www.resistenze.org - popoli resistenti - cina - 19-11-18 - n. 691

I comunisti russi e la Cina di Xi Jinping

Fabrizio Poggi | nuovaunita.info

novembre 2018

La crescita dell'economia cinese sta rallentando, scriveva qualche mese fa "Forbes", ma per il momento non sembrano risentirne i ricconi del paese. Il patrimonio complessivo dei 400 cinesi più ricchi è di poco meno di 1.000 miliardi di dollari, di cui quasi 260 mld sono in tasca ai 10 più ricchi tra i ricchi: in testa, Hui Ka Yan, con 42,5 miliardi. Per fare un confronto, l'oligarca russo al vertice della classifica di "Forbes" è Vladimir Lisin, con 19 miliardi, mentre i 10 russi più ricchi si dividono circa 162 miliardi.

Epurati e riabilitati

Il paragone Pechino-Mosca serve solo per introdurre la valutazione data da alcune organizzazioni comuniste russe sul carattere dell'attuale struttura sociale cinese. Posto che i comunisti russi ormai da tempo non hanno dubbi sul carattere di classe e oligarchico del sistema uscito dal golpe eltsiniano del 1991-1993, come vedono, le stesse organizzazioni, l'assetto cinese?

Secondo "maoizm.ru", che basa la propria analisi in larga misura sull'opera del politologo Aleksandr Popov "Sistemi e regimi politici in Cina nel XX secolo", la restaurazione del potere borghese in Cina si è verificata negli anni 1974-1978. Il plenum del CC del luglio 1977 confermò Hua Guofeng alla carica di presidente del CC, reintegrò in tutte le funzioni Deng Xiaoping, escluse "per sempre dal partito" i membri della cosiddetta "Banda dei quattro" e tolse gli incarichi a varie decine di membri del CC o dirigenti amministrativi provinciali favorevoli a Jiang Qing, Zhang Chunqiao, Yao Wenyuan e Wang Hongwen. Nelle campagne, scrive Popov, vengono riabilitati contadini ricchi e discendenti di latifondisti; si procede allo "scioglimento di comuni agricole e brigate, si torna al lavoro individuale e alla compra-vendita di terreni", con il conseguente "emergere di proprietà terriere private piuttosto grandi, usura, ritorno del bracciantato, impoverimento e rovina di contadini medio-poveri e arricchimento di grandi contadini e speculatori".

Sul piano politico, si ridà vita a partiti che rappresentano la vecchia borghesia emigrata. Insieme alla riabilitazione di membri del Politbüro (anche deceduti, come ad esempio Peng Dehuai), migliaia di funzionari e quadri di partito e sindacali, che la Rivoluzione culturale aveva epurato quali "elementi di destra", vengono rimessi agli stessi posti occupati in precedenza; all'Assemblea nazionale del popolo numerosi seggi vengono di nuovo assegnati a personaggi esclusi durante la Rivoluzione culturale. Su 37 ministri, presidenti di comitati statali e di dipartimenti centrali, 22 erano tra gli epurati. Al tempo stesso, escono di scena decine di sostenitori - ai vari livelli di partito, sindacati, esercito, organizzazioni femminili - della "Banda dei quattro".

I cambiamenti a tutti i livelli, dalla cerchia più vicina a Mao, all'Assemblea nazionale, fino alle municipalità più piccole, continuano anche nel 1978, nonostante forti resistenze alla svolta a destra e all'introduzione di metodi capitalistici nelle aziende, con licenziamenti e aumento dei ritmi. Nelle città, eliminata la "milizia cittadina dei lavoratori industriali", si varano le "quattro modernizzazioni", esaltando il ruolo dei "lavoratori anziani e qualificati", contrapposti ai "giovani" della rivoluzione culturale; si comincia a dar vita a una vera e propria aristocrazia operaia, promuovendo incentivi materiali in imprese selezionate. Si riabilita il confucianesimo e si eliminano dalla Costituzione i principi sulla "piena dittatura sulla borghesia nella sovrastruttura" e sul "mettere sempre la politica proletaria al posto di comando".

