www.resistenze.org - popoli resistenti - cuba - 21-11-03

Cuba: Il tortuoso cammino verso l’indipendenza


di Diego Colosio, ASC-TI - dedicato ad Angela Massari

Introduzione
Un po’ di storia
L’uomo al centro
La mela marcia ossia l’impegno umanitario internazionale

Diritti umani bistrattati
La recrudescenza del terrorismo
Davide terrorista?
Opinione pubblica e informazione
Specchietto informativo: L’intervento degli USA nel mondo


Introduzione

Gli eventi dell’aprile 2003 dell’Avana relative all’applicazione della pena di morte per tre dissidenti cubani (così furono classificati dalla stampa internazionale, ma da un’analisi più attenta risulta che erano persone responsabili di atti di terrorismo) hanno scatenato nel mondo occidentale un’ondata di denunce e condanne al regime cubano che , a nostro avviso, si basa su visioni riduttive del problema. Respingiamo da subito la visione manichea della destra politica, il cui fine è unicamente quello di screditare Cuba perché rappresenta un fastidioso esempio di denuncia e resistenza alla penetrazione dell’imperialismo neoliberale.

Esiste però anche un altro universo di critiche che nasce da sincere preoccupazioni per il futuro della società cubana, ma che secondo noi si basa su valutazioni di natura troppo idealistica e che riducono eccessivamente il discorso al campo giuridico. Sottolineiamo, a scanso di equivoci, che il nostro intento non è quello di giustificare la pena di morte, anzi, auspichiamo che questa pratica venga debellata a livello planetario. Ma questo sarà possibile in un mondo migliore che purtroppo non è quello attuale: questo è un mondo profondamente ingiusto e pieno di lacerazioni. Da un lato il sistema economico produce ogni anno un esercito di vittime umane,  d’altro canto la superpotenza americana esercita una  politica estera sempre più aggressiva che non rinuncia ad utilizzare i mezzi più iniqui come il terrorismo o l’appoggio attivo a colpi di stato, pur di garantirsi la propria supremazia nei paesi del terzo mondo, produttori di materie prime e di mano d’opera a basso costo.

Al coro di denunce si è associata anche l’area di sinistra e progressista. Queste critiche contro l’applicazione  della pena capitale si basano però su una cronaca dei fatti riduttiva e fuorviante. Ricordiamo come esempio fra tanti il periodico tedesco “Der Spiegel” che titolava : “Fucilati a Cuba tre dissidenti”, ma non fa nessuna menzione dei fatti reali che portarono a quella decisione e non si parla della vasta campagna terroristica che fa da sfondo alla vicenda. Questo è il risultato della martellante propaganda che ha radici nella destra nordamericana e che tende a costruire eventi che giustifichino la sua politica aggressiva, nel caso specifico, un’eventuale invasione dell’isola caraibica (allo scettico ricordiamo la montagna di bugie che hanno giustificato l’intervento in Iraq). Ma forse la carenza di notizie è dovuta anche alla pigrizia intellettuale di tanti giornalisti che finiscono con l’adeguarsi acriticamente al flusso di notizie che giungono da oltre atlantico.

La riduzione del problema alla questione della dissidenza interna riporta in primo piano la contrapposizione dei tempi della guerra fredda fra il bene e il male, mondo occidentale democratico e comunismo repressivo e serve per giustificare la qualifica di “Stato terrorista” o “Stato canaglia”. Si tratta di una assiologia formale e astratta, ma enunciati prescrittivi generali non servono per risolvere una difficoltà concreta: è necessaria un’etica materiale, cioè di contenuti. Cuba, con il blocco nordamericano, vive in stato di assedio ed è costretta a reagire di conseguenza. È un meccanismo consueto nella storia e, ricordiamolo, si è verificato anche in Svizzera durante la guerra mondiale, con una restrizione delle libertà democratiche e pure delle fucilazioni.

Una pur sommaria visione della storia della rivoluzione cubana mostra per contro quanto siano errate queste contrapposizioni. La via di Cuba è la via verso l’indipendenza politica ed economica di un paese del terzo mondo, per l’affermazione della propria identità, per la salvaguardia di valori umani e sociali bistrattati in larghe parti del mondo.

