www.resistenze.org - popoli resistenti - colombia - 01-07-09 - n. 280

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Bollettino di informazione del 25/06/2009 - CLAMORI DALLA COLOMBIA!
 
11/06 - CONDANNATI DUE EX CONGRESSISTI PER CORRUZIONE
 
Il 3 giugno scorso la Sala Penale della Corte Suprema di Giustizia della Colombia ha condannato due dirigenti politici, Teodolindo Avendaño e Iván Díaz Mateus, che erano accusati di corruzione, offerta dal governo Uribe per favorire l'approvazione della riforma costituzionale che ha reso possibile la rielezione presidenziale nel 2006.
 
Avendaño, l'ex rappresentante alla Camera per il Dipartimento del Valle, è stato condannato a otto anni di carcere per i crimini di corruzione ed arricchimento illecito, mentre a Díaz Mateus sono stati comminati sei anni di prigione per concussione. Nel primo caso, la Corte ha determinato che l'ex parlamentare ha ricevuto incentivi economici per assentarsi nella sessione del Congresso in cui si sarebbe svolta la votazione principale del progetto di rielezione presidenziale; Avendaño, infatti, si opponeva al progetto, ed il suo ritiro dalle votazioni ha favorito l'approvazione della riforma costituzionale in funzione della rielezione.
La condanna contro Díaz Mateus è dovuta al crimine di concussione (pressione su un funzionario pubblico), in quanto complice nel tentare di convincere illecitamente la ex congressista Yidis Medina (da cui il nome dello scandalo, “Yidispolitica”) a votare a favore del progetto di rielezione presidenziale. Nonostante Medina avesse annunciato che avrebbe votato contro nella Prima Commisione della Camera del Congresso, dove il suo voto era decisivo, all'ultimo momento ha mutato la sua decisione in favore del presidente Uribe, e dopo qualche tempo ha rivelato di averlo fatto perché era stata corrotta da un funzionario del governo. Di tale corruzione Medina ha accusato l'allora ministro colombiano della Protezione Sociale, Diego Palacio, e l'attuale ambasciatore colombiano in Italia, Sabas Pretelt de la Vega , altro losco figuro coinvolto in numerosi processi e scandali, che all'epoca dei fatti era ministro degli Interni e della Giustizia. Mentre il Congresso colombiano è in procinto di approvare un nuovo progetto di legge per proporre un referendum che garantisca la possibilità al presidente Uribe di essere rieletto per la seconda volta, si conferma il quadro criminale che era già stato tratteggiato all'epoca dell'esplosione dello scandalo: il presidente si è garantito la rieleggibilità con la corruzione e l'inganno. Un altro scandalo, quello della “parapolitica”, dimostra invece le pressioni dei paramilitari sui civili per garantire i voti alla cricca presidenziale con le minacce, le intimidazioni, gli atti terroristici. E per il partito di Uribe votano anche i morti, o la stessa persona vota più volte, secondo il copione classico dei luoghi ad altissima infiltrazione mafiosa. Dunque il governo Uribe è illegale, in quanto ha ottenuto con la corruzione la possibilità di candidarsi, ed è illegittimo, perché ha ottenuto la maggioranza dei voti (in un paese in cui l'astensionismo si attesta intorno al sessanta percento) grazie a minacce paramilitari. In questo bel quadro di “democrazia” il presidente Àlvaro Uribe continua imperterrito nel suo ruolo, senza accennare minimamente alla possibilità di dimissioni per i continui scandali che lo coinvolgono, e senza che la cosiddetta comunità internazionale dica alcunché.
 
13/06 - MANCUSO, EX CAPO PARAMILITARE: “CONNESSIONI FRA AUC E MILITARI PIU' SCANDALOSE DI QUELLE CON I POLITICI”
 
Il capo paramilitare Salvatore Mancuso, dal carcere statunitense dove è recluso da quando è stato estradato dalla Colombia, avverte il presidente Álvaro Uribe che le prove sul coinvolgimento dei militari colombiani con le /Autodefensas Unidas de Colombia/ (AUC), il più grande e crudele gruppo paramilitare del paese che oggi perpetua con altri nomi le sue attività terroristiche dopo il cosiddetto processo di “smobilitazione”, “sarà più doloroso e traumatico” di quello della “parapolitica”.
 
