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- popoli resistenti - cina - 16-04-08 - n. 223
Gli internauti cinesi lanciano una campagna di boicottaggio contro la Francia
Danielle Bleitrach
5/4/08
Tradotto in spagnolo per Rebelión da Caty R. e Juan Vivanco
Sou.com, uno dei più grandi portali Internet cinesi, ha aperto un sito dedicato alla Francia.
Alla Repubblica Popolare Cinese non sono piaciuti né gli inviti al Dalai Lama né l’ipotetico boicottaggio di N. Sarkozy alla cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici, che si svolgerà a Pechino il prossimo 8 di agosto.
Indipendentemente dalla simpatia o antipatia che si nutre nei confronti della Cina, il problema che suscita la copertura dei fatti del Tibet riguarda i media occidentali e la nostra libertà d’informazione, che in realtà, come dice N. Chomsky, dimostra che non c’è più il diritto all’informazione del cittadino, ma piuttosto un sistema di propaganda che consacra la libertà del mercato dell’informazione, dei magnati della stampa. Quelli che in Francia, sono anche venditori d’armi come Dassault o Lagardère, e quella dei grandi pubblicisti come Havas o Publicis, che ha fra i suoi principali clienti l’esercito statunitense.
La CIA consegna “chiavi in mano” le campagne, i “sovvenzionati” da questa organizzazione a volte si trovano nelle strutture redazionali o nelle ONG, oppure sono esperti che monopolizzano il diritto alla parola. Il caso più clamoroso è quello di “Reporters sans Frontières”.
Per arrivare a ciò bisogna mentire sui fatti; per esempio, non si mettono mai in correlazione questi fatti con l’opzione conciliatrice del voto taiwanese a favore del candidato alla presidenza, che vuole la conciliazione. Neppure si confronta la “repressione” nel Tibet con ciò che succede a Bassora, la sfacciata giustificazione di Bush dell’operato del governo iracheno contro i ribelli e i bombardamenti statunitensi. Per non parlare della manipolazione sistematica del “diritto di Israele a difendersi”, massacrando i bambini.
Oggi è chiaro che gli organi di stampa che dovrebbero fare autocritica su quanto è stato riferito sul Tibet, lo fanno cercando di mantenere viva la finzione di una stampa occidentale libera che affronta una stampa totalitaria, che avrebbe messe in campo i suoi strumenti mediatici condizionando qualche fonte “patinata” occidentale.
Quello che manca è una vera autocritica circa l’enorme bufala della “repressione cinese nel Tibet”, perché si tratta di giustificare le prossime campagne mediatiche. Ciò può succedere soltanto perché il cittadino francese è completamene alienato, è convinto che la stampa cinese “totalitaria” mente, perché e governativa, mentre la sua, in mano al settore privato, dice più o meno la verità.
Nel mio primo articolo “La strana copertura informativa occidentale su Tibet e Cina”, pubblicato qui suscitando polemiche, incomprensioni e accuse di quasi stalinismo, ho proposto un metodo.
Valutare i fatti e non i meriti delle vittime
Il metodo che avevo proposto consiste, anzitutto, nell’aver chiaro da quale fonte provenivano le informazioni, e quelle che avevamo arrivavamo unicamente da due fonti: la prima era l’informazione ufficiale cinese e la seconda Radio Free Asia e Radio Free Europa (la ex “La voce dell’America”) totalmente finanziata dai servizi segreti, leggi CIA. Proposi di incrociare le informazioni a partire da quello che sapevamo del paese. A questo proposito feci notare l’importanza di due informazioni, quella dell’attacco ai commercianti han (la principale etnia cinese) e hui (la minoranza musulmana) e in seguito il modo in cui Radio Free inventava una “indipendenza” del Tibet, che né la storia della Cina né l’attuale popolazione del Tibet giustificava.
Ho segnalato che siccome sul piano internazionale questa indipendenza non aveva nessun fondamento legale, si trattava del fatto che qualche ONG e qualche intellettuale falsamente “esperto” stavano lanciando una campagna separatista basata sulla “spiritualità” tibetana e sulla violazione dei loro diritti, quando nessun governo al mondo, e nemmeno un Sarkozy, avrebbe tollerato disordini del genere.