Cuba non è un’anomalia, un caso a parte nella storia dell’America Latina. Il cammino verso l’indipendenza è stato intrapreso da numerosi altri paesi del subcontinente, ma tutti questi tentativi furono schiacciati da colpi di stato e dalla repressione, e quasi sempre con l’intervento decisivo e a volte diretto degli Stati Uniti. Il Cile e il Nicaragua sono soltanto i casi più clamorosi, perché gli USA non hanno mai smesso di sostenere, con l’appoggio finanziario e militare, le dittature fasciste che si sono susseguite per decenni nella regione.

Non da ultimo va ricordato l’esempio che Cuba rappresenta per le popolazioni diseredate del terzo mondo con il suo servizio civile volontario nei settori della salute, educazione e costruzione. Non c’è quindi da stupirsi se negli ambienti governativi degli USA si parla de “La mela marcia che va eliminata dal paniere”, come ha suggerito Henry Kissinger.
In questo contesto una condanna acritica di Cuba per i fatti di aprile non fa che alimentare la propaganda dei falchi di Washington, senza peraltro contribuire ad una chiarificazione della problematica all’interno della società cubana.

Condividiamo la posizione di Noam Chomsky quando risponde ai critici di Cuba, anche quelli onesti: “…gli effetti di questa critica non sono sorprendenti: saranno del tutto nulli sul regime cubano, ma serviranno certa­mente ai torturatori di Washington o di Miami per continuare la loro campagna di sofferenze da infliggere alla popolazione cubana. Credo che nessuna persona mo­rale sia disposta a contribuire a questo risultato.”

Un po’ di storia

Nell’ottocento una delle prime scelte della politica estera nordamericana fu la decisione di T.Jefferson, Quincy Adams ed altri di portare Cuba nella sfera d’interesse statunitense: il piano di Adams consisteva “nell’aspettare che Cuba ci cadesse in mano come un frutto maturo, secondo la legge di gravità politica”. Alla fine successe, dopo l’uscita di scena della Spagna in America centrale, che gli USA estesero il loro controllo e la governarono con i soliti metodi fino al 1959.

Quando nel ’56 iniziò la lotta armata contro la dittatura di Batista il gruppo dirigente della guerriglia era formato da personalità già conosciute all’opinione pubblica cubana. In particolare il giovane Fidel Castro Ruz era emerso nel panorama politico parecchi anni prima, quando ancora era studente e poi neolaureato in giurisprudenza. La sua arringa di difesa al processo per il fallito assalto del 1953 al Moncada (“La storia mi assolverà”), si fonda su principi di libertà, indipendenza e di lotta al colonialismo che potevano essere largamente condivisi in un’ottica del pensiero liberale occidentale. Le tendenze marxiste non sono ancora presenti in questo momento e quindi la sezione analitica della CIA americana non giudicò opportuno un intervento statunitense e lasciò che la nuova dirigenza si insediasse al potere, questo anche perché la dittatura batistiana aveva raggiunto livelli di barbarie insostenibili. Probabilmente l’amministrazione nordamericana giudicò che, attraverso gli usuali metodi di corruzione praticati in America Latina si potesse facilmente “convincere” il nuovo governo ad adeguarsi alle regole del neocolonialismo, in modo che gli interessi economici degli USA fossero di nuovo garantiti.

Fu un errore: il movimento rivoluzionario era un movimento composito, ma non populista e fortemente ancorato agli ideali repubblicani e indipendentisti dettati da José Marti (eroe e intellettuale cubano nella lotta per l’indipendenza dal colonialismo spagnolo e contro l’interventismo nordamericano). Il nuovo governo si dimostrò fin dall’inizio incorruttibile e fermamente intenzionato a portare avanti quelle misure politiche necessarie  per sottrarre il paese dall’asservimento al potente vicino. Di capitale importanza fu la prima riforma agraria che permise al paese di riappropriarsi dell’industria zuccheriera e di ridistribuire ai contadini la terra dei latifondi di grandi dimensioni. Il conflitto con gli USA fu inevitabile, questi ultimi ordinarono un primo blocco commerciale verso Cuba in modo da strangolarne l’economia, ma anche questa misura si dimostrò un errore di valutazione.

