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A patti con la
Cina
di Chalmers Johnson
Dopo il suo ingresso nell’Organizzazione Mondiale del Commercio,
l’influenza della Cina nel commercio mondiale è divenuta cruciale. Cina, Giappone
e Stati Uniti sono le tre economie più produttive al mondo, ma la Cina è quella
che cresce più rapidamente (con un tasso medio di 9,5% all’anno negli ultimi
vent’anni). Sia gli Stati Uniti che il Giappone sono sommersi da ingenti e
crescenti debiti e, nel caso del Giappone, da tassi di crescita stagnanti. La
Cina è attualmente la sesta economia del mondo per dimensioni (Stati Uniti e
Giappone sono al primo e al secondo posto) e il nostro terzo interlocutore
commerciale dopo Canada e Messico.
Secondo le statistiche della CIA nel suo Factbook 2003 la Cina è realmente la
seconda economia al mondo per dimensioni in base alla parità di potere
d’acquisto – cioè, rispetto a ciò che la Cina produce realmente piuttosto che
rispetto ai prezzi e ai tassi di cambio. La CIA calcola che il prodotto interno
lordo degli Stati Uniti – il valore di tutti i beni e i servizi prodotti in un
paese – per il 2003 si è attestato attorno ai 10,4 trilioni di dollari e quello
della Cina a 5,7 trilioni. Questo significa che gli 1,3 miliardi di abitanti
della Cina hanno un prodotto interno lordo pro capite di 4.385 dollari.
Tra il 1992 e il 2003, il Giappone è stato il maggior partner commerciale della
Cina, ma nel 2004 è passato al terzo posto, dietro all’Unione Europea e agli Stati
Uniti. Il volume commerciale della Cina per il 2004 è stato di 1,2 trilioni di
dollari, il terzo al mondo dopo quello di Stati Uniti e Germania, e sopra
quello del Giappone di 1,07 trilioni di dollari. Il commercio della Cina con
gli Stati Uniti è aumentato del 34% nel 2004 e ha trasformato Los Angeles, Long
Beach e Oakland nei tre porti marittimi più attivi d’America. L’evento
commerciale veramente significativo del 2004 è stato la nascita dell’Unione
Europea come principale partner economico della Cina, il che suggerisce la
possibilità che si crei un blocco di cooperazione cino-europeo che si
confronterebbe con un blocco giapponese-americano meno attivo.
Come ha scritto il Financial Times: “Tre anni dopo il suo ingresso
nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (nel 2001), l’influenza della Cina
nel commercio mondiale non è solo importante. È cruciale”. Per esempio, la
maggioranza dei computer Dell venduti negli Stati Uniti vengono fabbricati in
Cina, così come i lettori DVD della società giapponese Funai Electric. La Funai
esporta annualmente circa 10 milioni di lettori DVD e televisori dalla Cina
agli Stati Uniti, dove vengono venduti soprattutto nei negozi Wal-Mart. Il
commercio della Cina con l’Europa ha raggiunto nel 2004 il valore di 177.200 milioni
di dollari, con gli Stati Uniti di 169.600 milioni e con il Giappone di 167.800
milioni.
Il crescente peso economico della Cina nel mondo è ampiamente riconosciuto e
apprezzato, ma quello che gli Stati Uniti e il Giappone temono, a ragione o
senza, sono i tassi di crescita cinesi e i suoi effetti sul futuro equilibrio
globale del potere. Il Consiglio Nazionale di Intelligence della CIA prevede
che il PIL della Cina sarà uguale a quello della Gran Bretagna nel 2005, della
Germania nel 2009, del Giappone nel 2017 e degli Stati Uniti nel 2042.
Tuttavia, Javed Burki, ex vicepresidente del Dipartimento cinese della Banca
Mondiale ed ex ministro della finanze del Pakistan, prevede che nel 2025 la
Cina probabilmente avrà un PIL di 25 trilioni di dollari in termini di parità
di potere d’acquisto e potrebbe trasformarsi nella maggior economia del mondo,
seguita dagli Stati Unti con 20 trilioni di dollari e dall’India con circa 13
trilioni. L’analisi di Burki si basa sul pronostico “di conservazione” di un tasso
di crescita cinese del 6% durante tutti i prossimi vent’anni. Prevede, inoltre,
l’inevitabile decadenza del Giappone poiché la sua popolazione comincerà a
ridursi drasticamente sin dal 2010. Il Ministro degli Affari Esteri giapponese
sostiene che il numero degli uomini in Giappone è calato del 0,01% nel 2004 e
indica che alcuni demografi hanno previsto, per la fine del secolo, la
riduzione della popolazione di circa un terzo, da 127,7 milioni a 45 milioni,
la stessa popolazione che aveva nel 1910.
