www.resistenze.org - popoli resistenti - cina - 28-09-19 - n. 722

Hong Kong, un paese, due sistemi?

O.B. | nuevo-rumbo.es
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

19/09/2019

Lo scorso 9 giugno sono iniziate una serie di manifestazioni di massa ad Hong Kong, che durante tutta l'estate hanno aperto i notiziari di tutto il mondo: uno sciopero non sindacale il 12 giugno, cariche di polizia quattro giorni dopo, l'assalto al parlamento il 1° luglio, l'attacco di incappucciati ai manifestanti il 21 luglio, la paralisi dell'aeroporto tra il 12 e il 14 agosto e una contromanifestazione a favore di Pechino, con mezzo milione di partecipanti, il 17 agosto. Fino alla fine di agosto, il saldo era di 883 detenuti, numerose armi confiscate e la cifra presunta di 2.100 feriti, tra cui 205 poliziotti.

La Cina accusa USA, Regno Unito, Canada e Taiwan di esser dietro un tentativo di rivoluzione colorata, simile a quelle organizzate in Siria, Libia o Ucraina. La stampa occidentale, al contrario, vede un caso paradigmatico di lotta tra libertà e tirannia. A mio giudizio, il primo assunto nasconde fattori interni dietro quelli esterni - che pur esistono - mentre il secondo non merita nemmeno una confutazione, per quanto assurdo.

Hong Kong è attualmente una città sotto la piena sovranità della Cina, anche se con un grado di autonomia molto ampio. Sulla base della Legge Fondamentale si stabilisce un sistema sostanzialmente differente a quello del resto della Cina in aspetti come la valuta, la gestione economica e le istituzioni politiche. Qualsiasi sfera può esser differente al resto del paese, ad eccezione della difesa militare o le relazioni estere, competenze che non sono trasferite.

Politicamente, il conflitto si origina con la discussione parlamentare di un nuovo disegno per la Legge di Estradizione, che risale all'epoca coloniale britannica. L'attuale testo, ad esempio, non ha permesso ad Hong Kong di estradare un uomo che assassinò sua moglie a Taiwan e che ha approfittato del vuoto legale per rimanere impunito nella città autonoma. Tuttavia, certi gruppi di opposizione vedono nella riforma legale un tentativo di armonizzare i codici penali di Hong Kong con il resto della Cina, indebolendo l'autonomia.

Questa riluttanza tenace in una questione minore si spiega meglio nell'identità stessa di Hong Kong. Non perché Hong Kong abbia una lunga tradizione democratica, come sembra voler dire la stampa occidentale. Di fatto, sotto il regime coloniale britannico, si amministrava la città con un governatore nominato da Londra e il resto del sistema legale segue praticamente intatto. L'identità, come tutto il resto, ha forti radici in aspetti materiali: nell'economia.

Quando nel 1997 Hong Kong tornò ad esser parte della Cina, il suo PIL rappresentava il 20% di tutto il paese. Attualmente, il PIL hongkonghese è il 3% di quello cinese, sebbene l'economia della città autonoma è superiore a quella di paesi come Israele o Irlanda. Il PIL procapite di Hong Kong continua ad esser superiore a quello medio cinese, ma il divario si è ridotto: nel 1997, Hong Kong aveva cifre 35 volte superiori a quelle della Cina continentale, mentre oggi sono 5 volte superiori. Anche città come Pechino, Shanghai o Shenzhen hanno superato in dimensione economica Hong Kong.

Questo processo non mostra un rallentamento della crescita hongkonghese, ma l'espansione accelerata della Cina. Tale processo non è a discapito dell'oligarchia hongkonghese, alla quale sono state offerte condizioni vantaggiose di investimenti nel mercato cinese, ma a suo favore. Ma l'integrazione è bilaterale: Hong Kong importa dal resto della Cina il 67% dell'acqua, il 94% della carne di maiale, il 100% di quella di vitello, il 92% delle verdure, il 66% delle uova, il 100% del gas naturale, il 99% del petrolio e il 25% dell'elettricità. L'integrazione economica all'interno della Cina è fondamentale per la borghesia hongkonghese, che insospettatamente, è il principale appoggio nella città degli attuali dirigenti del Partito Comunista Cinese.

Hong Kong è stato l'unico porto cinese all'interno dell'Organizzazione Mondiale del Commercio fino al 2001, anno in cui tutto la Cina ne divenne membro. Inoltre era anche la principale borsa valori e mercato valutario, oggi superata dalla Borsa di Shanghai e dall'internazionalizzazione dello yuan.

Sebbene l'oligarchia hongkonghese si avvantaggi dell'integrazione nella Cina, determinati settori, in specie gli studenti universitari e i lavoratori qualificati, nutrono un sentimento di perdita di identità, connesso a un'importanza relativamente minore della città dentro la Cina e nell'Asia Orientale in generale. Questo sentimento non ha una radice etnica o culturale: il 92% della popolazione di Hong Kong è cinese, con una rapida crescita dai 600.000 abitanti ai 7,4 milioni tra il 1945 e il 2019, basata fondamentalmente sull'emigrazione dalla provincia cinese del Guangdong.

Che succederà?

Gli scenari più probabili sono la sconfitta per esaurimento o una intensificazione dell'ingerenza esterna per ravvivare le proteste, che anche così, sono destinate a fallire. I dirigenti cinesi, con il loro compromesso con le relazioni di mercato, hanno posto le basi perché a Hong Kong e nel resto della Cina si generino contraddizioni che porteranno inevitabilmente a conflitti di classe, in forma più o meno diretta, in occasioni mascherate più o meno come conflitti identitari. Ma allo stesso tempo, questi stessi dirigenti sono grandi conoscitori della gestione politica e della storia.

Per questo, il ricorso alla forza sarà utilizzato solo come una minaccia velata, con alcune manovre antisommossa, come nella città di confine di Shenzhen il 14 agosto. Il tempo corre a loro favore, in un territorio che ora controllano e senza minacce militari serie.

Ma, le lezioni del secolo e mezzo di umiliazione, in cui la Cina fu divisa in zone di influenza dalle potenze occidentali e numerosi territori furono strappati al paese, insegna loro che, se fosse il caso, tanto vale un bagno di sangue che un pericoloso esempio da imitare.


Resistenze.org     
Sostieni Resistenze.org.
Fai una donazione al Centro di Cultura e Documentazione Popolare.

Support Resistenze.org.
Make a donation to Centro di Cultura e Documentazione Popolare.