Nel 1961 truppe mercenarie, reclutate ed equipaggiate negli USA e con il supporto della marina nordamericana, falliscono il tentativo di invasione dell’isola denominato “Sbarco della Baia dei Porci”. Subito dopo il presidente Kennedy decretò il lancio di una massiccia offensiva terroristica denominata “Operazione Mangusta” e realizzata dalla sezione operativa della CIA con un budget annuo di 50 milioni di dollari e un contingente di 2'500 dipendenti. L’operazione aveva come base la Florida ed era totalmente illegale (“covert operation” secondo la denominazione corrente della CIA). L’operazione Mangusta è la più importante azione terroristica internazionale finora condotta nel mondo (presumibilmente è tuttora in corso: dirigenti cubani lo affermano e numerosissimi accadimenti lo testimoniano, ma i documenti ufficiali statunitensi finora declassificati risalgono a più di 20 anni fa).

Nel 1962 con la crisi dei missili (il confronto avvenuto  fra USA e URRS a proposito dei missili sovietici istallati sull’isola) Cuba sceglie l’unica possibilità che rimaneva aperta per garantirsi il distacco definitivo dal retaggio nordamericano, e cioè la scelta di campo socialista. Il commercio con i paesi dell’Est europeo, nonostante l’enorme distanza, ha permesso nei 30 anni che seguirono uno sviluppo economico particolarmente alto rispetto agli altri paesi della regione. La rivoluzione cubana riservò particolare impegno alla creazione di un capitale umano, grazie a massicci investimenti nei settori dell’educazione, della cultura e della salute: questo sforzo ha collocato il paese, per quanto riguarda questi settori, a livelli paragonabili ai paesi ricchi del mondo (USA compresi). Nei primi anni 90, la caduta dei regimi socialisti dell’Est europeo provocò il marasma economico (caduta del commercio estero dell’80%), ma il regime sopravvisse, e questo sembra un miracolo.
Il seguito della storia è recente, ma di tale importanza da meritare un esame a parte.

L’uomo al centro

Contrariamente all’opinione corrente, Cuba è sempre stata un banco di sperimentazione dinamico e innovativo fin dall’inizio della rivoluzione nel 1959: nulla di paragonabile alla staticità dei regimi socialisti dell’Est europeo. Lo può testimoniare il visitatore  che si è recato sull’isola in vari periodi ed ha trovato ogni volta nuove realtà e nuovi problemi da risolvere. Ma soprattutto colui che ha viaggiato anche in altri paesi dell’America Latina può confermare le profonde differenze che intercorrono fra le due realtà: da una parte stridenti contrasti fra ricchezza e miseria, analfabetismo, mancanza di assistenza sanitaria, dall’altra una sforzo costante per risolvere questi mali endemici e con risultati convincenti.

Fino al 1959 Cuba era rimasta la zuccheriera del mondo, per soddisfare il fabbisogno degli Stati Uniti, un commercio che garantiva ricchezza ad una ristretta casta borghese, abbandonando la maggioranza della popolazione nella più totale indigenza. Si era avverata la profezia di José Martí: “Gli americani credono nella necessità, nel diritto barbaro, come unico diritto: questo sarà nostro perché ne abbiamo bisogno”. E  ancora: “Il popolo che compra, comanda. Il popolo che vende, è schiavo. Bisogna equilibrare il commercio per assicurare la libertà”.

È proprio l’insegnamento di Martí a guidare i rivoluzionari cubani: rifiutare la sudditanza economica e mettere l’uomo con i suoi diritti fondamentali e l’identità latinoamericana al centro delle riforme. Una nuova situazione, in stridente contrasto con le realtà dei paesi vicini, che innesca da subito il conflitto con gli USA e provoca successivamente il noto spostamento di Cuba verso il blocco socialista. La contrapposizione con gli USA non è quindi generata dai classici meccanismi della guerra fredda ma da ideali indipendentisti propriamente latinoamericani.