All’opposto, la popolazione cinese mostra segnali di stabilità intorno a circa
1,4 miliardi di persone con una preponderanza di popolazione maschile. Ci si
aspetta che la crescita economica interna della Cina continui ad aumentare per
decenni, riflettendo la domanda accumulata dalla sua immensa popolazione,
livelli relativamente bassi di debiti personali e una dinamica economica
sotterranea non rilevata dalle statistiche ufficiali. Ciò che risulta più
importante è che il debito estero della Cina sia relativamente basso e che
venga facilmente coperto dalle sue risorse, mentre sia gli Stati Uniti che il
Giappone sono debitori di circa 7 trilioni di dollari, il che è ancor peggio
per il Giappone che ha meno della metà della popolazione e del potere economico
degli Usa.
Ironicamente, parte del debito giapponese è il risultato di sforzi fatti per
contribuire a rinforzare la posizione imperiale degli Usa. Per esempio, nel
periodo a partire dalla fine della Guerra Fredda, il Giappone ha sovvenzionato
le basi militari americane sul suo territorio con la somma di 70.000 miliardi
di dollari. Non volendo sostenere attraverso le tasse pagate dai suoi stessi
cittadini i suoi dispendiosi costumi consumistici e le sue spese militari, gli
Stati Uniti finanziano queste spese indebitandosi con Giappone, Cina, Taiwan,
Corea del Sud, Hong Kong e India. Questa situazione si è fatta sempre più
insostenibile, tanto che gli Stati Uniti hanno ora bisogno di importare
capitali almeno per 2.000 milioni di dollari al giorno per finanziare le
proprie spese governative. La decisione presa dalle banche centrali dell’Est
Asiatico di cambiare parti consistenti delle proprie riserve in moneta
straniera, dal dollaro all’euro o altre valute, per proteggersi contro il
deprezzamento del dollaro, potrebbe dar luogo alla madre di tutte le crisi
finanziarie.
Il Giappone possiede, a tutt’oggi, le maggiori riserve di valuta straniera del
mondo, che alla fine di gennaio 2005 ammontavano a circa 841 miliardi di
dollari. La Cina, invece, ha una riserva di 609,9 miliardi di dollari (alla
fine del 2004), ottenuti grazie al surplus commerciale derivante dalle
relazioni con gli Usa. Nel frattempo, il governo americano di Bush e i suoi
alleati giapponesi insultano la Cina ogni volta che possono, in particolare rispetto
alla situazione di una provincia separatista: l’isola di Taiwan.
L’amministrazione Bush sta imprudentemente minacciando la Cina, incitando il
Giappone al riarmo e promettendo a Taiwan che, se la Cina userà la forza per
impedire una dichiarazione di indipendenza taiwanese, gli Stati Uniti
dichiareranno guerra per difenderla. È difficile immaginare una politica più
miope e irresponsabile, ma alla luce della guerra di Alice nel Paese delle
Meraviglie, sembra possibile che Stati Uniti e Giappone possano realmente
buttarsi a capofitto in una guerra contro la Cina in favore di Taiwan.
Un nuovo gigante nucleare?
Koizumi ha assegnato i diversi ministeri a politici favorevoli alla linea dura
anti-cinese e pro-taiwanese. Phil Deans, direttore dell’Istituto di Cina
Contemporanea nella Scuola di Studi Orientali e Africani, dell’Università di
Londra, osserva: “C’è stato un notevole aumento del sentimento pro-Taiwan in
Giappone. Non c’è una sola persona filo-cinese nel gabinetto di Koizumi”. I
membri dell’ultimo gabinetto di Koizumi comprendono il Capo dell’Agenzia di
Difesa Yoshinori Ono e il ministro degli esteri Nobutaka Machimura, entrambi
zelanti militaristi. Quest’ultimo, inoltre, è membro della fazione di destra
dell’ex primo ministro Yoshinori Ono, che sostiene una Taiwan indipendente e
che mantiene forti vincoli con leader e imprese taiwanesi.
Taiwan, bisogna ricordarlo, è stata una colonia giapponese dal 1895 al 1945. A
differenza del regime militare giapponese in Corea dal 1910 al 1945, che fu
molto duro, Taiwan subì il governo relativamente benevolo di un’amministrazione
civile giapponese. L’isola, sebbene bombardata dagli Alleati, non fu un campo
di battaglia durante la Seconda Guerra Mondiale, anche se venne occupata dai
nazionalisti cinesi (il Kuomingtang di Chiang Kai-shek) subito dopo la guerra.