In una lettera inviata da Mancuso da un carcere di Washington al presidente Uribe, comandante in capo delle Forze Armate della Colombia, l'ex capo paramilitare afferma che “diventa sempre più difficile dissimulare i vincoli delle Forze Armate, della polizia e dell’/intelligence/ con i diversi attori del conflitto”. “Ogni volta di più l'evidenza, l'efficacia e la dimensione fuori dal comune degli atti metterà in luce ciò che è inoccultabile”. Salvatore Mancuso ha inoltre affermato che “inizialmente questi vincoli potranno essere mostrati come casi isolati che non mettono in gioco la responsabilità delle istituzioni militari, ma alla fine sarà evidente che tutto questo non è sorto da decisioni individuali, ma piuttosto da una politica di Stato”. Mancuso, appartenente all'omonimo clan che ha profonde radici nella 'ndrangheta calabrese, ha avuto sempre rapporti preferenziali col presidente Uribe, al quale ha persino regalato alcuni macchinari agricoli; Uribe gli ha lungamente garantito l'impunità, salvo poi concedere agli Stati Uniti la sua estradizione affinché non vuotasse il sacco. L'ex capo paramilitare non ha gradito, e, nonostante le minacce pervenute in Colombia ai suoi familiari più stretti, inizia a raccontare gli inestricabili rapporti fra militari, politici e paramilitari colombiani.
Mancuso parla esplicitamente di “politica di Stato”: ed infatti è evidente la strategia complessiva del terrorismo di uno stato che usa i paramilitari come arma contro la popolazione per ottenere vantaggi elettorali, e sfollare contadini per consegnare le loro terre alle multinazionali, garantendo a queste la sistematica eliminazione fisica dei sindacalisti ed al governo l'eliminazione degli oppositori politici. Mancuso deve essere rimpatriato, raccontare quelle verità tanto scomode al regime e poi essere castigato esemplarmente dalla giustizia popolare, unica vera garante nei confronti delle vittime e delle loro famiglie ormai asfissiate dal feroce cappio dell’impunità. E ad Uribe, stessa sorte.
 
14/06 - CONDANNATI DUE EX CONGRESSISTI PER CORRUZIONE
 
Il 3 giugno scorso la Sala Penale della Corte Suprema di Giustizia della Colombia ha condannato due dirigenti politici, Teodolindo Avendaño e Iván Díaz Mateus, che erano accusati di corruzione, offerta dal governo Uribe per favorire l'approvazione della riforma costituzionale che ha reso possibile la rielezione presidenziale nel 2006.
 
