dal quotidiano
messicano ‘La Jornada’, giovedì 2 gennaio 2003
Cuba nel
2003
di Angel Guerra Cabrera
I risultati economici e sociali di Cuba confermano l'azzeccata strategia di
inserimento nell'economia mondiale adottata dall'Isola dopo il collasso dell'URSS.
Il PIL cubano è cresciuto nel 2002 dell’1.1 % in un ambiente internazionale
molto sfavorevole in cui l'America Latina ha visto cadere il suo prodotto a uno
0.5 %, approssimativamente, rimanendo a livelli per abitante inferiori a quelli
del 1997. Cuba è riuscita a mantenere il dinamismo e la crescita della sua
economia nonostante il fatto che il turismo abbia subito una contrazione del 5
%, che siano caduti i prezzi delle esportazioni tradizionali e che vi sia stata
un'onerosa erogazione di valuta per la fattura del petrolio - superiore ai
mille milioni di dollari - dovuta a interruzioni della fornitura proveniente
dal Venezuela e al rialzo della quotazione internazionale del grezzo. A questo
va aggiunto il passaggio di tre uragani in meno di un anno che hanno
danneggiato seriamente l'agricoltura, gli immobili e l'infrastruttura e,
naturalmente, gli investimenti nella difesa nazionale ai quali obbliga la
pronunciata aggressività mostrata attualmente in ambito internazionale dal
potente vicino del nord. Se facciamo il paragone con l'America Latina del
periodo 1994-2001, abbiamo che in questo lasso di tempo l'economia cubana è
cresciuta con una media annua del 4.1 %, mentre nel resto della regione la
crescita media è stata a dell’1.3 %. Ma il PIL è un concetto ingannevole come
indice della qualità della vita, perché frequentemente la sua crescita non è
accompagnata da uno sviluppo e nel caso di Cuba non riflette importanti servizi
nei campi educativo, culturale, della salute e dell’assistenza sociale offerti dallo
Stato a margine delle relazioni monetario-mercantili. Risulta paradossale, per
esempio, il caso del Perù che nel 2002 ha ottenuto una crescita del 4.5 % - la
più alta della regione - mentre quasi la metà della sua popolazione patisce la
povertà e un quarto l’indigenza, la disoccupazione urbana si avvicina al 10 % e
l'analfabetismo all’11 %.
Considerato tutto questo, non ha esagerato il deputato cubano Osvaldo Martínez
quando ha affermato che quello trascorso è stato un anno di “piccola crescita e
di grande sviluppo”. Nel 2002 Cuba ha introdotto 50.000 computer nel suo
sistema scolastico, ha ristrutturato o ha costruito ex-novo la totalità delle
scuole elementari di La Habana affinché vi fosse una capienza massima di 20
alunni per aula, ha iniziato un lavoro identico nel resto del paese, ha
edificato nuove scuole di arte, ha ampliato in modo tangibile l'insegnamento
dell'informatica, ha dato impulso a rilevanti programmi culturali di massa e ha
aperto un canale televisivo educativo che arriva a quasi a tutte le scuole e
che gode del favore del pubblico in generale per la qualità dei suoi programmi.
Ha iniziato un ampio programma di assistenza sociale personalizzato per quelli
che hanno maggiori difficoltà, che comprende l'assistenza ai bambini con scarso
nutrimento e ha ridotto la disoccupazione al 3.3 % attraverso lo sviluppo
dell'agricoltura urbana con coltivazioni idroponiche che già dà lavoro a
320.000 persone, e attraverso l'applicazione del nuovo concetto sul “lavoro di
studiare” che dà un contributo per migliorarsi a circa 120.000 giovani
disoccupati e a decine di migliaia di lavoratori in eccesso dopo la chiusura di
impianti dello zucchero.
Allo stesso tempo, la concentrazione di investimenti in settori chiave come
l'energia ha cominciato a dare frutti apprezzabili con l'aumento del 26 % della
produzione di petrolio – ha superato i 4 milioni di tonnellate - che insieme
all’ammodernamento dell'industria elettrica permetterà di raggiungere nel 2003
il massimo della capacità di generazione elettrica con grezzo nazionale, un
progresso strategico per un'economia il cui tallone di Achille è la dipendenza
energetica dell'estero. La stessa cosa è accaduta con l'industria turistica che
è già arrivata a 40.000 camere.
Se Cuba, sottoposta al blocco degli Stati Uniti, è riuscita a mantenere il
recupero della sua economia, a riscattare i suoi programmi sociali emblematici
e a intraprenderne altri nuovi è perché si è rifiutata nella maniera più
assoluta di accettare le politiche neoliberiste e ha perseverato nella sua
rotta socialista. Una rotta singolare rispetto ad altre esperienze in quanto ha
collocato sempre in primo piano l'etica, la pratica dell'equità, la giustizia
sociale e l'internazionalismo al di sopra di qualunque altra considerazione economica o del pragmatismo.
In ogni caso, ha tentato di rimanere sempre dell'idea che l'obiettivo
principale della costruzione socialista è la trasformazione dell'essere umano e
ha rettificato per tempo quando si è accorta di una deviazione da
quell'obiettivo.