Attualmente, come risultato delle vicende passate, molti taiwanesi parlano
giapponese e hanno un’idea positiva del Giappone. Taiwan è virtualmente l’unico
luogo dell’est asiatico dove i giapponesi sono benvoluti e apprezzati.
Bush e Koizumi hanno ordito piani minuziosi finalizzati alla cooperazione
militare tra i due paesi. Il punto cruciale di questi piani è l’abolizione
della Costituzione giapponese del 1947. Se nulla si oppone, il rappresentante
Partito Liberale Democratico (LDP) di Koizumi ha l’intenzione di introdurre una
nuova Costituzione in occasione del cinquantesimo anniversario del partito a
novembre 2005.
Un obiettivo importante per gli americani è ottenere la partecipazione attiva
del Giappone nel suo programma, incredibilmente oneroso, di difesa
missilistica. L’amministrazione Bush persegue, tra le atre cose, il termine del
divieto giapponese di esportare tecnologia militare, visto che vuole che gli
ingegneri giapponesi si adoperino per la risoluzione di alcuni problemi tecnici
del sistema – finora fallimentare – delle “Guerra Stellari”.
Gli Stati Uniti, inoltre, stanno negoziando con il Giappone per la collocazione
del 1° corpo dell’esercito da Fort Lewis, Washington, a Campa Zama, sudovest di
Tokio nella zona densamente popolata di Kanagawa, la cui capitale è Yokohama.
Queste forze statunitensi verrebbero dunque collocate sotto il comando di un
generale a quattro stelle, che sarà allo stesso livello dei comandanti
regionali come il comandante di Centcom, John Abizaid, che la fa da padrone con
prepotenza in Iraq e nell’Asia del sud. Il nuovo comandante si farà carico di
tutte le operazioni di “slancio di forza” dell’esercito nell’Est Asiatico e,
inevitabilmente, coinvolgerà il Giappone in quotidiane operazioni militari
dell’esercito americano.
La collocazione anche solo di un piccolo quartier generale, decisamente
inferiore a quello del 1° corpo composto da 40.000 soldati, in un provincia
sofisticata e centrale come Kanagawa, genererà sicuramente un’intensa
opposizione pubblica come accade per le violazioni, gli scontri, gli incidenti
automobilistici e gli altri incidenti simili a quelli che accadono ogni giorno
a Okinawa.
Nel frattempo, il Giappone vuole far crescere la sua Agenzia di Difesa (Boeicho),
convertirla in un ministero e possibilmente sviluppare le sue armi nucleari.
Spronare il governo giapponese affinché si riaffermi militarmente può portare
il paese a possedere armi nucleari per dissuadere la Cina e la Corea del nord,
mentre lo libera dalla sua dipendenza dall’“ombrello nucleare” americano.
L’analista militare Richard Tanter sostiene che il Giappone abbia
“un’indiscutibile capacità di soddisfare i tre requisiti essenziali per un’arma
nucleare: un artefatto militare nucleare, un sistema di selezione
dell’obiettivo sufficientemente esatto e un sistema adeguato di lancio”.
La combinazione giapponese di reattori a fusione e riproduzione più
istallazioni di riprocessamento di combustibile nucleare assicurano la capacità
di costruire armi termonucleari avanzate; i suoi HII e H-IIIA, con capacità di
rifornimento di combustibile in volo per caccia bombardieri e satelliti di
vigilanza militare assicurano la possibilità di lanciare armi con esattezza
contro obiettivi regionali. Quello di cui attualmente non dispone sono le
piattaforme (e i sottomarini) per giungere ad avere una forza solida per
effettuare rappresaglie, al fine di dissuadere un avversario nucleare a
lanciare un attacco preventivo.
Il nodo taiwanese
Il Giappone può parlare quanto vuole del pericolo rappresentato dalla Corea del
nord, ma l’obiettivo reale del suo riarmo è la Cina. Questo è parso chiaro per
il modo in cui il Giappone si è di recente immischiato nel tema più delicato e
pericoloso delle relazioni internazionali dell’Est Asiatico – la questione
relativa a Taiwan.