Avendaño, l'ex rappresentante alla Camera per il Dipartimento del Valle, è stato condannato a otto anni di carcere per i crimini di corruzione ed arricchimento illecito, mentre a Díaz Mateus sono stati comminati sei anni di prigione per concussione. Nel primo caso, la Corte ha determinato che l'ex parlamentare ha ricevuto incentivi economici per assentarsi nella sessione del Congresso in cui si sarebbe svolta la votazione principale del progetto di rielezione presidenziale; Avendaño, infatti, si opponeva al progetto, ed il suo ritiro dalle votazioni ha favorito l'approvazione della riforma costituzionale in funzione della rielezione. La condanna contro Díaz Mateus è dovuta al crimine di concussione (pressione su un funzionario pubblico), in quanto complice nel tentare di convincere illecitamente la ex congressista Yidis Medina (da cui il nome dello scandalo, “Yidispolitica”) a votare a favore del progetto di rielezione presidenziale. Nonostante Medina avesse annunciato che avrebbe votato contro nella Prima Commisione della Camera del Congresso, dove il suo voto era decisivo, all'ultimo momento ha mutato la sua decisione in favore del presidente Uribe, e dopo qualche tempo ha rivelato di averlo fatto perché era stata corrotta da un funzionario del governo. Di tale corruzione Medina ha accusato l'allora ministro colombiano della Protezione Sociale, Diego Palacio, e l'attuale ambasciatore colombiano in Italia, Sabas Pretelt de la Vega , altro losco figuro coinvolto in numerosi processi e scandali, che all'epoca dei fatti era ministro degli Interni e della Giustizia. Mentre il Congresso colombiano è in procinto di approvare un nuovo progetto di legge per proporre un referendum che garantisca la possibilità al presidente Uribe di essere rieletto per la seconda volta, si conferma il quadro criminale che era già stato tratteggiato all'epoca dell'esplosione dello scandalo: il presidente si è garantito la rieleggibilità con la corruzione e l'inganno. Un altro scandalo, quello della “parapolitica”, dimostra invece le pressioni dei paramilitari sui civili per garantire i voti alla cricca presidenziale con le minacce, le intimidazioni, gli atti terroristici. E per il partito di Uribe votano anche i morti, o la stessa persona vota più volte, secondo il copione classico dei luoghi ad altissima infiltrazione mafiosa. Dunque il governo Uribe è illegale, in quanto ha ottenuto con la corruzione la possibilità di candidarsi, ed è illegittimo, perché ha ottenuto la maggioranza dei voti (in un paese in cui l'astensionismo si attesta intorno al sessanta percento) grazie a minacce paramilitari. In questo bel quadro di “democrazia” il presidente Àlvaro Uribe continua imperterrito nel suo ruolo, senza accennare minimamente alla possibilità di dimissioni per i continui scandali che lo coinvolgono, e senza che la cosiddetta comunità internazionale dica alcunché.
 
17/06 - IL CONGRESSO COLOMBIANO VUOLE RIESUMARE LE PARAMILITARI “COOPERATIVE /CONVIVIR/”
 
Il massimo organo legislativo colombiano, nido di paramilitari dal colletto bianco, corrotti, trasformisti della politica e fedeli rappresentanti/servitori degli interessi dell’oligarchia e dell’imperialismo, sta discutendo un disegno di legge che, qualora passasse, riesumerebbe le famigerate “cooperative” di sicurezza privata “/Convivir/”.
 
Va rammentato che le /Convivir/, create a partire dall’11 febbraio 1994 con l’emanazione del decreto 356 sotto il governo dell’ultra-liberista César Gaviria, furono false cooperative che permisero la legalizzazione dei gruppi paramilitari e degli apparati armati dei cartelli narcotrafficanti, con il pretesto della difesa dei proprietari terrieri dalla guerriglia. Il disegno di legge è il risultato di tre iniziative accorpate in un solo progetto: la prima proviene dalla Superintendenza della Vigilanza, la seconda è del senatore del Partito Uribista Luis Elmer Arenas, e la terza è della ex ministra della Difesa Marta Lucia Ramírez. Questo percorso al Congresso è organico alla politica del regime fatta di impunità e sdoganamenti dei paramilitari di Stato, al fine di reinserirli non nella tanto predicata e cosiddetta “vita civile”, ma in apparati privati di sicurezza che, con un manto di legalità, svolgano molti di quei compiti propri della guerra sporca di Uribe contro il popolo colombiano. Questo sciagurato disegno di legge, già di per sé offesa imperdonabile nei confronti delle decine e decine di migliaia di familiari delle vittime del terrorismo di Stato, contempla anche l’appalto al settore privato dei servizi di vigilanza -tra gli altri- di carceri, aeroporti ed alti rappresentanti stranieri, nonché la possibilità per le imprese di avere veri e propri dipartimenti privati di sicurezza. Uribe, che a suo tempo fu il principale promotore delle paramilitari /Convivir/, attraverso i suoi lustrascarpe parlamentari cerca disperatamente di diversificare il “portafolio armato” a disposizione del regime. In una fase in cui il buco fiscale è alle stelle, la crisi e la recessione si fanno sentire pesantemente e le forze armate sono alla corda per l’incessante agire guerrigliero e gli interminabili scandali che le lacerano, è un imperativo. Ma ancora più imperativo, per il movimento rivoluzionario e popolare colombiano, è buttarlo giù e castigare dovutamente lui e la sua cosca mafiosa che hanno usurpato la sovranità del popolo imponendo la dittatura del terrore e del narco-paramilitarismo.
 
