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Da www.rebelion.org
 
La Lunga Marcia e il riarmo ideologico in Cina
 
Xulio Ríos*

24/10/2006

 
Le celebrazioni organizzate per commemorare il settantesimo anniversario del fine della Lunga Marcia sono servite al Partito Comunista Cinese (PCC) per riaffermare la sua piena legittimità al potere.Ad essere precisi, nelle celebrazioni era contenuto un triplice messaggio.
 
In primo luogo il fatto che l’opulenza di oggi è conseguenza di un grande sforzo, il risultato dell'eroismo e del sacrificio, guidato dal PCC e dall’Esercito Popolare di Liberazione (EPL); secondo, che è giusto mantenere la fiducia nel PCC, perché se ha saputo raggiungere la vittoria in mezzo a grandi difficoltà, non fallirà ora; terzo, bisogna sempre essere preparati ad affrontare i tempi difficili.
 
Jiang Zemin e Hu Jintao hanno reso onore ai veterani della Lunga Marcia; prima nel Museo Militare, visitando l'esposizione commemorativa in compagnia di Zhu Rongji, Li Peng ed altri dirigenti della vecchia guardia comunista; e dopo nell’Antico Palazzo del Popolo, assistendo ad uno spettacolo realizzato con tutta l'estetica e la coreografia più tradizionale.
 
Ma la cosa più sorprendente è stata l'atto politico del 22, quando Hu Jintao e Jiang Zemin sono comparsi insieme nella tribuna, un atto inusuale che è il riflesso delle profonde tensioni esistenti nei vertici cinesi dopo la sospensione del segretario del PC a Shanghai, e delle successive operazioni di pulizia avviati da Hu, per eliminare le basi dell’influenza di Jiang. Secondo alcuni, la duplice apparizione nella tribuna è una "compensazione" a Jiang Zemin, che ha dovuto accettare la linea di Hu per eliminare le disuguaglianze e la corruzione, al fine di recuperare la reputazione del Partito indebolita dall’azione di funzionari corrotti.
 
L'importanza che il PCC sta concedendo a questa commemorazione - e che contrasta col logico silenzio degli anniversari della Rivoluzione Culturale o della morte di Mao - non è un fatto casuale, ed ha un altro significato aggiunto. In una conferenza celebrata ai primi di ottobre a Pechino, Li Changchun, membro del Comitato Permanente dell'Ufficio Politico, faceva un appello a rinforzare l'educazione ideologica ed etica, specialmente tra i giovani. Visitando l'esposizione nel Museo Militare si sono potuti vedere delegazioni di studenti universitari che cantavano, col pugno levato, vecchie canzoni rivoluzionarie. Alla televisione centrale, gli incontri tra protagonisti della Lunga Marcia e giovani di varia età, cercavano di trasmettere l'idea di continuità di un processo, quando molti dei giovani sembrano ora più interessati ad Internet, o ad una società civile emergente che cresce velocemente, e che sebbene possa farlo solo negli ambiti che il governo tollera, corre il rischio di consolidarsi alle spalle del PCC.
 
Il ricordo delle gesta dell'epoca rivoluzionaria e l'invocazione di luoghi comuni di quel periodo risulta come una delle caratteristiche del governo di Hu Jintao. Non è un caso.
 
C’è la necessità di offrire soddisfazione ai veterani - molti di loro sono scontenti della riforma e del Partito ai tempi di Jiang - e di corteggiare l'EPL alla vigilia dei rinnovamenti annunciati, e c’è l'opportunismo necessario per guadagnare tempo e chiedere fiducia ad una cittadinanza scettica rispetto alla capacità del PCC di affrontare le difficoltà del processo di riforma. Ma oltre a tutto ciò, Hu, senza emarginare il nazionalismo, sembra riaffermarsi nel solco sociale ed etico della riforma.
 
Rinforzando il confronto del periodo attuale con i primi e convulsi decenni del periodo rivoluzionario, Hu insiste anche sulla necessità di trovare una via propria ed alternativa all'economia di mercato neoliberale, in sintonia con le preoccupazioni espresse da alcuni intellettuali di sinistra e critici del regime - legati alla rivista Dushu -, trovando una strada propria verso la modernizzazione e la rinascita della Cina, che appoggi e non smantelli il ruolo dello Stato quale garante e protettore dell'economia nazionale.
 
Si tratta di una preziosa esperienza ed un'opportunità storica unica per costruire una società migliore, più giusta di quell’occidentale, come enfatizzava il professore Cui Zhiyuan sul The New York Times lo scorso 15 ottobre.
 
Hu sembra essere stato in sintonia con quei settori sociali del paese che, nonostante l’attuale prosperità, sentono la mancanza delle prestazioni basilari, che il maoismo aveva garantito in condizioni molto più difficili di quelle attuali; come l'autorità di un potere centrale che sia capace di imporsi ai capi locali ed evitare i suoi abusi di potere. Il processo in corso, di accomodamento necessario delle disuguaglianze, costituisce un'opportunità elementare per evitare che quella domanda sociale si traduca in altro, finendo col chiedere non un governo più democratico, ma più autoritario.
 
Il riarmo ideologico include non solo la campagna anticorruzione e l'esigenza di una nuova etica, bensì una riformulazione della linea della riforma, accentuando l'importanza di un contenuto più sociale e più rispettoso con l'ecosistema, e diverso perfino in politica estera, con attenzioni che vadano oltre il sacrosanto sguardo verso gli USA - già propria del tempo di Jiang Zemin, - badando a latitudini più vicine, regionali, come India o Giappone, evitando di trasformarsi in semplici imitatori dell'America.
 
Nell’epoca di Hu, modernizzazione ed occidentalizzare sembrano allontanarsi.
 
*Xulio Ríos è direttore dell'Osservatorio di Politica Cinese, Casa Asia-IGADI,
 
Traduzione dallo spagnolo di FR per www.resistenze.org