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- popoli resistenti - corea del nord - 29-06-09 - n. 280
Traduzione dall'inglese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
Follia o assennatezza?
di Michael Parenti in ZSpace's Page
24/06/2009
Quelle nazioni che camminano in un solco autonomo, cercando di usare la loro terra, il loro lavoro, le risorse naturali e i mercati nel modo che giudicano più rispondente ai propri interessi, lontano dall’abbraccio soffocante dell’ordine globale imposto dalle multinazionali statunitensi, spesso diventano bersaglio di diffamazione. L’equilibrio morale dei loro leader viene di frequente messo in dubbio dai funzionari e dai media degli Stati Uniti, come è avvenuto nel corso degli anni per Castro, Noriega, Ortega, Gheddafi, Aristide, Milosevic, Saddam Hussein, Hugo Chavez e altri.
Così non sorprende che i governanti della Repubblica Popolare Democratica di Corea (RPDC o Corea del Nord) vengano regolarmente descritti dai nostri politici e opinionisti come degli squilibrati. Alti funzionari del Dipartimento della Difesa parlano della RPDC come di un paese che "non appartiene a questo pianeta", governato da autocrati inadeguati. Un funzionario governativo, citato dal New York Times, si domandava "se siano davvero completamente pazzi". La rivista New Yorker li ha chiamato "svitati", e David Letterman, conduttore di un talk show che va in onda a tarda notte, ha fatto la sua parte etichettando Kim Jong Il come un "pazzo maniaco".
Ci sono però delle cose nella Corea del Nord che ci rendono perplessi, quali il suo sistema dinastico di leadership politica, il dominio dittatoriale di un solo partito e il disordine della sua economia “pianificata”.
Ma nel suo sforzo molto propagandato di diventare una potenza nucleare, la Corea del Nord in realtà dimostra più assennatezza di quanto sembri a prima vista. La leadership di Pyongyang sembra conoscere qualcosa sulla politica globale degli Stati Uniti che sfugge ai nostri politici e opinionisti. In breve: gli Stati Uniti non hanno mai attaccato o invaso una nazione che dispone di un arsenale nucleare.
I paesi martoriati da azioni militari dirette dagli Stati Uniti negli ultimi decenni (Grenada, Panama, Iraq, Libia, Somalia, Jugoslavia, Afghanistan, poi di nuovo Iraq), insiemi a numerosi altri paesi che sono stati minacciati a più riprese come "antiamericani" o" antioccidentali" (Iran, Cuba, Yemen del Sud, Venezuela, Siria, Corea del Nord e altri) hanno una cosa in comune: nessuno di essi, fino ad ora, è stato in grado di esercitare la deterrenza nucleare.
Cerchiamo di inquadrare la situazione. Dimenticate l'intera Guerra di Corea (1950-53) in cui i bombardamenti statunitensi hanno distrutto la maggior parte delle infrastrutture della RPDC e ucciso decine di migliaia di suoi civili. Si considerino solo gli avvenimenti più recenti. Nella marea di discorsi sciovinistici che hanno seguito gli attacchi contro il World Trade Center e il Pentagono dell'11 settembre 2001, il Presidente George W. Bush ha rivendicato il diritto di intraprendere ogni tipo di azione militare contro nazioni, organizzazioni e individui "terroristi" da lui individuati. Tale arbitrio, in violazione del diritto internazionale, della Carta delle Nazioni Unite e della Costituzione statunitense, ha trasformato il presidente in una specie di monarca assoluto, che poteva esercitare il potere di vita e di morte su ogni parte della terra. Inutile dire che numerose nazioni – compresa la RPDC – si sono allarmate notevolmente di questa elevazione del presidente degli Stati Uniti a re del pianeta.
Nel 2008 il Presidente Bush ha finalmente rimosso la Corea del Nord dall’elenco delle nazioni che secondo gli Stati Uniti avrebbero fornito aiuti al terrorismo. Ma c'è un'altra lista più inquietante di nemici da eliminare associata a Pyongyang. Nel dicembre 2001, due mesi dopo l'11 settembre, il Vice Presidente Dick Cheney ha parlato in modo agghiacciante di "quaranta o cinquanta paesi" che a suo avviso avevano bisogno di essere disciplinati con la forza militare. Un mese dopo, nel suo discorso alla nazione per l’anno 2002, il Presidente Bush aveva ridotto la lista a solo tre colpevoli particolarmente pericolosi: Iraq, Iran e Corea del Nord, che, ha detto, costituivano un "asse del male".
Si è trattato di un curioso accostamento di nazioni che hanno ben poco in comune. In Iraq troviamo una leadership laica, mentre l'Iran è una nazione molto vicina a essere una teocrazia islamica. I due paesi lungi dall'essere alleati, erano nemici acerrimi. Nel contempo, la RPDC non aveva alcun legame storico, culturale o geografico né con l'Iran, né con l'Iraq; ma osservava quello che stava accadendo.
La prima di essere colpita è stata l'Iraq, nazione n. 1 nella "lista ristretta" di presunti malfattori. Prima della guerra del Golfo del 1990-91 e del successivo decennio di sanzioni, l'Iraq aveva il più alto tenore di vita in Medio Oriente. Ma anni di guerra, sanzioni e occupazione hanno lasciato il paese nel caos, con le infrastrutture in frantumi e gran parte della sua popolazione intrisa di sangue e sofferenza.