Questa posizione, di semplice senso comune, che esponeva i fatti contradditori nell’articolo seguente “Gli interessi nel Tibet”, mi ha procurato insulti e accuse, proprio qui in questo blog, da parte di persone con le quali dichiaro, fin da ora, mi sarebbe difficile condividere la militanza, giacchè ho perso fiducia in loro. Non si tratta solo del PS e della direzione del PCF, ma anche della truppa della LCR, dei trotskisti sempre alla ricerca di “stalinismo” che falsificano l’informazione in questo senso (1) contribuendo così a materializzare, da sinistra ed estrema sinistra, tutte le campagne della CIA.
Il dibattito nel mio blog (2) si è convertito in un appello contro ciò di cui sono sospettosa come individuo, contro un processo inquisitorio molto in voga; altri dopo di me sono stati giudicati con gli stessi argomenti.
Hanno trasferito questo processo inquisitorio a Grand Soir; in quel caso si trattava di qualcosa di più di qualche eretico come noi, si trattava di formare un fronte monolitico da estrema sinistra ad estrema destra, per contribuire a colpevolizzare i successi cinesi, e di aiutare la campagna del Dalai Lama. Questa attitudine politico-mediatica, che è la riproduzione di molte esperienze che vanno tutte nello stesso senso, dagli attacchi a Cuba al “né - né” ogni volta che c’è un’invasione occidentale (aspettiamo con impazienza il “né” Moktar Sadr “né” l’esercito statunitense in Iraq), è imperativo denunciarla.
Non per i cinesi, ma per noi stessi. Consiste nell’esigere, di fronte all’aggressione imperialista, un certificato di buona condotta rivoluzionaria della vittima dell’aggressione…
“So perfettamente che questo paese è sottoposto all’embargo, ad attacchi militari e terroristici, ma non possiamo difenderlo perché non rappresenta la grande rivoluzione socialista mondiale”, variante sottile del consenso sulla “democrazia” sinistra-destra di fronte all’Occidente…
Di questo ho scritto trattando i fatti del Tibet. Non cercavo di difendere la Cina ma di ristabilire i fatti, di farla finita con questa strana concezione della sinistra e dell’estrema sinistra francese che pianifica il diritto internazionale in funzione di un “palamarés” democratico stabilito dall’imperialismo, allo stesso modo in cui USA e Inghilterra hanno stabilito una lista dei “paesi canaglia”, cioè suscettibili di soffrire le loro invasioni in qualunque momento.
Questo è il nocciolo della questione: fino a quando vediamo il mondo in questo modo manteniamo la remora della colonizzazione. Come ha già detto Marx, un popolo che opprime un altro non può essere libero. La nostra visione del mondo è quella dell’occidentale superiore che ha diritto ad usare a suo profitto tutte le risorse del pianeta, trattando tutti gli altri come inferiori e senza mai smettere di fargli prediche. Fino a quando la sinistra e l’estrema sinistra avranno questa concezione, siamo condannati ad andare a rimorchio della destra, dei nostri imperialisti e capitalisti a cui permettiamo che giustifichino le loro porcherie da un punto di vista “morale” e umanista, collegando la beata ipocrisia con l’oppressione, la legittimità ideologica con la politica delle cannoniere: il diritto d’ingerenza convertito in dovere d’ingerenza, una mostruosità su scala mondiale.
Le giravolte del sistema propagandístico occidentale
“Nella Rete, come nei media e a volte nelle strade, lo Stato-Partito cinese tollera solo l’espressione pubblica che si adatta alle regole o serve ai suoi interessi immediati. Ufficialmente la censura non esiste, ma è onnipresente. Solo la sua esistenza può spiegare l’azione antifrancese di questi ultimi giorni in Internet”.
Così, è come Le Figaro del 28 settembre presentava l’ira dei cinesi a fronte della propaganda occidentale. Qui, in questo blog, abbiamo ricevuto testimonianze di studenti che si dichiaravano pro occidentali e che per tanto rappresentavano il settore pro occidentale che in tutti i paese del Terzo Mondo, emergenti o non emergenti, è più vicino alle nostre concezioni occidentali. Anche questi cinesi, ammiratori della cultura occidentale che sognano di somigliarci, erano indignati per la parzialità del modo in cui l’Occidente prende posizione per il Tibet. Un’opinione di questo tipo, per niente sospettosa di essere manipolata, è quella che si trova nel web cinese, e che certamente, riflette opinioni personali e non la voce “ufficiale” di Pechino, anche se questo è quello che va ripetendo la stampa francese.
