disposizione ha acquistato
beni immobili come l’abitazione, i negozi, le piccole fabbriche, partecipa nel
capitale azionario misto (a volte insieme a capitale pubblico o cooperativo),
possiede automobili di media e grossa cilindrata ed altri beni mobili.
Pertanto, la modifica alla Costituzione riconosce una situazione di fatto già
esistente da più di un ventennio e regola questa attività secondo la legge.
Nel dibattito che ha preceduto l’approvazione delle norme sulla Costituzione ho
potuto leggere sulla stampa cinese posizioni diverse ed anche opposte; tra chi,
ad esempio, era per favorire al massimo l’iniziativa privata ed il pieno
possesso dei beni procurati da questa attività e chi, invece, sosteneva che
senza precise restrizioni alla proprietà privata, sia in termini di estensione
che in senso temporale (soprattutto ante), non solo si potrebbe stravolgere il
futuro della Cina, ma addirittura i proprietari terrieri, espropriati in
seguito alla riforma agraria dei primi anni ’50, potrebbero reclamare se non la
restituzione delle terre, almeno l’indennizzo. La norma approvata
dall’Assemblea Popolare Cinese riconosce la proprietà formatasi legalmente
nelle nuove condizioni della Cina e la sottopone, come detto, ad esproprio
tramite indennizzo, come sancito nella Costituzione italiana e soprattutto
tedesca (su questo e su altri argomenti i cinesi hanno studiato il diritto
comparato, ascoltando giuristi di diversi paesi!); diversamente, quella
formatasi illecitamente è sottoposta ad esproprio forzato.
Quando si parla di proprietà privata in Cina e di sua protezione bisogna
attenzionarla ai problemi della Cina e non fare trasposizioni ideologiche
meccaniche; infatti, in Cina, la proprietà privata deve difendere non solo le
condizioni sociali della nuova classe, ma anche le aree agricole che circondano
le città, occupate negli ultimi venti anni dalla crescente e caotica espansione
urbana con il risultato che milioni di contadini sono stati di fatto
espropriati del loro lavoro e passati ad altre attività.
2) Le "tre rappresentanze" (sviluppo delle forze produttive, della
ricerca scientifica, e creazione di una cultura d’avanguardia che tenga conto
del retaggio storico della Cina) erano state già inserite nello statuto del
Partito comunista cinese, l’anno scorso in occasione del 16 Congresso, dopo
essere state enunciate da Jang Zemin in occasione dell’80° anniversario della
fondazione del PCC, come direttiva strategica del Partito. Personalmente,
ritengo, come ho scritto in altre occasioni, che debbano essere studiate anche
fuori della Cina, soprattutto nei paesi altamente capitalistici, con
adattamenti che tengano conto delle diverse civilizzazioni, perché ci spronano
ad approfondire la teoria marxista-leninista ed il ruolo ed il significato del
proletariato. Altrimenti rischiamo di vedere dogmaticamente il proletariato
soltanto nell’operaio massa e non comprendiamo la natura proletaria delle
figure produttive che sono emerse negli ultimi centocinquant’anni e l’essenza
del pensiero di Mao basato sul contare sulle proprie forze o lo spirito della
idea juche di Kim Il Sung.
3) Il rapporto del primo ministro presenta un soffio di "antico" (pur
sostenendo la continuazione delle riforme) in quanto mette l’accento: a) sul
rafforzamento del controllo macroeconomico dello Stato e sul perseguimento di
uno sviluppo stabile; b) sul rafforzamento dell’agricoltura, considerata il
settore base, e sull’aumento dei redditi dei contadini per attenuare il divario
crescente con i redditi urbani; c) sulla diminuzione del divario tra città e
campagna e tra regioni sviluppate e meno sviluppate, favorendo gli investimenti
nelle zone rurali e nel centro-nord-ovest della Cina; d) sulla riduzione della
disoccupazione e sulla garanzia del diritto alla salute ed alla sicurezza
sociale, sul rafforzamento della democrazia, sulla legalità, la sicurezza
statale e la stabilità sociale per evitare eventuali conflitti che sorgerebbero
dalle crescenti disparità.
4) Sul divario tra città e campagna e tra aree avanzate dell’est ed aree
arretrate del centro e del nord-ovest, nonché sul rilancio delle vecchie aree
industriali del nord-est il dibattito nel paese è molto vivo e non si
nascondono le preoccupazioni per una crisi sociale che ne potrebbe scaturire.
Su un miliardo e trecento milioni di abitanti, novecento milioni vivono nelle
aree rurali e sono legate all’attività agricola; nel 2003 il reddito medio
annuo dei contadini è stato di 317 dollari, mentre quello dei residenti urbani
di 1027 dollari.
5) Un problema delicato è diventato quello dell’eccessivo sviluppo urbano, sia
per l’occupazione delle terre fertili attigue alle città, come già detto, sia
per l’eccessivo consumo di ferro e di acciaio impiegati nella costruzione dei
grattacieli. Il ricorso al grattacielo anziché alle costruzioni di tipo
estensivo è stato favorito proprio per impiegare meno terra. Ed infine, altro
problema è quello della produzione petrolifera che non basta a soddisfare la
domanda delle industrie, delle abitazioni e degli automobilisti che stanno
diventando numerosi.
Tutto quanto descritto evidenzia che la Cina è diventato un paese complesso,
impegnato in una lunga fase di transizione economica e l’unico alla distanza
che si può contrapporre agli Usa (dopo il flop dell’Europa in seguito alla
guerra americana in Iraq!) e che sollecita nuovi problemi che non si possono
etichettare e prima di ogni cosa devono essere compresi. Sarà la storia futura
a dire quale formazione sociale si affermerà in Cina, se il socialismo o se il
capitalismo, o se addirittura si formerà una nuova formazione sociale, come
creazione del prodotto storico, né capitalista né socialista, almeno secondo
gli schemi che fanno parte del nostro modo abituale di pensare
Giuseppe Amata
Da Aginform