Rappresentanza e Costituzioni

La rappresentanza di operai, contadini e soldati all'Assemblea nazionale scende dal 72% della 4° (1975-1978) al 61,7% della 5° (1978-1983). Ed è proprio la V Assemblea che approva le Costituzioni del 1978 e del 1982. Quest'ultima, se conferma "la struttura socialista giuridica e statale della RPC", ammette l'economia individuale, l'investimento di capitali personali nella produzione, l'agricoltura privata e l'affitto della terra. Gli emendamenti del 1993 permettono poi l'economia di mercato "come mezzo ausiliario per lo sviluppo economico". Il terzo plenum della 14° sessione dell'Assemblea nazionale, nel novembre 1993, istituzionalizza "l'economia socialista di mercato".

Analogie e differenze

La storia rivoluzionaria dell'URSS e della RPC, ricorda Sergej Khristenko sul sito del VKPB di Nina Andreeva, "ha molte somiglianze, ma anche tratti fondamentalmente diversi. Anche la Cina ha avuto il suo Berija collettivo - la banda dei quattro - e il suo analogo del 1937-1938 - la Grande Rivoluzione Culturale; e poi, con la morte dei grandi leader - Stalin e Mao – una progressiva (in URSS) e una repentina (nella RPC) deviazione dalla costruzione del comunismo".

Secondo il sito "flot.com", invece, la prima fase delle riforme in Cina (1978-1984) era incentrata sull'economia pianificata, con quella di mercato come secondaria: 30% della produzione industriale (grandi imprese e industria militare) totalmente pianificata e 10% parzialmente; 30% (media e piccola industria) gestito con la cosiddetta "pianificazione indirizzata"; 20% dell'economia regolato dal mercato. La seconda fase (1984-1992) può definirsi come "accelerazione" dello smantellamento del sistema pianificato, lasciando allo stato gli indicatori macroeconomici secondo il principio che "lo stato regola il mercato e il mercato orienta l'impresa". La terza fase (1992-1997) abbraccia pienamente l'economia di mercato, definisce i compiti di ottimizzazione della gestione aziendale e accelerazione dei ritmi di crescita. Perno della quarta fase (dal 1998), l'espansione economica estera: aumento delle esportazioni per stimolare lo sviluppo nazionale.

"Socialismo cinese"

La Cina adatta il marxismo al capitalismo, scriveva due anni fa il Partito Comunista Operaio Russo (PCOR), secondo "l'invito" di Xi Jinping, in occasione del 95° anniversario del PCC, di non rinunciare al marxismo, "adattandolo alle nuove realtà". Allora, alcuni media russi (vedi, ad esempio, il "poliedrico" e non certo comunista "Vzgljad") sottolinearono il sofismo con cui la leadership del PCC, ricordando le parole di Mao secondo cui la Cina era entrata appena nello "stadio iniziale del socialismo", presero a teorizzare che il paese dovesse per prima cosa raggiungere un livello di vita accettabile, dato che per il socialismo sarebbero stati necessari altri 70-100 anni. Per il momento "si proponeva al popolo di realizzare un buon livello di vita con metodi capitalistici; nasceva così l'idea del socialismo cinese, che tace su lotta di classe o plusvalore e in compenso fa perno su uno strano concetto quale il mercato socialista".