Le riforme incidono profondamente nei settori agricolo e industriale, ma specialmente nel settore sociale come sanità, educazione e cultura si verificano risultati elevatissimi e rappresentano il fiore all’occhiello del paese. I cubani non mancano di ribadire che i confronti vanno fatti con altre nazioni del terzo mondo, ma non celano il loro orgoglio quando sottolineano che nel settore sociale ed educativo i risultati sono paragonabili a quelli del primo mondo.
Bastano pochi dati statistici comparativi per dimostrarlo (vedi tabelle)

SANITÀ

1958

2001

Mortalità infantile (per 1000 nati vivi)

60.0

6.5

Speranza di vita (anni)

62

75

Medici

6’286

67’128

Dentisti

250

9877

Pensionati

154’000

1'410’000

Letti ospedalizzati

28’536

70’927

Spese in salute per abitante (dato partenza 1959)

3.04

161.87



EDUCAZIONE E CULTURA

1959

2001/02

Scuole

7’679

12’195

Personale insegnante

22’798

218’036

Biblioteche (dato partenza 1963)

27

361

Gallerie d’arte (dato partenza 1963)

9

131

Case di cultura (dato partenza 1975)

33

308



DATI COMPARATIVI (ANNO 2002)

America Latina

Cuba

Mortalità infantile (per 1000 nati vivi)

30

6.5

Speranza di vita (in anni)

70

74.4

Medici per ogni 100'000 abitanti

160

590

Infermieri per ogni 100'000 abitanti

69

743

Letti ospedalizzati per ogni 100'000 abitanti

220

631.6

Tasso di analfabetismo (%)

11.7

0.2

Tasso scolarizzazione (scuola media in %)

70

99.7



Nemmeno durante il “Periodo speciale” (anni novanta con la caduta del commercio con i paesi socialisti) questo impegno fu allentato, perché si decise che piuttosto bisognava “tirare la cinghia” (riduzione a livelli estremamente bassi del consumo).
Dai primi anni del 2000 la situazione va migliorando e l’impegno è stato intensificato.

Nulla è perfetto, e nemmeno la società cubana, ma gli incontestabili successi la fanno emergere nel contesto latinoamericano. Da qui deriva il termine “Threat of a good example” (paura del buon esempio) utilizzato negli ambienti governativi nordamericani. Questa paura non deriva soltanto dai successi interni, ma pure dalla politica internazionale cubana che si manifesta in particolare con un massiccio programma di sostegno ed aiuto ai paesi poveri del mondo.

La mela marcia ossia l’impegno umanitario internazionale


“Il vero crimine di Cuba non è mai stato la repressione, che, comunque la pensiate, non si è mai nemmeno avvicinata al genere di repressione che abbiamo di solito appoggiato, anzi incentivato, nei paesi limitrofi. Il vero crimine di Cuba sono stati i suoi successi in settori come la sanità e l'alimentazione, e il generico pericolo dell’ ”effetto dimostrativo” che ne consegue, cioè il pericolo che la gente di altri paesi possa provare a imitarli. Per questo la vedono come la mela marcia che potrebbe rovinare il paniere facendo cadere a pezzi l'intero sistema imperiale. Per trent’anni Cuba ha fatto cose semplicemente intollerabili, come inviare decine di migliaia di medici per aiutare la gente che soffre nel Terzo mondo o sviluppare le biotecnologie in un paese povero che non ha altra scelta, oppure permettersi servizi sanitari più o meno al livello dei paesi avanzati e ben diversi da quelli del resto dell'America Latina.”

Così si esprimeva Noam Chomsky in un dibattito pubblico di qualche anno fa negli Stati Uniti. Nel frattempo le cose non sono cambiate: Cuba ha continuato sulla strada dell’aiuto umanitario, anzi lo ha intensificato. Questa è la risposta che dà alla violenza dell’imperialismo nordamericano, nel contesto della campagna chiamata “battaglia di idee”.

