www.resistenze.org - popoli resistenti - cina - 25-03-05

da www.solidnet.org

http://www.pcdob.org.br , mailto:internacional@pcdob.org.br
L’articolo è apparso nel sito “Vermelho” (www.vermelho.org.br) il 17 marzo 2005

Una sola Cina, indivisibile


di José Reinaldo Carvalho
vicepresidente del Partito Comunista del Brasile (PcdoB)

22 marzo 2005

L’Assemblea Nazionale Popolare della Cina, il parlamento cinese, riunito nella terza sessione plenaria del 14 marzo, ha approvato all’unanimità la Legge anti-secessione. Il documento, con 10 precisi articoli, sintetizza la posizione, il principio e l’aspirazione storica del popolo cinese, del suo governo e del Partito Comunista Cinese.

Per la dimensione del ruolo attuale della Cina nel mondo, l’avvenimento ha avuto ampia ripercussione e ha provocato la reazione contraria degli Stati Uniti. La segretaria di Stato Condoleeza Rice ha criticato la legge e ha affermato che “contribuirà ad aumentare la tensione in Asia”. A Taiwan, una delle massime autorità locali, Chen Shui-bian, difensore delle tesi separatiste, ha promesso di organizzare manifestazioni di massa contro la legge. In Brasile, con la mancanza di decoro che caratterizza i mezzi di comunicazione quando si tratta di difendere posizioni ideologiche, la legge è stata definita “famigerata” da alcuni organi di informazione.

Il tema richiede sobrietà e obiettività. Non è estraneo agli interessi del Brasile, dal momento che il nostro paese ha stabilito una partnership strategica con la grande nazione asiatica. Una Cina forte e pacifica corrisponde agli interessi nazionali e coincide con gli obiettivi centrali della politica estera brasiliana, tesi a contribuire alla costruzione di un mondo multipolare. Le forze progressiste e, in particolare, i comunisti hanno accolto la notizia dell’approvazione della Legge con soddisfazione, considerando l’atto sovrano dell’Assemblea Nazionale cinese un passo in avanti nella difesa dell’integrità territoriale della Cina e nel rafforzamento del suo potere nazionale, importante per la lotta per il socialismo nel mondo.

Cosa dice la Legge anti-secessione? “Questa legge è stata elaborata in accordo con la Costituzione - si afferma nell’articolo 1 - per frenare e lottare contro la secessione di Taiwan dalla Cina da parte dei secessionisti in nome dell’ “indipendenza di Taiwan”, promuovere la riunificazione nazionale pacifica, mantenere la pace e la stabilità nello stretto di Taiwan, salvaguardare la sovranità nazionale e l’integrità territoriale della Cina, e difendere gli interessi fondamentali della nazione cinese”.

Questo enunciato suscita un’altra domanda: come è sorta la questione di Taiwan e da dove provengono le minacce separatiste? L’isola di Taiwan, battezzata Formosa dai portoghesi, è parte inalienabile della Cina. Alla fine della seconda guerra mondiale, con la resa del Giappone, la Cina recuperò Taiwan e le isole Penghu, ritornando ad esercitare la sovranità su Taiwan, interrotta nel 1895 quando, dopo una guerra di occupazione in Cina, il Giappone aveva imposto al governo monarchico cinese della dinastia Qing la firma del Trattato di Shimonoseki, impadronendosi di Taiwan con la forza.

Una pubblicazione del febbraio 2000 edita dall’Ufficio per gli affari di Taiwan e dall’Ufficio di Informazione del Consiglio di Stato della Repubblica Popolare di Cina forniva un’interessante cronologia sull’evoluzione della questione e gli elementi giurisprudenziali a sostegno della tesi della sovranità della Cina su Taiwan e del riconoscimento di tale fatto politico e giuridico da parte della comunità internazionale: “Nel luglio del 1937 il Giappone scatenò una guerra di aggressione totale alla Cina. Nel dicembre del 1941 il governo cinese annunciò ai diversi paesi del mondo, nella Dichiarazione di guerra contro il Giappone, che la Cina aveva annullato tutti i trattati, gli accordi e i contratti concernenti le relazioni cino-giapponesi, incluso il Trattato di Shimonoseki, e che aveva recuperato Taiwan.

Nella Dichiarazione del Cairo, sottoscritta dai governi di Cina, Stati Uniti e Inghilterra nel dicembre 1943, si stabiliva che il Giappone avrebbe dovuto restituire il Nord-Est della Cina, Taiwan, le isole Penghu e altri territori cinesi usurpati. Nella Dichiarazione di Potsdam, sottoscritta nel 1945 dalla Cina, dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra (in seguito anche dall’Unione Sovietica), si ribadiva: “i termini della Dichiarazione del Cairo verranno rispettati”. Nell’agosto dello stesso anno, il Giappone dichiarava la resa e negli Articoli per la resa il Giappone si impegnava ad “adempiere fedelmente agli obblighi previsti nella Dichiarazione di Potsdam”. Il 25 ottobre, il governo cinese recuperava Taiwan e le isole Penghu e riprendeva l’esercizio della sovranità su Taiwan.

Il 1 ottobre 1949 - prosegue il documento - fu proclamata la fondazione della Repubblica Popolare di Cina, la quale, sostituendo il governo della Repubblica di Cina, rappresenta l’unico governo legale di tutta la Cina e l’unico rappresentante legittimo della Cina nel mondo. Da questo momento, la Cina ha definito la sua posizione storica. Si tratta della sostituzione da parte di un nuovo potere di quello vecchio all’interno del medesimo immutato soggetto di diritto internazionale, dal momento che la sovranità e le frontiere originarie del territorio della Cina non hanno subito alcun cambiamento. A ragione, il governo della Repubblica Popolare di Cina gode della piena sovranità e la esercita su tutto il territorio, incluso Taiwan.

