Come il governo Tudjman divideva i lavoratori
Diritti diversi ai
lavoratori di una stessa fabbrica a seconda della loro nazionalità. Il caso
della ditta “Borovo”, di Vukovar
Da Osijek, scrive Drago HEDL
Malgrado il governo del Primo Ministro Ivo Sanader cerchi di riparare alle
ingiustizie commesse dalla Croazia di Franjo Tudjman contro i cittadini di
nazionalità serba, nuovi casi emergono in continuazione da dietro le quinte.
Circa 4.000 ex lavoratori della fabbrica di gomma e scarpe “Borovo”, una delle
più grandi imprese della ex Jugoslavia, situata a Vukovar, hanno minacciato la
scorsa settimana di organizzare manifestazioni di piazza se il governo non
risponderà alle loro richieste.
I lavoratori cercano senza successo di risolvere una questione che è già stata
risolta molto tempo fa per 1.746 impiegati della stessa ditta. Poiché la
fabbrica è stata distrutta durante la guerra e i lavoratori hanno perso il
proprio lavoro, lo Stato gli ha corrisposto una indennità in misura di 1.500
kune (circa 200 euri) per ogni anno di impiego. Questa indennità, tuttavia, è
stata assegnata a soli 1.746 operai, mentre più di 4.000 altri lavoratori della
“Borovo” non hanno mai ricevuto un centesimo.
Ci si potrebbe logicamente chiedere quali fossero le differenze tra gli ex
lavoratori della “Borovo”. Per di più, sapendo che i 65 milioni di kune (poco
meno di dieci milioni di euri) spesi per il pagamento delle indennità sono
stati raccolti con la vendita degli immobili e di altre proprietà della
“Borovo”, che erano state prodotte in modo uguale da tutti i lavoratori. La
risposta è semplice: la differenza tra i lavoratori sta nella loro nazionalità.
La nazionalità dei 1.746 lavoratori che hanno ricevuto l’indennità è croata,
mentre gli altri 4.000 lavoratori impiegati dalla stessa ditta, che non hanno
mai ricevuto alcuna compensazione, sono Serbi. Tuttavia, per nascondere il
fatto che la Croazia discriminava i propri cittadini in base alla loro
nazionalità, il sistema di Tudjman aveva trovato una soluzione per decidere chi
avrebbe ricevuto l’indennità. Quando Vukovar fu presa e le formazioni
paramilitari serbe sono entrate in città insieme all’Esercito Popolare
Jugoslavo (JNA), la direzione della “Borovo” ha chiesto ai lavoratori, il 3
dicembre 1991, di prendere contatto con la nuova direzione della fabbrica a
Zagabria. La nuova direzione ha inserito gli impiegati nell’organico, pagato i
loro salari, garantito la assicurazione sanitaria e sociale. In altre parole,
si sono più o meno presi cura di loro.
Questo, tuttavia, è stato il caso per i soli 1.746 lavoratori di nazionalità
croata che hanno lasciato Vukovar prima o dopo la caduta della città.
Al tempo, era assolutamente impossibile che i lavoratori della “Borovo” di
nazionalità serba andassero a Zagabria a contattare la nuova, temporanea,
direzione della compagnia. Non avrebbero potuto in nessun modo andare a
Zagabria dalla ex “Krajna” – il nome che i ribelli serbi avevano dato alla
propria formazione statale creata dopo la cattura di Vukovar e della Slavonia
orientale. I Serbi rimasero a Vukovar o trovarono rifugio presso i propri
parenti in Jugoslavia o Bosnia Erzegovina. Dal momento che non presero contatti
con Zagabria, tutti e 4.000 furono collettivamente licenziati.
La maggior parte dei lavoratori della “Borovo” di nazionalità serba che
rimasero a Vukovar o nei villaggi vicini, governati dai ribelli serbi,
continuarono a lavorare in quello che rimaneva della “Borovo”. Questo accadde
fino all’inizio della reintegrazione pacifica del 1996, allorché la lettera di
intenti del governo croato promise ai lavoratori che avrebbero ricevuto un
riconoscimento per gli anni di impiego una volta che la reintegrazione fosse
terminata, e che sarebbero stati messi nella condizione di continuare il
proprio lavoro. Quello che accadde fu invece l’esatto contrario. Il 15 gennaio
del 1998, alla fine del periodo di reintegrazione pacifica, i lavoratori non
ricevettero nulla.
“Malgrado ovviamente non ci siano
spiegazioni che dichiarino che il motivo per il quale l’indennità e altri
diritti – attribuiti ai lavoratori di nazionalità croata – non siano
riconosciuti agli altri perché sono Serbi, tutti capiscono molto bene quello
che sta accadendo”, afferma Petar Miletic, avvocato di Vukovar che
rappresenta i 4.000 lavoratori della “Borovo”. Miletic ha fatto appello alla
Corte Distrettuale di Vukovar, ma la questione non è ancora stata portata in
giudizio per motivi procedurali.
Milan Grahorac, che rappresenta i 4.000 lavoratori che chiedono il
riconoscimento dei propri diritti, ha inviato una lettera al Primo Ministro Ivo
Sanader alla fine di gennaio 2004, nella quale sottolinea la discriminazione
operata nei confronti dei lavoratori della ex fabbrica di Borovo. In quanto
rappresentante dei lavoratori di Borovo, Grahorac chiede aiuto al Primo
Ministro. Se questo non arriva, scrive Grahorac, i lavoratori dovranno
rivolgersi alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo a Strasburgo.
Sanader ha risposto che in quanto Primo Ministro del Governo ha l’obbligo di
proteggere i diritti di tutti i cittadini della Repubblica di Croazia,
indipendentemente dalla loro appartenenza religiosa o nazionale, e ha inoltrato
la lettera al Ministro della Giustizia, chiedendo a lei di risolvere la
questione. Sanader ha inoltre aggiunto di auspicare che la questione venisse
risolta in un Tribunale croato, e che l’intervento di Strasburgo non fosse
necessario.
“Malgrado la risposta di Sanader possa
rallegrarci - dichiara Petar Miletic, il legale che rappresenta i
lavoratori della “Borovo” - purtroppo
non fa che confermare la discriminazione attuale. Sanader ci fa andare in
Tribunale, e non vuole risolvere il problema nel modo in cui è stato risolto
senza Tribunali, e con l’aiuto del Governo, per 1.746 lavoratori di nazionalità
croata.”
Mirko Grahorac afferma che la loro pazienza ha un limite e che aspetterà ancora
poco per vedere se c’è buona volontà per risolvere il problema. “Se non riceviamo una risposta positiva entro
l’inizio di questa estate organizzeremo manifestazioni e blocchi stradali, come
hanno fatto i 1.746 lavoratori di nazionalità croata prima di ricevere la loro
indennità. Se questo è l’unico modo per ottenere quello che gli impiegati
croati, che hanno lavorato con noi fino al 1991, hanno già ottenuto –
sceglieremo questa possibilità. In questo modo la opinione pubblica croata, e
sfortunatamente anche quella internazionale, scopriranno che, indipendentemente
da quanto lo si voglia negare, esiste in Croazia una enorme discriminazione su
base nazionale”, conclude Grahorac.
Fonte:
da Osijek, Drago Hedl © Osservatorio sui Balcani