Se non fosse che l'Iraq si è dimostrata un'avventura così costosa, gli Stati Uniti già da molto tempo si sarebbero mossi contro l'Iran, il paese n. 2 nella lista dell'asse del male. Come c'era d’aspettarsi, la diagnosi dei media statunitensi sul presidente iraniano Mahmoud Amadinijad è di persona "pericolosamente instabile". Il Pentagono ha annunciato che migliaia di siti chiave in Iran erano stati identificati come possibili bersagli per attacchi aerei. Minacce di ogni tipo sono state scagliate contro Teheran per le sue ricerche sull’arricchimento dell'uranio, che ogni nazione del mondo ha il diritto di fare. E in un recente programma televisivo domenicale, il Segretario di Stato Hillary Clinton ha dichiarato che gli Stati Uniti potrebbero assestare un "primo colpo" contro l'Iran per impedire lo sviluppo di armi nucleari.
Piuttosto che stare passivamente nel mirino di Washington ad aspettare il suo destino, la nazione n. 3 sulla lista statunitense di nemici da eliminare sta tentando di creare un deterrente. Questo tentativo di autodifesa da parte della RDPC è stato stigmatizzato negli ambienti governativi e sui media statunitensi come un’aggressione selvaggia. Il Segretario di Stato Clinton ha dichiarato che gli Stati Uniti non avrebbero accettato "ricattati dalla Corea del Nord". Il segretario alla Difesa Robert Gates ha tuonato: "Non staremo con le mani in mano mentre la Corea del Nord costruisce la capacità di scatenare la distruzione su paesi asiatici o su di noi". Il programma nucleare della RPDC, ammonisce Gates, è un "segno premonitorio di un tetro futuro".
Il Presidente Obama ha condannato "il comportamento belligerante e provocatorio" della Corea del Nord come una "grave minaccia". Nel giugno 2009, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite all'unanimità ha approvato una risoluzione appoggiata dagli Stati Uniti che aumenta le sanzioni finanziarie, commerciali e militari contro la Corea del Nord, un paese già duramente colpito da sanzioni. In risposta all’azione del Consiglio di Sicurezza, il governo di Kim Jong Il ha annunciato che non avrebbe più "nemmeno preso in considerazione l'idea di rinunciare alle proprie armi nucleari" e avrebbe ampliato gli sforzi di produzione.
In un precedente discorso a Cairo, Obama aveva dichiarato: "Nessuna singola nazione può arrogarsi il diritto di decidere quali nazioni possano avere armi nucleari". Ma questo è esattamente ciò che gli Stati Uniti stanno cercando di fare in relazione a un paese "ignorante e arretrato" come la Corea del Nord, e nei confronti dell'Iran. Manuel Garcia Jr., fisico e scrittore politico, osserva che la politica di Washington "è quella di incoraggiare altre nazioni a rispettare i termini del Trattato di non proliferazione nucleare, rinunciando così alle armi nucleari, esonerando però se stessa". Gli altri devono disarmarsi in modo che sia più facile per Washington imporre il suo dominio, conclude Garcia.
I leader statunitensi continuano a rifiutare di fornire la garanzia che non tenteranno di rovesciare il governo comunista di Pyongyang. Si è parlato nuovamente di aggiungere la RDPC alla lista dei sostenitori del terrorismo, anche se il Segretario di Stato Clinton ammette che mancano prove per sostenere una tale accusa.
Nella sua posizione isolata e precaria, la Corea del Nord non può non sentirsi vulnerabile. Si consideri la minaccia intimidatoria lanciata contro di essa. L’esercito obsoleto e mal equipaggiato della RPDC non è in grado di combattere contro le forze convenzionali degli Stati Uniti, della Corea del Sud e del Giappone. Gli Stati Uniti mantengono una grande base di attacco in Corea del Sud. Come ci ha ricordato Paul Sack in una sua corrispondenza al New York Times, almeno una volta all'anno l’esercito statunitense conduce esercitazioni congiunte con l’esercito della Corea del Sud, simulando un’invasione via terra alla RPDC. L’aviazione militare statunitense mantiene un "ombrello nucleare" per proteggere la Corea del Sud, con arsenali nucleari a Okinawa, Guam e Hawaii. Il Giappone non solo dice di essere in grado di produrre bombe nucleari entro un anno, ma sembra sempre più disposto a farlo. E il governo appena insediato della Corea del Sud si sta dimostrando tutt'altro che amichevole nei confronti di Pyongyang.
L'arsenale nucleare della RPDC è una lama a doppio taglio. Può essere un deterrente o un invito ad attaccare il paese. Può convincere i funzionari statunitensi a pensarci due volte prima di stringere un nodo ancora più saldo intorno alla Corea del Nord o può provocarli a una maggior aggressività in un confronto che non nessuno realmente vuole.
Dopo anni di accerchiamento e di ripetuti rifiuti da parte di Washington, dopo anni di minacce, di isolamento e di demonizzazione, i leader di Pyongyang sono convinti che il miglior modo di resistere a un attacco e al dominio da parte delle superpotenze è di sviluppare un arsenale nucleare. Non sembra un'idea così folle. Come già detto, gli Stati Uniti non hanno mai invaso i paesi che possiedono missili nucleari a lungo raggio (almeno finora).
Dopo essere stata spinta sull’orlo del precipizio così a lungo, ora la Corea del Nord è disposta a rischiare, a scommettere, alzando la posta in gioco, perseguendo quella che è una politica possibile e ragionevole di deterrenza nel mondo irragionevole configurato da un impero arrogante e vorace.