www.resistenze.org - popoli resistenti - costa avorio - 05-05-11 - n. 363

da Counter Punch - www.counterpunch.org/serumaga04122011.html
Traduzione dall'inglese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
Soldati di cioccolato
 
L’occidente rende la Costa d’Avorio sicura per il cacao
 
di Kalundi Serumaga
 
12/04/2011
 
La migliore indicazione della profondità della crisi in Costa d’Avorio si trova proprio nel suo nome. Per quanto oggi sia conosciuta come principale fornitore mondiale di cacao, inizialmente lo era come luogo in cui si trovava l’avorio. Era, chiaramente, nelle vicinanze di una costa dove si trovava l’oro e nell’area costiera dove generalmente si compravano gli schiavi. Solo merci. Mai persone.
 
Attualmente si pensa, con ottimismo, che il paese possa ritornare ad essere la forza trainante della regione. Tuttavia, la realtà della storia del paese indica che l'ingresso di Allassane Ouattara nel Palazzo del Governo non è più una preoccupazione come la presidenza di Laurent Gbagbo. Se è certamente vero che circa il 54% degli elettori ha votato per Ouattara, ciò significa che quasi la metà, il 46% che ha votato Gbagbo, ha votato contro. Parlare con disinvoltura a cittadini impoveriti di vincitori e di perdenti in queste circostanze, può quindi essere controproducente, soprattutto quando il risultato minaccia il loro sostentamento.
 
La crisi attuale sembra avere un’antica risonanza storica: il patrimonio economico della regione è sempre stato più importante per il mondo, che per la gente che ci vive. Questo può aiutare a spiegare perché, nonostante il fatto che le persone siano politicamente divise quasi a metà, le potenze occidentali sono improvvisamente determinate a garantire che un risultato elettorale africano, per quanto marginale, sia pienamente attuato, non importa quanto potere militare debba essere mobilitato.
 
Tutto questo nemmeno in difesa di un’economia, ma per una materia prima dalla quale dipendono alcuni sfortunati elettori africani. Questo risultato occulta, però, un malessere molto più profondo, che potrebbe portare il paese verso decenni di instabilità se non ci si porranno onestamente le domande fondamentali sulle sue origini. L’economia del cacao della Costa d'Avorio è cresciuta molto di più che la capacità della popolazione originaria di lavorarlo e con questo sono cominciati decenni di crescente dipendenza dalla manodopera immigrata dai paesi vicini. Qui, comincia la reale storia della crisi.
 
La base settentrionale d'appoggio dell'uomo dichiarato vincitore nelle fatidiche elezioni di novembre, comprende generazioni di discendenti di migranti che arrivarono nel paese per soddisfare le necessità di manodopera dell’industria del cacao. Oggi compongono quasi la metà della popolazione e il loro status nel paese è stato sottoposto a controllo legale e giravolte politiche che vanno dal considerarli immigrati clandestini fino a dichiararli nuovi cittadini naturalizzati.
 
Questa oscillazione ha prodotto un più profondo problema di "ansia da status" tra gli autoctoni, che all'inizio del progetto coloniale si consideravano ivoriani originari mentre sono stati quasi superati in numero dai lavoratori stranieri, coloro che Gbagbo, nella sua disperazione, ha cercato di rappresentare. I due eserciti che si sono scontrati nella terra delle zanne d’elefante, stavano marciando in parallelo fino alla morte di queste due narrazioni contraddittorie e, in ultima analisi, sterili per i cittadini africani contemporanei.
 
La cultura autocratica creata dall’esigenza francese di un uomo forte post coloniale, Houphouet Boigny, dà a intendere che ci sarebbero stati pochi meccanismi per mitigare politicamente e contenere questo problema.
 
L'Unione Africana, nel frattempo, si è adeguata all’obiettivo di mantenere tutti gli antichi Stati-piantagione così com’erano quando partirono gli europei e pertanto la sua posizione è conosciuta. Ha insistito affinché l'assediato Gbagbo accettasse la scelta degli elettori e si allontanasse. Gbagbo certamente non aveva il diritto di insistere ad essere il presidente di quella gente che, per sua stessa ammissione, nemmeno sa per chi ha votato, se per lui o per il suo avversario.
 
Inoltre, se fosse veramente il campione degli indigeni del sud della Costa d'Avorio - come ora pretende - probabilmente non avrebbe il diritto di aspirare a diventare presidente del dispositivo coloniale che persegue la graduale erosione di tale identità pre-coloniale, per facilitare ulteriormente il saccheggio coloniale e post coloniale. L’ufficio presidenziale africano offre tutti gli strumenti sbagliati per cercare di capire - per non parlare di risolvere - le complicazioni causate dall’avventura imperiale araba ed europea in Africa.
 
I candidati alla presidenza corrispondono quindi alla descrizione di "due uomini calvi che stanno lottando per un pettine". A dimostrazione della mancanza di lungimiranza strategica per non aver riorientato la sua politica verso qualcos’altro che non facesse discendere tutta la legittimità dallo Stato stesso, che ruba ai nativi che millanta di rappresentare, lo stesso Gbagbo è stato completamente battuto. E’ rimasto escluso dai più importanti centri decisionali politici, diplomatici e finanziari. La vera sfida politica non era tanto quella di decidere chi aveva vinto, quanto come risolvere la questione degli sconfitti. La guerra di Ouattara stessa è nata dalla sconfitta dei settentrionali negli scontri precedenti.
 
Al centro di ciò vi è la grande questione che non può essere menzionata nella politica africana: gli africani dovrebbero accettare l'artificialità in cui vivono, a beneficio della salvaguardia economica della proprietà straniera o trovare un modo per riaffermare la loro vera identità? Se vale il quest'ultimo, cosa fare con l’odierno migrante africano? Chi garantirà una vita migliore per tutti? Pertanto agli africani prima si nega ogni diritto di appartenenza e dopo si accetta che lo ottengano solo a scapito della privazione dei diritti di altri. Si può supporre che delle elezioni regolari risolverebbero questo dilemma. Ma la Costa d'Avorio non è l'unico paese africano con problemi insoluti di cittadinanza e di identità, questo nega quindi l’aspirazione al diritto di partecipazione civica. In Uganda, il presidente Museveni è stato costretto a concedere ufficialmente proprio questo punto a causa della pressione popolare, quando i nativi di Bunyoro, ricco di petrolio, esigerono che i lavoratori immigrati da altre parti del paese fossero esclusi dalle cariche elettive nella regione.
 
La tragedia finale per la Costa d'Avorio non è che Gbagbo sia stato cacciato con la forza delle armi, ma che qualcun altro sia stato sostituito con gli stessi mezzi. Ed ancora non si conosce il vero registro elettorale.
 
Kalundi Serumaga è un attivista politico e culturale che vive a Kampala.
 

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