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Guerre dell'oppio? Quali guerre dell'oppio?

Lee Yunlong | investigaction.net
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

08/02/2021



I nostri libri di storia, ansiosi di preservare gli aspetti positivi della storia coloniale, parlano solo con parole sommesse. Questo è sbagliato: come possiamo capire il nostro interlocutore di oggi se ignoriamo completamente le vicissitudini delle nostre relazioni di ieri? Questa è forse una delle fonti dell'incomprensione della stampa libera sul Regno di Mezzo.

Non sono un fan dell'autoflagellazione più di chiunque altro, ma la Storia non è una favola educativa che il narratore adatta a proprio piacere. È una realtà che dobbiamo affrontare. Il nostro paese, così affezionato alle leggi della memoria, che invita costantemente i nuovi paesi stranieri a denunciare i loro torti passati, sta qui reprimendo un passato al quale ha partecipato. Suvvia, coraggio: quanto potrà mai pesare una piccola seduta di autoflagellazione di fronte al godimento della conoscenza e al trionfo della verità?

Intorno al 1800, i mercanti britannici avevano stabilito un fruttuoso commercio di tè cinese verso la metropoli. Ahimè! Gli abitanti della perfida Albione si appassionarono così tanto alle virtù di questa bevanda che la bilancia commerciale cominciò a mostrare un drammatico deficit. Inaccettabile anche per i padroni del mondo di allora (che pagavano in tael [lingotti d'argento] e non in assegnati [moneta cartacea istituita durante la Rivoluzione francese]). Così hanno deciso di vendicarsi consegnando ai cinesi l'oppio che cresceva nel Bengala. L'oppio è così superiore al tè che rende i suoi adepti assolutamente dipendenti da esso; il commercio si sviluppò così rapidamente ed ebbe così tanto successo che nel 1830 la bilancia commerciale della Gran Bretagna era tornata positiva, e la Cina era piena di tossicodipendenti che vendevano i loro genitori per pagarsi l'oppio, tanto che l'imperatore ne fu così commosso che emise un divieto sul commercio dell'oppio e revocò i diritti della potente Compagnia delle Indie Orientali (1834).

Questo non piacque ai nostri amici d'oltremanica. Dopo veementi e infruttuosi negoziati, si decise nel 1839 di far parlare la polvere. La marina britannica di stanza in India arrivò nei pressi dei principali porti cinesi e cominciò a bombardarli. Dopo tre anni di operazioni militari asimmetriche (la superiorità militare europea era schiacciante), l'imperatore cinese fu costretto a sedersi al tavolo delle trattative e a firmare il Trattato di Nanchino (il primo dei cosiddetti "trattati ineguali", cioè firmato sotto costrizione) il quale stipulava che i britannici potevano ora vendere tutto l'oppio che volevano in quattro porti aperti al loro commercio, che la Cina avrebbe dovuto pagare loro una compensazione, cedere loro l'isola allora disabitata di Hong Kong e dare inoltre ai britannici privilegi di extraterritorialità (terra britannica in territorio cinese) in diverse grandi città cinesi.

Questo trionfo di civiltà suonò l'hallali [grido di incitamento francese]: la Cina fu dichiarata un nuovo terreno di caccia aperto alla colonizzazione. Soddisfatti del guadagno, e sorpresi dalla debolezza della risposta cinese, gli Stati Uniti e la Francia si affrettarono a firmare trattati simili nel 1844. La Francia è stata attenta ad aggiungere una clausola che permette ai missionari di venire a predicare liberamente la buona parola. La colonizzazione degli spiriti ha facilitato molto la colonizzazione delle risorse naturali.

Padre Huc, un missionario in Cina, descrive come segue le devastazioni dell'oppio sulla popolazione:

"Tutti sanno della sfortunata passione cinese per l'oppio e della guerra tra la Cina e l'Inghilterra per questa droga mortale nel 1840. È stato importato nel Celeste Impero non molto tempo fa; ma non c'è commercio al mondo che sia progredito così rapidamente. Due agenti della Compagnia delle Indie furono i primi ad avere il deplorevole pensiero di portare l'oppio del Bengala in Cina all'inizio del XVIII secolo. È al colonnello Watson e al vicepresidente Wheeler che i cinesi sono in debito per questo nuovo sistema di avvelenamento (…) queste spedizioni nei loro bei clipper saranno la rovina e la desolazione di molte famiglie...