19/06 - INQUISITI GLI AUTORI MATERIALI DELL'OMICIDIO DI MILITANTE DELL'UNION PATRIOTICA
 
Il 16 giugno scorso la magistratura colombiana ha accusato John Jairo Foronda (alias “Tetón”, catturato il 7 gennaio 2009) e Luis Alberto Bohórquez Saldarriaga di essere gli autori materiali dell'omicidio di Carlos Alfonso Tobón Zapata, portavoce del Sindacato della Colcarburos (Sintracolcarburos), membro del Sindacato Unico dei Lavoratori dell'Industria del Cemento (Sutimac) e dell'Unión Patriótica, ucciso all'età di 26 anni con 6 coltellate da alcuni sicari. L'imputazione è di omicidio con fini terroristi.
 
All'epoca dei fatti Bohórquez e Foronda erano agli ordini di Alonso de Jesús Baquero Aguilar, alias “Vladimir”, addestrato da Yair Klein (ex militare e mercenario israeliano giunto in Colombia per istruire gli “eserciti privati del narcotraffico”), e tristemente famoso perché autore di alcune fra le più sanguinose mattanze perpetrate da paramilitari nel Magdalena Medio, Santander e Antioquia. Il gruppo paramilitare “Morte ai Rivoluzionari del Nordest”, a cui faceva capo Baquero Aguilar, era agli ordini di Fidel Castaño, e risulta essere uno dei più agguerriti massacratori della Unión Patriótica, movimento politico sorto a metà degli anni ‘80 come proposta dell'insorgenza colombiana per una soluzione politica del conflitto, annegata nel sangue con un vero e proprio genocidio, attraverso l'eliminazione fisica di quasi tutti i suoi dirigenti e di migliaia di militanti. L'undici novembre del 1988, ad esempio, nel municipio di Segovia (Dipartimento di Antioquia), sotto la direzione di “Vladimir” vennero assassinate 43 persone e ferite 45, coinvolgendo nel massacro anche donne, bambini e anziani, allo scopo di eliminare i militanti della UP vincitori delle elezioni del marzo del 1988. Ad oltre vent'anni dai fatti spuntano i nomi degli esecutori materiali di alcuni omicidi del massacro dell'UP; eppure, nonostante le connessioni ormai acclarate fra politici e paramilitari, riassunte dalla formula del cosiddetto “scandalo della parapolitica”, le complicità dirette e indirette con i più alti gradi della politica non hanno ancora portato alla caduta di un governo illegale e illegittimo, tenuto a stento in piedi dall’imperialismo. Ma se la verità giudiziaria ha i tempi così lunghi, le dichiarazioni dei protagonisti stessi chiariscono il quadro generale del marciume politico-criminale dell’/establishment/ colombiano: nel suo libro “Le mie confessioni”, il defunto leader narco-paramilitare Carlos Castaño, fratello di Fidel, afferma che “la base sociale delle AUC considera [Álvaro Uribe] il suo candidato presidenziale”, “l'uomo più vicino alla nostra ideologia e filosofia”. Del resto, il carattere narco-paramilitare di Uribe è cosa nota.
 
21/06- RELATORE SPECIALE DELL’ONU: “ESECUZIONI EXTRAGIUDIZIARIE SONO UNA PRATICA SISTEMATICA”
 
Dopo dieci giorni (8-18/06) passati in Colombia ad incontrare un centinaio di testimoni, vittime e sopravvissuti, il Relatore Speciale delle Nazioni Unite per le esecuzioni extragiudiziarie, Philip Alston, ha diffuso una propria dichiarazione che é caduta sulla credibilitá del governo Uribe come un immenso, pesante macigno.
 