In “World Press Review” (dic.1988, pp. 30-32) si legge:”…per i  cubani, il servizio internazionale è un segno di coraggio personale, maturità politica e un’ attitudine senza compromessi contro il nemico imperialista. Nelle scuole si insegna che l’assistenza civile è la più alta virtù…”
E bastano poche cifre a testimoniarlo (stessa fonte):

“oggi, più di 10'000 cubani tra medici, insegnanti, lavoratori dell’edilizia e ingegneri lavorano in 37 paesi di Africa, Asia e America Latina…”;
“Cuba ha più medici all’estero che le nazioni industrializzate, e più dell’Organizzazione Mondiale della Salute del ONU”.
“Paesi come l’Angola ricevono da Cuba aiuto medico gratuito. Per avere medici da organizzazioni internazionali, l’Angola dovrebbe invece pagare 1'500 – 2'000 $ al mese per medico…”

Fonti cubane più recenti forniscono i seguenti dati:
”Collaboratori cubani in servizio all’estero tra il 1963 – 2001: 156'273 di cui 55'493(America Latina), 80’929(Africa), 9’975(Medio Oriente), 6’382(Asia)”.

Si commenta da sé la conclusione che sempre Chomsky tira:
“ Non sono cose tollerabili per la potenza americana, sarebbero inaccettabili ovunque nel Terzo mondo e lo sono ancor più in un paese che dovrebbe essere una colonia degli Stati Uniti. Ecco il vero crimine di Cuba.”

Diritti umani bistrattati

Nel mondo d’oggi le multinazionali esercitano innumerevoli pressioni alla ricerca di condizioni di lavoro aperte e flessibili: assicurare una libertà totale alle imprese senza nessun controllo statale e riduzione dei diritti sindacali. In nome del profitto si giustifica tutto: utilizzazione del lavoro infantile, lavoro in forma di schiavitù, attentati all’ambiente, in sostanza “privatizzare i profitti e socializzare le perdite”. Due decenni di liberismo economico hanno portato ad una radicalizzazione dei contrasti nel mondo, e lo si evince da pochi dati statistici:

- Nel 1980 il debito estero dei paesi del terzo mondo ammontava a 567 miliardi di dollari, vent’anni dopo questi paesi avevano pagato in interessi 1’600 miliardi (cioè tre volte tanto), nel frattempo il debito è aumentato a 2'500 miliardi (quattro volte la somma iniziale);
- Secondo i dati dell’ONU il divario fra paesi ricchi e poveri è fortemente aumentato: il 20% della popolazione mondiale concentra l’86% del consumo, il 20% più povero consuma l’1,4%, il 20% della popolazione (praticamente il mondo industrializzato) riceve 60 volte di più del 20% dei più bisognosi.
- Questa situazione paradossale è causata in larga misura dalle imposizioni delle istituzioni creditrici come BM e FMI che sollecitano privatizzazioni forzate e drastici tagli alla spesa pubblica, il che comporta un enorme costo sociale: si ricordino soltanto i 25'000 bambini che muoiono giornalmente come conseguenza dei problemi relativi al peso di questo debito.

Il governo cubano ha intrapreso una via per molti versi alternativa: senza nulla togliere alle esigenze dello sviluppo economico si privilegiano aspetti umani e sociali con una tensione etica che è diventata estranea al mondo politico occidentale. Nei paesi ricchi è un discorso difficile da digerire, siamo troppo abituati a leggere la politica come un semplice insieme di esigenze economiche. Le tensioni ideologiche ed etiche di una Politica con la P maiuscola sembrano scomparse dal nostro vocabolario.