I cinesi sono manipolati, ma non si parla mai della questione vera, non si parla della manipolazione che patiscono francesi e occidentali. Perché quella definizione che si applica all’informazione e ai media cinesi è perfetta per descrivere proprio il nostro sistema: “tollera solo l’espressione pubblica che si adegua alle regole o serve ai suoi interessi immediati. La censura non esiste, ma è onnipresente”.
La pura verità, in merito, è che nella stampa francese e negli studi televisivi non è mai stata tollerata la minima voce discordante… Ufficialmente non c’è censura ma le voci fuori dal coro non esistono. Ma questo non impedisce ai nostri virtuosi dei diritti umani di burlarsi dei cinesi.
Ecco il dibattito della “canea” degli internauti cinesi, che secondo quello che si dice, avrebbe aizzato il governo cinese…
Internauta di Suzhou (provincia de Jiangsu): «La Francia, che fu uno degli otto invasori della Cina fa la finta tonta. I diritti umani e la democrazia non sono che scuse per fare a pezzi la Cina. Cinesi, stringiamoci intorno ai nostri dirigenti per farla finita con il Dalai Lama e la mano nera dell’Occidente!”
(A favore: 9.109. Contrari: 597)
Internauta di Lanfang (Hebei): «E’ un problema interno della Cina. Non c’è differenza tra la banda del Dalai Lama e il terrorismo internazionale (..) Dobbiamo esigere che la diplomazia francese si scusi con il popolo cinese.”
(A favore: 362. Contrari: 18)
Internauta: “Non commettiamo errori diplomatici. Francia e Germania si convinceranno.”
(A favore: 2. Contrari: 0)
Internauta: “Un paese che accumula debiti di sangue, un presidente che farebbe meglio a pensare a sua moglie. Con che diritto si azzardano a indicarci con il dito?”
Internauta in Canada: “Le forze anticinesi sono di nuovo all’opera con i loro media. Bisogna rispondere colpo su colpo. La Cina vincerà!.”
Internauta de Guangdong: “Quando Sarkozy è venuto a Pechino lo si è accolto con gran regali. E’ stato un errore. In cambio la Francia ci ripaga con la sua arroganza.”
Internauta: “I francesi si sono dimenticati le rivolte delle loro periferie dell’anno scorso?”
Internauta a Shangai: “Che vergogna, Francia. Un paese crudele e immorale! Propongo tre risposte. Boicottare Carrefour (in Cina molto presente), boicottare il turismo cinese in Francia e smettere di lavorare con aziende francesi.”
Altra rassegna: sconcerto nella stampa occidentale
L’esempio tipico è questo articolo di Le Monde:
“Tibet, la guerra dell’informazione” Le Monde | 29.03.08 | 15h08
Corrispondente a Pechino
“E’ giunta l’ora della controffensiva mediatica. Mentre l’Occidente reclama contro la politica di Pechino nel Tibet, il governo cinese si affanna a smentire o ridicolizzare il modo in cui le televisioni e pubblicazioni occidentali hanno informato dei recenti disordini sul Tetto del Mondo.
L’obiettivo è duplice. Prima di tutto si tratta di accreditare la versione secondo cui i disordini di venerdì 14 marzo a Lhasa non furono altro che uno scoppio di violenza etnica dei manifestanti tibetani contro gli immigrati han e hui. Pechino, mostrando le cose in questo modo, vuole uscire dalle accuse di repressione lanciate dall’ambiente del Dalai Lama e raccolta dai media occidentali. Inoltre, Pechino dichiara che quei media hanno manipolato le foto e i video per fomentare l’indignazione.
Questa controffensiva cinese è cominciata dopo il 14 marzo, quando la televisione nazionale CCTV fece un reportage su Lhasa durante i disordini. Si vedono i rivoltosi che distruggono tutto quello che è cinese nella strade della capitale tibetana. Negozi saccheggiati o incendiati, motociclette distrutte. Negozianti in lacrime. Vari turisti stranieri, testimoni dell’assalto di manifestanti tibetani mischiati ai monaci, nella città vecchia, che confermano la violenza dei disordini.
Un presentatore del programma della CCTV Xinwen 1+1 dice che i media occidentali sono anticinesi per partito preso. Una pagina web “anti CCN”, creata da uno studente dell’università di Pechino di Qinqhua, legata alla web del Quotidiano del popolo, organo centrale del Partito Comunista Cinese, denuncia la copertura dei fatti nel Tibet che ha fatto l’agenzia statunitense, è lancia un appello di boicottaggio contro gli affari con gli europei.