Una quindicina di anni fa, Jiang Zemin, in continuità con Deng, chiedeva che il partito cominciasse a "rappresentare le pretese di sviluppo delle forze produttive più avanzate", una formulazione, osserva il PCOR, che significava l'invito rivolto agli imprenditori a entrare nel Partito, anche se, di fatto, vi si erano intrufolati da tempo, intuendo come quella fosse la strada più breve per accedere agli ordinativi di stato. Da allora, insieme a crolli di borsa per i più ricchi e indebitamenti paurosi per la cosiddetta classe media, si sono raggiunti livelli mai visti di disparità sociale. Secondo l'OSCE, nel 2016 il 10% dei cinesi più ricchi aveva redditi di 9,6 volte maggiori del 10% più povero e ora si contano nel paese 2,4 milioni di milionari, mentre decine di milioni di cinesi vivono con 1 dollaro al giorno.

In tali condizioni, notava ancora "Vzgljad", è comprensibile che Xi Jinping prenda in certo qual modo le distanze dallo slogan su "l'adeguamento della teoria marxista". E tuttavia, la leadership cinese non può tornare al marxismo classico: "élite di partito e borghesia si sono talmente amalgamati, che sono terrorizzati da una fantomatica deviazione di sinistra, in cui scorgono gli "orrori" dell'espropriazione". Così, i vertici del partito cercano di spaventare i cinesi, identificando il socialismo con la rivoluzione culturale e chiunque manifesti nostalgie dell'epoca passata rischia di venir etichettato come "Guardia rossa" e "deviazionista di sinistra". Proprio con tale accusa, nel 2013 è stato condannato all'ergastolo (ma, ufficialmente, per corruzione) uno dei più importanti funzionari del PCC, Bo Xilai.

Proteste

Ancora Sergej Khistenko osserva che, nonostante il vertice del PCC, nella valutazione dell'opera di Mao, si attenga alla vecchia formulazione del "70% di risultati positivi e 30% negativi", tra le masse si levano sempre più spesso proteste contro quei funzionari o personaggi pubblici che si permettono di accusare Mao di "aver fatto soffrire" i cinesi. Si vedono sempre più spesso manifesti con "Chi è contro Mao è un nemico del popolo". Sulla base di materiali giornalistici, Khristenko ricorda che quantunque "non vi sia oggi in Cina una particolare romanticizzazione dell'epoca della Rivoluzione culturale, economisti e storici stanno tuttavia da tempo rivedendo quel periodo", notando come il "notevole sviluppo economico, in particolare delle infrastrutture, avutosi dall'inizio degli anni '70, abbia gettato le basi per le successive riforme".

Strumentalizzazioni

A livello di massa, l'odierno catastrofico divario tra ricchi e poveri e il grosso numero di miliardari in un paese "formalmente socialista", viene contrapposto al periodo maoista di "ordine e giustizia sociale". Lo stesso Xi cita spesso il nome di Mao e, contro la corruzione nel partito e nell'apparato statale, ripete che non è un buon membro del partito chi non crede che il comunismo sarà realizzato; solo, dice, in un futuro "molto, molto" lontano. Per ora, nota Khristenko, si va "avanti sulla strada del capitalismo, utilizzando una retorica di sinistra, che appare utile a Xi per accattivarsi le simpatie da più versanti", in vista della probabile riconferma al terzo mandato presidenziale.

In questo quadro, conclude il PCOR, se la retorica marxista del "compagno" Xi è ambigua e cauta, parla però in modo diverso degli interessi nazionali della Cina. A proposito del confronto Washington-Pechino e della crisi di UE e USA, Xi ribadisce che messa di fronte all'alleanza Cina-Russia, la NATO sarebbe impotente: la Cina "non sacrificherà mai i propri interessi fondamentali, la sicurezza e la sovranità". Queste frasi di Xi, "di carattere puramente conservatore e borghese", dimostrano che "da tempo il PCC ha perso e perde sempre più ogni legame ideologico con il marxismo, trasformandosi sempre più in un qualsiasi partito nazionalista borghese".


Resistenze.org     
Sostieni Resistenze.org.
Fai una donazione al Centro di Cultura e Documentazione Popolare.

Support Resistenze.org.
Make a donation to Centro di Cultura e Documentazione Popolare.