Ma volevamo parlare di diritti umani ed abbiamo parlato invece di condizioni economiche. Il fatto è che i cubani rivendicano l’importanza dell’impiego sociale che un paese fa delle sue risorse finanziarie. Non possiamo che condividere questa impostazione. Con questo non vogliamo sottovalutare gli aspetti giuridici dei diritti umani: riteniamo fondamentale la lotta contro la pena di morte, la tortura, l’incarcerazione abusiva e tutto quanto lede i diritti fondamentali dell’individuo. Ma questo non è sufficiente: l’iniqua ripartizione delle risorse nel mondo, lo stridente contrasto fra opulenza e miseria deve indurre ad assegnare all’aspetto economico il peso che merita. Di fronte a un tale quadro è necessario considerare le condizioni di vita, in particolare la salute, l’educazione e la cultura, l’abitazione e la nutrizione, come pilastri fondamentali nella definizione dei diritti umani alla vita per ciascun abitante di questo pianeta. Non sottolinearlo diventa un’ipocrisia, perché in tal caso i paesi ricchi (“democratici”) figurano tutto sommato come i “buoni”, mentre che dovrebbero farsi carico della maggior responsabilità dei crimini commessi nel mondo. Non è da sottovalutare l’affermazione che circolava su internet a ridosso dell’11 settembre: “Oggi sui mass media centinaia di pagine sui 3’000 morti delle torri gemelle, sui 25’000 bambini morti quello stesso giorno a causa del nostro sistema economico nemmeno una riga”.

La recrudescenza del terrorismo

La caduta del blocco socialista ha provocato a Cuba una repentina riduzione del commercio estero dell’80%. Gli Stati Uniti hanno pensato che fosse il momento per un’ulteriore intensificazione del blocco economico: in particolare nel settore alimentare e sanitario. È risaputo che quest’ultimo settore rappresenta il fiore all’occhiello del paese e un inasprimento del blocco di quei prodotti avrebbe creato malcontento fra la popolazione e facilitato un rovesciamento del regime: finalmente, come propiziato molto tempo prima da Adams, il frutto maturo sarebbe caduto. La nuova situazione ha fatto precipitare il paese in uno stato di estrema indigenza, ma l’esperimento indipendentista cubano non ha potuto essere fermato: un profondo riassetto dei settori politico, sociale ed economico sta contribuendo, nonostante le numerose difficoltà, alla ripresa del paese.

La nuova amministrazione Bush è consapevole del fatto che, nonostante tutto, il cammino indipendente di Cuba potrebbe continuare ed ha fortemente intensificato l’azione terroristica contro l’isola. Il blocco economico va avanti malgrado le numerose risoluzioni di condanna dell’assemblea generale delle Nazioni Unite ( il 13 novembre 2002 per l’undicesima volta consecutiva con 173 voti contro i 3 di USA, Israele e le Isole Marshall). I nuovi falchi di Washington hanno nel cassetto anche un piano d’invasione dell’isola, come testimoniano alcune manovre militari, ma è necessario avere dei pretesti per farlo. Questo spiega la nuova strategia della tensione seguita dal presidente George W.Bush.

Non bisogna inoltre dimenticare un altro importante motivo interno agli USA: la rielezione del fratello di Bush a governatore della Florida dipende molto dal sostegno massiccio della comunità cubana anticastrista, mafia compresa (anche l’elezione presidenziale di Bush d’altronde, con i brogli elettorali di cui si è largamente parlato, è dipesa proprio da questo Stato). L’amministrazione americana non fa mistero dei suoi propositi nemmeno nelle sue dichiarazioni ufficiali: Cuba “Stato canaglia”, “fiancheggiatore del terrorismo” e in modo ancor più esplicito “Stato terrorista”.

Sinceramente a tutt’oggi nessuno è a conoscenza di atti di terrorismo condotti da Cuba, a meno che Davide sia terrorista e Golia un liberatore.

Davide terrorista?

Apparirebbe buffo a chiunque l’idea di condannare il Davide della Bibbia. Davide inerme che si difende contro il filisteo Golia, il prepotente (Bibbia, 1. libro dei Re, 17). Eppure Davide conduce una lotta irregolare, in modo subdolo e con un’arma, la fionda, che non rientra nei canoni della guerra classica. Il messaggio della Bibbia è comunque chiaro: il diritto inalienabile del debole a difendersi dai soprusi con i mezzi che ha a disposizione, quando questo è giustificato dalla bontà dei suoi propositi.