E’ divertente vedere i media ufficiali cinesi, maestri della disinformazione, convertiti in capofila della deontologia giornalistica. Ma in questo caso, qualche falla dei media occidentali li ha serviti su un piatto d’argento. Perché, senza venire meno all’intenzione deliberata di ingannare i suoi telespettatori o lettori, qualche organo mediatico ha mostrato una mancanza di professionalità inquietante. Per esempio, nel sito web della CNN, una foto che denunciava la cosiddetta repressione cinese mostra degli autocarri militari che avanzano per le strade di Lhasa dove appaiono segni di violenze. In realtà, se la foto non fosse stata tagliata si potrebbe vederla intera, come appare nel sito “anti CNN”, con i camion presi a sassate dai manifestanti.
O ancora peggio: il portale del settimanale tedesco Bild, con il titolo: “Centinaia di morti a Lhasa”, include una foto in cui si vedono dei manifestanti tibetani picchiati con canne di bambù da poliziotti … nepalesi! durante una manifestazione a Katmandù, Nepal! (3).
La televisione statunitense Fox News, da parte sua, che non ha proprio la fama di essere seria, pubblica nel suo sito web una foto di prigionieri tibetani a Nuova Delhi, chiusi nei cellulari da poliziotti indiani con questa didascalia: “I poliziotti cinesi hanno portato i detenuti tibetani nelle strade di Lhasa come trofei”.
La CNN ha riconosciuto che il montaggio della sua pagina web poteva confondere il lettore, ma sostiene che la sua informazione sui disordini è stata imparziale. La televisione tedesca RTL, che pure ha fatto uso di foto del Nepal, ha pubblicato una nota di scuse.
Questa controffensiva di Pechino ha avuto una grande ripercussione nell’opinione pubblica cinese, convinta che l’Occidente è disinformato sull’argomento. Nella rete, una lettera aperta chiama i cinesi a ribellarsi contro i “media nazisti dei Gobbels d’Occidente” e aggiunge con indignazione, che “la nazione cinese, amante della pace, raffinata e colta, ha sopportato già troppi insulti”.
In un altro sito, i bloggers se la prendono con Sarkozy in merito alle dichiarazioni del capo di Stato francese che suggeriva un boicottaggio della cerimonia d’inaugurazione dei Giochi Olimpici. Alcune dichiarazioni cadono in una lirica pesante: “I separatisti tibetani sono più crudeli delle bestie feroci (..) Un gruppo di nemici legati all’Occidente nascondono le loro nere mani, ma si intravedono le loro code fare capolino dai loro nascondigli.
Ultimo episodio del contrattacco di Pechino: i 26 corrispondenti stranieri e cinesi, ben scortati, hanno ricevuto un invito per visitare Lhasa. Ma l’operazione di pubbliche relazioni è finita con l’essere opacizzata dalla manifestazione di trenta monaci buddisti che hanno messo in dubbio la versione ufficiale cinese dei fatti. La guerra d’informazione furoreggia in Cina.
Bruno Philip
Articolo pubblicato nell’edizione del 30 marzo 2008
Come si può notare non c’è la minima ombra di autocritica, nonostante l’evidenza del fatto che la versione dei media ufficiali cinesi era molto vicina alla verità, mentre Radio Free Asia e Radio Free Europa avevano mentito senza mai smettere, e tutti i proclami del Dalai Lama e del “governo in esilio” erano, anche quelli, falsi.
Nonostante la mancanza di fatti da denunciare, oggi il sistema di propaganda occidentale propina le pagliacciate di Robert Menard e gli appelli alla moderazione degli Stati Uniti – mentre continuano ad uccidere iracheni nell’indifferenza generale -, i sindaci socialisti issano la bandiera del Tibet sulle facciate dei municipi, la patetica Marie-Georges Buffet (dirigente del partito comunista) delira, come i trotskisti, come no; tutte le anime belle continuano a sproloquiare sul Dalai Lama e a denunciare il capitalismo cinese senza preoccuparsi minimamente dei milioni di esseri umani che vivono nei tuguri, dell’invio di truppe francesi in Afghanistan e di quello che è appena successo in Ciad.
L’imperialismo è astioso con la Cina perché le rimprovera di essere ancora troppo comunista, perché teme la sua competenza e il modo in cui la Cina sta allacciando nuovi rapporti Sud - Sud. E la sinistra e l’estrema sinistra sono astiosi con la Cina perché il suo capitalismo è immorale.