Ad eccezione di alcuni rari fumatori che (...) possono contenersi entro i limiti di una prudente moderazione, tutti gli altri vanno rapidamente incontro alla morte, dopo essere passati successivamente attraverso la pigrizia, la dissolutezza, la miseria, la rovina delle loro forze fisiche e la completa depravazione delle loro facoltà intellettuali e morali. Niente può distogliere dalla sua passione un fumatore già avanzato nella sua cattiva abitudine. Incapace della più piccola questione, insensibile a tutti gli eventi, la miseria più orribile e l'aspetto di una famiglia sprofondata nella disperazione non possono toccarlo."


Stesse cause, stessi effetti: le autorità cinesi cercano ancora una volta di combattere le devastazioni dell'oppio vietandone il commercio, gli inglesi (questa volta con l'aiuto dei francesi, che partecipano anch'essi al traffico) si vendicano bombardando le città costiere. La Seconda Guerra dell'Oppio, iniziata nel 1856, sembrava finire con il Trattato di Tianjin (1858), ma alla fine gli alleati decisero che sarebbe stato più pedagogico andare a scuotere l'imperatore nella sua capitale. Nel 1860 le forze anglo-francesi devastarono Pechino, misero in fuga l'imperatore e la sua corte, saccheggiarono e poi diedero fuoco al Palazzo d'Estate. In una famosa lettera, Victor Hugo condannò questa poco gloriosa impresa d'armi: "Un giorno, due banditi entrarono nel Palazzo d'Estate. Uno ha saccheggiato, l'altro ha dato fuoco (...) Questo è ciò che la civiltà ha fatto alla barbarie. Davanti alla storia, uno dei due banditi si chiamerà Francia, l'altro si chiamerà Inghilterra". Questa lettera e la traduzione cinese sono esposte, con un busto del poeta, nelle rovine del Palazzo d'Estate, un modo per far capire ai visitatori cinesi che almeno questi banditi non erano sostenuti dall'opinione pubblica unanime.

La dinastia Qing, originaria della Manciuria, al comando dal 1644, è nei suoi ultimi anni: ogni sorta di movimenti rivoluzionari scuotono il trono di questi incapaci che non sono stati in grado di proteggere il paese. Ora si parla di "Alleanza delle otto nazioni": oltre a Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti, si aggiungono Germania, Giappone, Russia, Italia e Austria-Ungheria. Un curioso paradosso storico: queste nazioni nemiche, che conducono guerre sporadiche e una feroce competizione per la spartizione dell'Africa, si accordano come ladri per schiavizzare e smembrare la Cina.

Scoppiano qua e là rivolte contro i "diavoli di stranieri", che ogni volta vengono schiacciate nel sangue. La più emblematica è quella dei cosiddetti Boxers (soprannome coniato dagli occidentali per deridere lo slogan del movimento, "i pugni della giustizia" 义和拳): dal 1899 al 1901, un gruppo di rivoluzionari contrari sia all'imperatrice Cixi che all'imperialismo straniero diffuse il terrore e finì per assediare le "legazioni", cioè le zone di non diritto (o zone di diritto straniero) istituite dal G8 dell'epoca. Stiamo parlando dei 55 giorni di Pechino, cioè il tempo necessario agli eserciti inviati dalle potenze occupanti per rompere l'assedio. Una volta lì, i soldati stranieri si impegnarono in atrocità contro la popolazione, specialmente la spedizione punitiva comandata dal Kaiser Guglielmo II, che andò in giro per la periferia di Pechino, uccidendo, bruciando e violentando indiscriminatamente nella speranza di creare un terrore tale che "nei mille anni a venire nessun cinese oserà alzare anche solo una mano contro un tedesco" ("Nessuna pietà! Niente prigionieri!" le istruzioni del Kaiser alle truppe in partenza per l'Estremo Oriente).

E questo stato di cose durò fino alla Seconda guerra mondiale. La storia di Tintin e il Loto blu si svolge negli anni '30: concessioni internazionali, insurrezione, occupazione giapponese.

1840-1940: un secolo di umiliazioni che l'Occidente ha opportunamente dimenticato ma che la Cina ricorda.


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