Quando nell’aprile 2003 scoppiò la polemica internazionale sulle pesanti condanne pronunciate all’Avana, nell’indifferenza generale venivano confermate negli Stati Uniti delle durissime pene a cinque cubani accusati di “cospirazione”, e che sono tuttora incarcerati in condizioni durissime. Soltanto l’intervento di personalità come Nadine Gordimer, premio Nobel per la letteratura hanno potuto alleviare un po’ la loro situazione.

Bisogna tornare all’amministrazione precedente quando Clinton e Castro avevano intrapreso un dialogo diplomatico per condurre una lotta comune al terrorismo. In quest’ottica i cinque agenti cubani, infiltrati nelle maglie del terrorismo anticubano negli USA avevano trasmesso, tramite l’Avana, informazioni alla FBI . Beffa della sorte: è proprio attraverso queste informazioni che i cinque agenti antiterrorismo furono arrestati. M. Leonard Weinglass, prestigioso difensore dei diritti civici, afferma: “Il governo degli Stati Uniti li ha incolpati perché stavano per avvicinarsi troppo alla sua propria rete terroristica”. Si può capire che lo spirito collaborativo fra i due governi si sia deteriorato. D’altro canto diventa plausibile l’irrigidimento di Cuba nei confronti del terrorismo e dello spionaggio economico condotto da agenti nordamericani e da mercenari assoldati.

Nel frattempo l’amministrazione americana nomina all’Ufficio di Interesse Americano dell’Avana  James Cason, un falco legato a un gruppo di estrema destra; vi si trova ugualmente anche Otto Reich, un personaggio implicato nell’affare Iran-Contra e nella guerra terroristica condotta contro il Nicaragua ed altri tutt’altro che disponibili ad un dialogo aperto. Ora, le buone norme della diplomazia suggerirebbero, in un’ottica di riavvicinamento fra due Stati in conflitto, che si incaricassero persone intenzionate sinceramente a svolgere un’azione conciliatrice: con le sue scelte Washington dimostra inequivocabilmente la propria malafede.

Cason è giunto all’Avana con un budget di circa 2 milioni di dollari e l’intenzione dichiarata (in conferenze stampa) di “rovesciare il regime”, creando così una situazione di tensione. Cason coinvolge nelle sue attività un gruppo di cubani, attratti da favori in beni e denaro, e che ottengono un lasciapassare permanente alla sua sede ( permesso concesso altrimenti solo a pochi responsabili governativi cubani).

Wayne Smith, precedente responsabile dello stesso Ufficio lasciato a Cason, ebbe a dire sul “El nuevo Herald” di Miami (20.3.2003): “L’attitudine di Cason e le sue riunioni con oppositori rientrano in un disegno dell’amministrazione Bush di provocare il governo cubano…È una trappola tesa al suo governo”. Come si vede, l’atteggiamento di Cason è intollerabile nell’ambito di normali rapporti diplomatici e avrebbe provocato in qualsiasi paese del mondo, Svizzera compresa, la chiusura di quell’Ufficio. Il governo cubano invece giudica importante tenere aperto questo spiraglio verso gli Stati Uniti e ha optato per la diffusione a livello internazionale di informazioni dettagliate sul caso. Chi avesse interesse può ottenere facilmente la trascrizione della conferenza stampa del ministro degli esteri cubano, Felipe Pérez Roque, del 9.4.2003.

Cuba si è trovata di fronte ad un vero dilemma: mantenere una linea morbida rischiando una forte recrudescenza del terrorismo, oppure scegliere la linea dura e subire un coro generale di condanna. Ha prevalso la risposta dura che i cubani giustificano con una serie di fatti che certamente non sono di dettaglio.
Innanzitutto va ricordato che il terrorismo a Cuba ha provocato 2000 morti e 3000 mutilati. Ma anche la politica d’immigrazione nordamericana non è da sottovalutare: una legge concede a qualsiasi cubano che metta piede sul suolo degli USA la residenza automatica; dei 20'000 visti annui che, secondo accordi, dovrebbero essere concessi ne vengono però elargiti pochissimi, stimolando di conseguenza l’immigrazione clandestina. Parecchi dirottatori girano a piede libero negli USA, in barba alle regole internazionali contro il terrorismo, continuando la loro attività anticubana negli ambienti malavitosi di Miami, e Washington rifiuta persino la restituzione di aviogetti e imbarcazioni.

