Granma, Cubaweb 29/10/02 Joaquin River Tur
(Estratto e traduzione a cura di Flavio
Rossi)
Non è un terremoto, ma senza dubbio in America Latina le strutture politiche si
stanno scuotendo.
Non si sa quanti secoli di sopportazione possono gravare sulle popolazioni
senza trovare soluzioni ai loro problemi, ma c’è sempre un limite a qualunque
patimento: o arriva la cura o arriva la morte,
e da queste parti le cosiddette politiche d’arrembaggio hanno aggravato
le piaghe.
Che sta succedendo? Perché nel continente stanno capitando fenomeni che secondo
l’interpretazione occidentale si possono etichettare come confuse rivolte
populiste e addirittura vengono dipinte come pericolose?
Nessuno si può spiegare quanto è successo in Venezuela, chi avrebbe detto
che un leader uscito dall’ambiente militare avrebbe fatto suo un linguaggio di
giustizia e rivendicazioni nazionali e popolari, e sarebbe riuscito a
trascinare con sé una marea popolare con forza a sufficienza per radere al suolo
i partiti tradizionali della cosiddetta democrazia rappresentativa, e
proclamare la necessità di creare la democrazia partecipativa, condannandoli a
morte. E’ stata una campagna pericolosa per il sistema costituito. I poveri,
gli emarginati, i dimenticati, sono piombati d’improvviso su di un palazzo di
governo proprio nel momento in cui si applicava la politica delle riforme
strutturali secondo i dettami del libero mercato, del neoliberismo, o più
chiaramente, del capitalismo selvaggio.
Quello che è successo in Venezuela doveva continuare in Argentina, dov’è esplosa la
ribellione di milioni di disoccupati, che sembra non finisca più, e che ha
fatto saltare in mille pezzi tutte le ortodossie fondomonetariste, applicate
implacabilmente da governi che si preoccupano di pagare un debito estero che
dovrebbe essere abolito, ma non cercano neppure di curare le malattie sociali
che erodono la nazione.
In Bolivia
rimanevano tutti di stucco per la forza di Evo Morales, un dirigente dei
contadini cocaleros che ha guidato una vera valanga di contadini e poveri
afflitti da miserie umilianti.
In Brasile
s’è vista l’ondata di voti che ha trascinato Lula per due volte, per una peso
politico che è difficile da valutare a causa delle dimensioni del più grande
paese sudamericano. La vittoria del leader del Partito dei lavoratori ha già
avuto una ripercussione mondiale ed una interpretazione antiliberale unanime.
La stanchezza della maggioranza della popolazione cresce. Le ristrettezze si
sono sentite anche nel piccolo Uruguay, fino ad ora chiamato la Svizzera
del Sudamerica, dove la disoccupazione ha scatenato una corrente d’opposizione
ai piani economici del presidente Jorge Battle, e gli abitanti alla
disperazione si rivolgono all’Incontro Popolare - Fronte Ampio, generando così un’altra minaccia
elettorale.
Il colonnello Lucio Gutierrez ha provocato l’ultimo stupore in Ecuador
quand’è arrivato con la sua truppa schierata alla vetta della prima tornata
elettorale. Che vinca le elezioni presidenziali o no –dipende da molti fattori
– la sua vittoria nel giro d’inizio dimostra che si sta per scatenare la stessa
tormenta, perché l’hanno votato gli indios e i lavoratori, ansiosi di scuotersi
di dosso le politiche neoliberali. Perfino il Wall Street Journal ha
riconosciuto che al Sud ne hanno fin sopra i capelli di politiche neoliberali.
Questo è ciò che succede nel Sudamerica. E succede per togliersi il giogo
liberista. Non so quanto rimarrà, ma si muove, ed è già qualcosa.