Nessuno affronta le questioni vere, quelle che ci permetterebbero, non tanto di giudicare gli altri, ma di trasformarci, cioè di cambiare il nostro modo di vedere il mondo e noi stessi. gettando le basi di una vera democrazia, partendo dal punto di vista di tutte le vittime del pianeta, che è il mondo dell’imperialismo. E non limitarci a denunciare ciò che mette all’indice proprio l’imperialismo e il suo sistema di propaganda; avere, insomma, il diritto ad un vero dibattito fra di noi.
In questi giorni ho notato come i sinistroidi vociferavano più che mai, quando un filo di voce basandosi sui fatti, osava contrariare il dogma ufficiale, quello dei cinesi cattivi che reprimono i tibetani innocenti come l’esercito francese aveva represso gli algerini.
Ci hanno accusati di tutto: siamo il KGB, la repressione e la menzogna stalinista per aver osato ribellarci alla disinformazione, avremmo dovuto tapparci la bocca ad ogni costo, per assicurarci che si ripeta la storia quando invitano in Francia il Dalai Lama per continuare a preparare lo scontro di civiltà.
Ciò che è certo è che il nostro sistema politico-mediatico, a partire da una crisi violenta, urbana e interna, ha montato una propaganda e una disinformazione che ha indignato i cinesi. Se pure l’origine dei disordini sono gli USA, che hanno utilizzato il fantoccio del Dalai lama, la Francia è la più accusata di fomentare l’operazione.
E’ l’anello debole, tanto per la sconsideratezza del nostro capo di Stato che per la ridicola posizione d’avanguardia che abbiamo creduto necessario adottare e che obbedisce solo al grado di stupidità delle nostre “elites”. A parte la Francia, nessun paese, neppure gli Stati Uniti, hanno proposto il boicottaggio.
Siccome in realtà non abbiamo nessuna capacità di pressione, siamo diventati l’anello debole dell’Occidente, quasi delle caricature, e per usare un’espressione cinese, abbiamo “perso la faccia”, cioè siamo incapaci di rappresentare il ruolo che ci attribuiamo, né quello della grande potenza né quello dell’amico della Cina, soprattutto dopo aver sottoscritto da poco un contratto succulento - il che dimostrava che la Francia considerava Taiwan e il Tibet come parti integranti della Cina- .
Ci rimbambiamo, issiamo bandiere tibetane sulle facciate dei municipi e invitiamo il Dalai Lama, che non è un saggio, ma il capo di un “governo in esilio” opposto a quello cinese. Vale a dire, un equivalente di quello che avremmo fatto agli spagnoli se avessimo ricevuto, con tutti gli onori, l’ETA. Ma nel frattempo stiamo zitti su quello che succede in Iraq, dove ogni giorno c’è una quantità enormemente più grande di morti, mandiamo 1.000 soldati come rinforzi in Afghanistan, salviamo una dittatura in Ciad, ecc. ecc.
E’ ormai lontano quel discorso di De Gaulle a Phnom Penh, siamo ridicoli… Qualcuna di queste anime belle sarà in grado di capirlo?
Note
(1) Contemporaneamente, in Venezuela appare, o cerca di apparire, una pseudo - opposizione di “sinistra” che cerca di spiegare che esiste una campagna della destra contro Chavez, ma c’è pure una “opposizione” di sinistra che ha paura della dittatura di un uomo solo.
In questa famosa opposizione di sinistra si trovano i socialdemocratici di “Podemos” e qualche trotskista che fa sfoggio un punto di vista di sinistra, oltre che di purezza rivoluzionaria; per non parlare di qualche intellettuale come Heinz Dietrich, tutti disposti ad impegnarsi in un’offensiva contro Chavez e tentare una destabilizzazione interna usando i metodi dell’oligarchia, cioè dell’imperialismo, per intaccare dall’interno l’appoggio popolare.
Si capisce che oggi le etichette non contano più e che qualche socialista come Melenchon e qualche trotskista come Alan Wood hanno scelto il campo antimperialista, ma c’è pure una profonda degradazione della sinistra e dell’estrema sinistra che le getta, per puro colonialismo e paura, ai “barbari”, nel campo imperialista. Siamo tra l’incudine e il martello, ed ognuno deve sapere da che parte sta. http://paris.indymedia.org/article.php3?id_article=97238