Il Giappone invase la Cina nel 1931 e, in seguito, fu il suo torturatore
durante la guerra così come fu il signore coloniale di Taiwan. Anche allora,
tuttavia, Taiwan era considerata parte della Cina, così come gli Stati Unti
hanno da tempo ammesso. Le questioni da risolvere riguardano i termini e
l’opportunità di reintegrazione di Taiwan alla Cina continentale. Questo
processo venne incredibilmente complicato perché nel 1987 i nazionalisti di
Chiang Jai-shek, che si era ritirato a Taiwan nel 1949 al termine della guerra
civile cinese (e furono protetti dall’allora Settima Flotta deli Stati Uniti),
finirono per abolire la legge marziale nell’isola. Da allora, Taiwan si è
sviluppata come una vibrante democrazia e i taiwanesi iniziano ora a dimostrare
le loro opinioni riguardo al futuro.
Nel 2000, il popolo taiwanese mise fine a un prolungato monopolio del potere
dei nazionalisti e decretò la vittoria elettorale del Partito Democratico
Progressista, guidato dal presidente Chen Shui-bian. Nativo di Taiwan (a
differenza della maggior parte degli altri leader, che provenivano dalla parte
continentale e che arrivarono a Taiwan come bagaglio degli eserciti sconfitti
di Chiang), Chen è favorevole, come tutto il suo partito, a una Taiwan
indipendente. Al contrario, i nazionalisti, insieme al poderoso partito scisso
degli originari della parte continentale, il People First Party sotto la
direzione di James Soong (song Chuyo), aspettano di vedere una eventuale unificazione
pacifica di Taiwan con la Cina.
Il 7 marzo 2005, l’amministrazione Bush ha complicato queste delicate relazioni
nominando John Bolton ambasciatore degli Stati Uniti alle Nazioni Unite. Egli è
un dichiarato difensore dell’indipendenza di Taiwan ed è stato consulente a
libro paga del governo taiwanese.
Nel maggio 2004, in una elezione molto combattuta, Chen Shui-bian fu rieletto e
il 20 maggio, il tristemente celebre leader della destra giapponese Shintaro
Ishihara ha assistito alla sua proclamazione avvenuta a Taipei (Ishihara crede
che la presa giapponese della città di Nanking del 1937 è stata una “bugia
inventata dai cinesi).
Sebbene Chen abbia vinto solo con il 50,1% dei voti, questo è stato un
risultato considerevole, con un aumento del 33,9% rispetto al 2000, quando
l’opposizione era divisa. Il ministro degli Esteri di Taiwan nominò
immediatamente Koh Se-kai ambasciatore informale del Giappone. Koh ha vissuto
in Giappone per 33 anni e mantiene costanti legami con alte personalità
politiche e intellettuali. La Cina ha risposto che “annienterà completamente”
tutte le azioni dirette all’indipendenza taiwanese - anche se questo dovesse
ostacolare i giochi Olimpici di Pechino del 2008 e le relazioni con gli Stati
Uniti.
Contrariamente alle macchinazioni dei conservatori statunitensi e degli uomini
della destra giapponese, il popolo taiwanese si è mostrato aperto alla
negoziazione con la Cina riguardo ai termini e all’opportunità di una
reintegrazione. Il 23 agosto 2004, il Yuan Legislativo (il parlamento
taiwanese) ha approvato alcuni cambiamenti alle regole elettorali per impedire
che Chen modificasse la Costituzione in favore dell’indipendenza, come aveva
promesso che avrebbe fatto durante la sua campagna elettorale.
Questa azione parlamentare ha drasticamente diminuito il rischio di conflitto
con la Cina. Probabilmente, l’avvertimento fornito il 22 agosto dal nuovo
ministro di Singapore Lee Hsienloong ha influenzato il Yuan Legislativo. Lee
Hsien-loong ha dichiarato: “se Taiwan scegliesse l’indipendenza, Singapore non
la riconoscerà. In realtà, nessun paese asiatico la riconoscerà. La Cina
lotterà. Vincente o perdente, Taiwan verrà devastata”.
Il secondo evento importante sono state le elezioni parlamentari dell’11
dicembre 2004. Il presidente Chen, durante la sua campagna, ha proposto un
referendum riguardo all’indipendenza e ha sollecitato un mandato per realizzare
le sue riforme. Tuttavia, ha perso in maniera netta. I nazionalisti e il People
First Party hanno ottenuto 114 seggi dei 225 del parlamento, mentre il DPP di
Chen e i suoi alleati solo 101 (gli indipendenti hanno conquistato 10 seggi).
Il leader nazionalista Lien Chan, il cui partito ha ottenuto 79 seggi rispetto
agli 89 del DPP, ha detto: “ oggi abbiamo visto chiaramente come tutta la gente
desideri stabilità per questo paese”.