Il fatto che le forze del Guomindang, sotto la leadership di Chang-Kaishek, si siano ritirate a Taiwan dopo la sconfitta nella guerra civile e che, in seguito, l’abbiano denominata parte inalienabile del territorio cinese della “Repubblica di Cina” e si siano autoproclamate “Governo della Repubblica di Cina”, non altera la nozione fondamentale, secondo cui è il governo della Repubblica Popolare di Cina ad avere diritto alla sovranità su Taiwan. Ecco perché Taiwan è considerata come “provincia ribelle” e i suoi “governanti” come “autorità locali in territorio cinese”.

La Legge anti-secessione parte da questa logica e dal principio che esiste “una sola Cina nel mondo” (Articolo 2) e proclama che “lo Stato non tollererà assolutamente che le forze secessioniste che perseguono “l’indipendenza di Taiwan” dividano Taiwan dalla Cina sotto alcun nome e in alcuna forma (idem). Basandosi su tale principio, l’Assemblea Nazionale Popolare rinnova attraverso la Legge anti-secessione i propositi di riunificazione pacifica del paese, essendo l’adesione al principio di “una sola Cina” la base per le intese”. Un aspetto importante che risalta nel testo approvato è la decisione di rispettare le opzioni di Taiwan. “Dopo la concretizzazione della riunificazione pacifica del paese, Taiwan potrà adottare sistemi differenti da quelli della parte continentale e usufruire di un alto grado di autonomia (Articolo 5)”. La Legge anti-secessione prevede una serie di misure che hanno per obiettivo il mantenimento della pace e della stabilità nella regione dello stretto di Taiwan e la promozione delle relazioni tra entrambe le sponde.

A partire dal 1971, quando l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò la risoluzione 2578, espellendo il rappresentante di Taiwan e ristabilendo il seggio della Repubblica Popolare di Cina all’ONU, si sono osservati sensibili progressi nella comprensione da parte della comunità internazionale, sia in merito alla questione di Taiwan che nell’accettazione del principio che nel mondo esiste una sola Cina. Nel 1972 la Cina e il Giappone ristabilirono le relazioni diplomatiche, con il riconoscimento da parte giapponese del fatto che “Il Governo della Repubblica Popolare di Cina è l’unico governo legale della Cina” e che “Taiwan è parte inalienabile del territorio della Repubblica Popolare di Cina”. Nel 1978, anche gli Stati Uniti riconoscevano che “il Governo della Repubblica Popolare di Cina è l’unico governo legittimo della Cina”. Le autorità nordamericane dichiararono allora che “riconoscevano la posizione della Cina, vale a dire, che esiste una sola Cina e Taiwan è parte della Cina”. Fu su tali basi che la Cina e gli Stati Uniti ristabilirono le relazioni diplomatiche nel dicembre di quell’anno. E’ anche tenendo conto del criterio di riconoscimento del fatto che esiste una sola Cina nel mondo, che la Repubblica Popolare di Cina mantiene relazioni diplomatiche normali e stabili con 165 paesi.

Nonostante questi passi in avanti nella comprensione da parte della comunità internazionale, gli sforzi per promuovere la riunificazione pacifica e i progressi ottenuti negli scambi tra le due sponde dello stretto di Taiwan, negli ultimi tempi si sono osservate alcune battute d’arresto che hanno spinto le autorità cinesi ad adottare la Legge anti-secessione. A Taiwan si è assistito ad una recrudescenza delle minacce secessioniste, con sforzi da parte di autorità locali tesi ad ottenere la separazione, che verrebbe realizzata attraverso una pretesa “riforma costituzionale”, che darebbe veste legale ad uno “Stato sovrano indipendente”. All’estero, sebbene gli Stati Uniti si attengano formalmente ai termini dei tre comunicati congiunti, firmati con il governo cinese, che li impegnano all’applicazione della politica di una sola Cina, in pratica agiscono in senso contrario, rendendo così difficili le condizioni per la riunificazione pacifica.

E’ in tale scenario che la Legge anti-secessione approvata dall’Assemblea Nazionale Popolare consente allo Stato cinese l’utilizzo di “mezzi non pacifici e altre misure necessarie per proteggere la sovranità e l’integrità territoriale della Cina”, qualora le forze secessioniste provochino “la secessione di Taiwan dalla Cina e avvengano importanti incidenti che implichino la secessione di Taiwan dalla Cina o che rendano impossibile una riunificazione pacifica”.

I critici della Legge anti-secessione e in particolare la leadership dell’imperialismo nordamericano, che si è espressa per bocca di Condoleeza Rice, sta ostacolando gli sforzi della Cina per una riunificazione pacifica e non intende tenere in considerazione il contesto e le condizioni in cui è stata presa la decisione di utilizzare mezzi non pacifici. Ciò è’ comprensibile, dal momento che i circoli dominanti statunitensi sono visibilmente inquieti di fronte ai progressi della Cina e al suo emergere nella scena internazionale. Ed è pure comprensibile che una nazione e un popolo decidano di adottare misure estreme quando si tratta di difendere la propria sovranità e l’integrità del proprio territorio.

Traduzione di Mauro Gemma