Nonostante le maldestre arrampicate sugli specchi del presidente narco-paramilitare, del comandante dell’Esercito e dei comandanti della II, IV e VII divisione dello stesso, che si sono riuniti con Alston per cercare di convincerlo dei presunti “passi in avanti” fatti in materia di diritti umani dalle Forze Armate colombiane, diverse verità sono state messe a fuoco e ribadite in modo incontrovertibile. Il primo: i cosiddetti “falsi positivi”, come riconosce il Relatore dell’ONU, sono in realtà “/omicidi premeditati e a sangue freddo di civili, commessi a fini di lucro/” dai militari, sempre alla ricerca di licenze e ricompense elargite in cambio di cadaveri di giovani civili spacciati per guerriglieri uccisi in combattimento. Il secondo: Alston chiarisce che si tratta non di casi isolati, ma di “/pratiche sistematiche/”, e che “/la spiegazione prediletta da molti nel governo -e cioè che le mattanze sono state realizzate su piccola scala da poche ‘mele marce’- è insostenibile/”, ed aggiunge che “/le quantità stesse di casi, la loro distribuzione geografica e la diversità delle unità militari coinvolte, indicano che /(gli omicidi)/ sono stati compiuti da un numero significativo di elementi dell’esercito/”. Il terzo: l’apparato statale in generale, e quello militare in particolare, giocano allo ‘scarica-barili’ ed al contempo avvolgono questo agghiacciante fenomeno (certamente di vecchia data) nel solito manto d’impunità. Come confermato da Alston, “/i giudici militari ignorano i dettami della Corte Costituzionale e fanno tutto ciò che è in loro potere per impedire il trasferimento dei casi chiari di violazione dei diritti umani al sistema della giustizia ordinaria/”, e “/dilungano o ostruiscono il trasferimento d’informazione, risolvono i conflitti di giurisdizione ogni volta che ne hanno l’opportunità e ricorrono abitualmente alle tattiche di dilazione/”. Inoltre, come riconosciuto dal Relatore Speciale, persiste gravemente il problema delle minacce e degli assassinii dei difensori dei diritti umani, la cui stigmatizzazione da parte di alti funzionari governativi ha criticato poiché crea un ambiente propizio alla persecuzione ai loro danni. Infine, Alston ha fatto un plauso al disegno di legge (“/Ley de Victimas/”) sul risarcimento alle vittime dei crimini commessi da militari, poliziotti, ecc. Disegno di legge pieno di lacune, ma che avrebbe lanciato un messaggio. Il carnefice Uribe, tuttavia, è intervenuto in prima persona per bloccarne l’approvazione al Congresso, perché secondo costui “era impagabile e sarebbe diventata un colpo per la Sicurezza Democratica ” (sic!) nella misura in cui avrebbe dato “agli agenti dello Stato, poliziotti e soldati, lo stesso trattamento che si da ai terroristi”. Uribe mente spudoratamente ancora una volta: i suoi soldati e poliziotti, la cui sorte dimentica cronicamente quando vengono catturati come prigionieri di guerra dall’insorgenza, sono protagonisti in prima linea del terrorismo di Stato, e come terroristi e macellai vanno trattati.
 
23/06 - FORMULATE ACCUSE CONTRO ‘DIEGO VECINO' PER OLTRE 600 SFOLLAMENTI FORZATI
 
Il procuratore dell’Unità Nazionale di Giustizia e Pace ha formulato le sue accuse contro Edward Cobos Téllez, alias ‘Diego Vecino', ex capo paramilitare del ‘/Bloque Héroes de los Montes de María/', contestandogli 663 sfollamenti forzati, 11 omicidi, 7 sequestri e 450 furti aggravati, in seguito all'incursione nel quartiere di Mampujan nella piccola città di María La Baja (Dipartimento di Bolívar), avvenuta fra il dieci e l'undici marzo del 2000.
 
