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In Congo, solo la colonizzazione è stabile

Raf Custers * | investigaction.net
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

14/10/2021

Di fronte alla crisi climatica, le multinazionali e i diplomatici dei paesi occidentali stanno sollecitando il Congo ad aumentare la sua produzione di cobalto, un componente essenziale per le batterie delle auto elettriche. Aumentare la produzione di cobalto, ma a quali condizioni? Mentre gli occidentali sognano auto pulite e un pianeta più verde, i congolesi lavorano per alimentare un'industria non proprio pulita. (IGA)

Lo spirito di Berlino incombe sull'Africa. Nessuna grande potenza lascia in pace il continente, al contrario, ce la mettono tutta per guadagnare e mantenere alleanze nel loro campo. L'occasione oggi è la COP 26, il vertice sul clima a Glasgow. L'inviato statunitense per il clima, Jonathan Pershing, ha appena completato un tour da Città del Capo a Dakar, per mobilitare le persone di buona volontà. A Città del Capo erano presenti anche gli inviati per il clima di Regno Unito, Francia, Germania e UE. Una tappa obbligatoria per l'inviato americano Pershing era a Kinshasa, la capitale della provincia mineraria più ricca della terra, per usare il gergo industriale.

Pershing ha esercitato la più intensa diplomazia sul clima e ha promesso dollari per la transizione, compresa la transizione per la riduzione del carbone in Sudafrica. Ma nel Congo, Pershing ha combinato questa "corsa a zero" (verso l'azzeramento delle emissioni di gas a effetto serra) con un obiettivo strategico della massima importanza: "la corsa al cobalto". Senza cobalto, non ci sono batterie, soprattutto nell'industria automobilistica. L'industria mineraria del Congo fornisce il 60% del cobalto e l'industria occidentale vuole garanzie assolute di poter continuare a importare il cobalto dal Congo. Così come tutti gli altri metalli del sottosuolo del paese. Gli astri son favorevoli!

Il Congo è un paese impoverito. Questa è la prima ragione per la quale accetta tutte le entrate che può ottenere. Il bilancio di quest'anno è molto modesto, 7 miliardi di dollari, per un paese potenzialmente ricco con una popolazione di 87 milioni di persone. Infatti, l'industria mineraria, la linfa vitale del paese, è orientata principalmente all'estrattivismo: estrarre più minerali possibili dal sottosuolo per esportarli. Nel 2018, quando è entrata in vigore una nuova legge mineraria, i principali operatori minerari si sono opposti violentemente all'aumento delle tasse e alla prospettiva che il governo intervenga sulla norma ogni cinque anni.

Questa lobby ("il G7") era una strana alleanza di multinazionali occidentali e cinesi. Ma Félix Tshisekedi, il nuovo presidente del Congo dal 2019, sta abilmente manipolando la lobby. Tshisekedi si pone esplicitamente come filo-occidentale - si consulta settimanalmente con Mike Hammer, l'ambasciatore americano a Kinshasa. La scorsa primavera ha preso posizione contro le multinazionali cinesi, come parte di un'offensiva pianificata dal 2019. Tshisekedi ha spiegato che era stanco di "stranieri che vengono qui con niente e se ne vanno miliardari, mentre noi restiamo poveri".

E il Congo sta seguendo alle parole i fatti. Recentemente, coincidenza o meno che sia, sei aziende cinesi sono state chiuse nel Congo orientale perché estraevano senza permesso. La campagna viene accolta con favore a Washington e a Bruxelles. All'inizio di questo mese, durante il dialogo UE-Congo, la delegazione dell'UE si è anche espressa con forza contro il traffico illegale di minerali. A gennaio, l'UE ha adottato un regolamento che obbliga le aziende a controllare che le materie prime utilizzate nella loro produzione non sia frutto di inumano sfruttamento. Le esportazioni devono essere pulite, ma esportare è ancora la regola.

La gente fa un lavoro disumano, perché non può fare altrimenti, perché è drammaticamente povera. A Kolwezi, la più grande città mineraria del Congo, ho visto come vengono cercati i corpi dei minatori scomparsi; si lavora in modo artigianale, senza protezione, nel letto del fiume Musonoi, anche quando le forti piogge trasformano il fiume in un'onda anomala facendo crollare il pozzo minerario. Questi pozzi artigianali si trovano oggi ovunque intorno a Kolwezi. Decine di migliaia di persone ci lavorano, in condizioni indescrivibili. Nel corso degli anni, la loro quota di produzione è aumentata così tanto - ora rappresenta tra il 20 e il 30 per cento di tutto il cobalto estratto in Congo - che l'industria ha deciso di guardare al settore artigianale.

Al momento, conto una decina di iniziative di "approvvigionamento responsabile": percorsi per incanalare il cobalto artigianale dal Congo in modo che possa raggiungere i destinatari conosciuti. Due connazionali del consolato belga di Lubumbashi mi hanno invitato a pranzo al Golf, un club esclusivo in un'altra città mineraria nel Katanga. Hanno detto di essere molto impegnati con la Global Battery Alliance (GBA). Questa lobby di più di 70 aziende vuole che i produttori di batterie (e soprattutto di automobili) funzionino a pieno regime. La GBA sostiene di "affrontare il cambiamento climatico e sostenere lo sviluppo sostenibile", nobili slogan, ma per farlo ha bisogno di "mobilitare tutto il potenziale", comprese le materie prime delle miniere del Congo. Le aziende belghe Umicore e DEME sono membri del GBA; i diplomatici belgi a Lubumbashi sanno per chi si rimboccano le maniche.

Il risultato? Tutto il mondo vuole accedere al cobalto del Congo per - si dice - scongiurare una volta per tutte la sanguinosa crisi climatica. L'unica cosa che dura nel Congo è la colonizzazione. 87 milioni di congolesi sono lasciati indietro, senza un lavoro decente, senza un reddito decente, senza minerali, senza raffinerie, senza industria di trasformazione pulita. Mentre noi ci rinfreschiamo, loro possono sudare, come hanno fatto per secoli.

*) Raf Custers è un giornalista, scrittore e storico.


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