Il fatto che Chen non abbia ottenuto il controllo del parlamento ha comportato,
inoltre, il fallimento della proposta d’acquisto di armi dagli Stati Uniti per
19.600 milioni di dollari. L’accordo comprendeva la vendita di distruttori con
missili telecomandati, aerei P-3 antisottomarini, sottomarini diesel e sistemi
avanzati Patriot PAC-3.
I nazionalisti e i sostenitori di James Song stimano che il prezzo sia troppo
alto e che, soprattutto, si tratti di una concessione finanziaria
all’amministrazione Bush che si adopera in favore della vendita sin dal 2001.
Inoltre, credono che le armi non miglioreranno affatto la sicurezza di Taiwan.
Il 27 dicembre 2004, la Cina continentale ha reso pubblico il suo quinto Libro
Bianco di Difesa che contiene il riassunto dei traguardi raggiunti dal paese
rispetto alla difesa nazionale. Come segnala un osservatore di vecchia data,
Robert Bedesky: “a prima vista, il Libro Bianco di Difesa, è una dichiarazione
della linea dura che si desidera tenere riguardo alla sovranità territoriale e
sottolinea la determinazione della Cina nel non tollerare nessuna azione di
secessione, indipendenza o separazione… tuttavia, il paragrafo seguente… indica
la disponibilità a ridurre le tensioni nello Stretto di Taiwan: non appena le
autorità di Taiwan accettano il principio che esista una sola Cina mettendo
fine alle loro attività separatiste orientate all’ “indipendenza di Taiwan”, si
possono avviare negoziati riguardo al termine ufficiale dello stato di ostilità
tra le due nazioni”.
Sembra, inoltre, che anche i taiwanesi abbiano interpretato il messaggio nella
stessa maniera. Il 24 febbraio 2005, il presidente Chen Shui-bian ha
incontrato, per la prima volta dall’ottobre 2000, il presidente del People
First Party James Soong per discutere la relazione con il continente. I due
leader, nonostante avessero punti di vista diametralmente opposti, hanno
firmato una dichiarazione congiunta in cui fissano con precisione dieci punti
di accordo. Si sono impegnati a cercare di aprire il trasporto attraverso lo
stretto di Taiwan, ad aumentare il commercio e ad allentare il divieto per i
settori impresariali taiwanesi di investire in Cina. La Cina continentale ha
reagito immediatamente in maniera positiva. Sorprendentemente, questo ha
indotto Chen Shui-bian a dire che “non si esclude un’eventuale riunione di
Taiwan con la Cina, sempre che i 23 milioni di taiwanesi siano d’accordo”.
Se gli Stati Uniti e il Giappone lasciassero che Cina e Taiwan risolvano la
questione da soli questi probabilmente svilupperebbero un proprio modus
vivendi. Taiwan ha già investito circa 150.000 milioni di dollari nel
continente e le due economie si stanno integrando sempre più. Sembra, inoltre,
che Taiwan riconosca che sarebbe molto difficile vivere come una nazione
indipendente di lingua cinese a fianco di un paese di 1,3 miliardi di abitanti,
3,7 milioni di miglia quadrate di territorio, un’economia di 1,4 trilioni di
dollari in rapida crescita e con aspirazioni verso la direzione generale
dell’Est Asiatico. Invece di dichiarare la propria indipendenza, Taiwan
potrebbe cercare di ottenere uno status simile a quello del Canada francese –
una specie di versione più libera di un Quebec cinese sotto il controllo
nominale del governo centrale, mantenendo però istituzioni, leggi e usanze
separate.
La Cina continentale si sentirebbe così sollevata da questa soluzione che
probabilmente la accetterebbe, soprattutto se può essere raggiunta prima dei
Giochi Olimpici di Pechino nel 2008. La Cina teme che i radicali taiwanesi
vogliano dichiarare l’indipendenza un mese o due prima dei Giochi Olimpici,
confidando nel fatto che la Cina non attaccherebbe mai in quel periodo visti i
suoi immensi investimenti. La maggioranza degli osservatori crede che, tuttavia,
la Cina non avrà altra scelta che entrare in guerra perché non farlo
significherebbe incoraggiare una rivoluzione interna contro il Partito
Comunista cinese per aver violato l’integrità nazionale del paese.
L'articolo completo in pdf: http://www.nuovimondimedia.com/sitonew/images/articoli/cina.pdf
Fonte: http://www.tomdispatch.com/index.mhtml?pid=2259