Nell'udienza preliminare, mentre la Procura aveva esposto le argomentazioni a sostegno di queste accuse, il paramilitare si era dichiarato colpevole del delitto di associazione a delinquere aggravata.‘Diego Vecino' è anche accusato di porto d'armi illegale, di uso esclusivo delle Forze Armate, e uso di uniformi ed insegne delle stesse. Téllez ha riconosciuto davanti alla Corte Suprema di Giustizia che l'obiettivo delle AUC, i paramilitari colombiani, era di creare un progetto politico a livello locale, regionale e nazionale, e che i leader di questa organizzazione illegale hanno dato il loro appoggio a dirigenti politici della costa atlantica e di altre zone del paese. Ha affermato di aver conosciuto, fra gli altri, il senatore Alvaro García Romero ed il rappresentante alla Camera Eric Morris Taboada, attualmente detenuti nel carcere La Picota a Bogotá, per lo scandalo della “parapolitica” (relativo proprio ai rapporti fra politici e paramilitari). L'ex capo paramilitare ha riferito di aver tenuto diverse riunioni con dirigenti politici dei dipartimenti di Sucre e Córdoba e capi delle AUC, fra i quali Carlos Castaño Gil, in immobili di proprietà di quest'ultimo. Proseguono dunque le rivelazioni di rapporti fra militari, politici e paramilitari, delineando un quadro sempre più preciso che tiene insieme i macellai paramilitari -che hanno svolto e svolgono tuttora il lavoro sporco (minacce, sfollamenti forzati, barbare uccisioni di contadini, oppositori sociali e sindacalisti), il piano militare, che contribuisce con i mezzi tecnici e logistici, oltre che partecipando direttamente alle azioni a supporto dei /paracos/, ed il piano politico, che gestisce le strategie complessive in chiave ultrareazionaria ed è coinvolto in questo progetto a tutti i livelli, fino ai più alti gradi della politica nazionale, ivi compreso il narco-presidente Uribe, comandante in capo delle Forze Armate Colombiane.
 
25/06 - ANCORA UN DURO COLPO DELLE FARC ALLA ‘SEGURIDAD DEMOCRATICA’ DI URIBE: 7 MILITARI MORTI E VARI FERITI
 
Negli ultimi giorni i media dell’oligarchia colombiana non hanno potuto fare a meno di rendere conto, all’opinione pubblica nazionale ed internazionale, di un altro duro colpo inferto dalla guerriglia delle FARC-EP al gigantesco -e costosissimo- apparato militare della ‘/Seguridad Democrática/’ di Uribe.
 
Secondo versioni ufficiali, quando le Forze Speciali della Polizia Nazionale (le stesse che hanno ammazzato a bastonate diversi manifestanti negli ultimi anni, “rei” soltanto di esprimere in piazza il proprio dissenso) stavano perseguendo un comandante insorgente nei pressi del municipio di Timba, non lontano da Cali, sono state ricevute da un’imboscata guerrigliera a colpi d’artiglieria leggera. Le FARC-EP non hanno ancora diffuso comunicati ufficiali, ma i caduti della Polizia -7 morti, tra cui 1 ufficiale, e 4 feriti- potrebbero essere molti di più. Di fronte a quest’ennesima debacle dei cosiddetti “uomini d’acciaio” del terrorismo di Stato, propinata dal Fronte ‘Manuel Cepeda Vargas’ (così denominato in onore al senatore e direttore del giornale Voz, assassinato da agenti dello Stato il 9 agosto 1994 nell’ambito del genocidio politico dell’Unión Patriotica), lo smacco degli alti comandi militari è quantomeno imbarazzante. In loro aiuto è subito intervenuto un altro ufficiale della Polizia, presente nell’area degli scontri, secondo cui sarebbero morti anche 25 guerriglieri, tra cui il comandante ‘Enano’. Le fonti di questo ligio ufficiale sarebbero dei non meglio precisati contadini del posto, che a suo dire avrebbero “visto i guerriglieri portare via a dorso dei muli i 25 cadaveri”. Oltre al fatto che la Polizia non ha inseguito questa improponibile colonna di quadrupedi (facilmente rilevabili dall’aviazione) per attaccare i presunti guerriglieri sopravvissuti, le istituzioni militari non hanno lo straccio di una prova: non un cadavere, non un’immagine, niente di niente! E, poveretta, la Polizia questa volta non ha neanche fatto in tempo ad adescare giovani qualunque, da attirare con l’inganno per poi ucciderli a sangue freddo in modo da presentarne alla stampa i corpi, spacciati per combattenti fariani... La verità è che il regime si arrampica sugli specchi, e cerca maldestramente di spacciare per vittoria quella che è stata una sonora batosta.