Sembra una beffa, ma gli Stati Uniti inviano note di protesta a Cuba avvertendo che qualora Cuba non fosse capace di fermare questi atti le autorità statunitensi avrebbero considerato la situazione come una minaccia alla loro sicurezza nazionale.
Tutti questi fatti rappresentano un serio presagio che Washington stia cercando il pretesto per intervenire contro l’Isola. E certo gli Stati Uniti non scherzano: lo dimostra l’aggressiva politica estera che perseguono da mezzo secolo (vedi Specchietto informativo).

Opinione pubblica e informazione

Chi si è formato un’opinione sulla base dell’informazione occidentale corrente rimane sorpreso dagli intricati retroscena della vicenda, nulla si sapeva dei fatti e delle implicazioni sul caso delle condanne dell’Avana dell’aprile 2003. Beh, questo vuol dire che la macchina propagandistica della destra nordamericana funziona bene. Ma vuol dire anche che l’Europa, e di nuovo, si è dimostrata molto debole. I mezzi d’informazione occidentali hanno parlato di fucilazioni e dure condanne carcerarie contro dei dissidenti ma non si fa nessuna menzione dei fatti reali che hanno portato a quelle decisioni, non si parla di terrorismo. Certo, la dissidenza, seppur in misura esigua, esiste a Cuba, lo ha ammesso lo stesso Castro alla manifestazione dello scorso primo maggio all’Avana facendo però una chiara distinzione fra terrorismo e critica democratica.

Tutto questo ha confuso persino la sinistra, Cuba ha ricevuto dure critiche anche da organizzazioni amiche. Il peggio non sono però le critiche, è legittimo esprimere la propria disapprovazione per l’applicazione della pena di morte, ma il fatto che si sono sommate in certa forma alla campagna della destra. Non ci si rende conto della situazione di grave minaccia che subisce Cuba e si finisce per fare il gioco della destra americana. Ad esempio si è parlato in Italia di un boicotto turistico. Il parlamento italiano, con il voto della destra, ha approvato una mozione che sollecita l’Unione Europea a realizzare un embargo economico contro l’Isola; un paragrafo dice persino di unirsi al blocco nordamericano. In Spagna sono state discusse quattro mozioni nel parlamento, tutte ugualmente dure. L’Unione Europea ha deciso di abbassare il livello e l’intensità dell’interscambio con Cuba, sono state sospese visite già fissate e in  altri casi sono stati ridotti i componenti delle delegazioni. Emerge la determinata intenzione dell’amministrazione americana di convincere gli alleati ad associarsi al blocco.

Dopo la caduta del campo socialista il governo cubano sta sperimentando nuove vie, allontanandosi dai vecchi modelli. Il paese si è aperto al commercio con il mondo occidentale, sta introducendo forme di impresa privata e sta sperimentando nuove strutture democratiche. Questo però tenendo saldi i principi fondanti della sua rivoluzione, nello spirito di José Martí, come la salvaguardia di valori umani, culturali e sociali, e soprattutto con la ferma opposizione all’imperialismo americano.

Gli Stati Uniti sono preoccupati perché i passi di riavvicinamento di Cuba all’America Latina e i fermenti in atto nel subcontinente, si ricordi in particolare Brasile e Venezuela, fanno presagire che “la mela marcia” potrebbe davvero contaminare il paniere. Pensiamo che l’Europa debba perseguire una politica chiara di sostegno a queste nuove tendenze in America Latina (e più in generale nel mondo). Non soltanto per un fatto di giustizia, ma perché urge creare nuovi e più giusti equilibri.
Dopo lo strappo indotto dall’invasione dell’Iraq in Europa si è ricominciato a parlare di riavvicinamento delle due sponde dell’Atlantico. Ma che cosa ci fa pensare che questa politica sia la più giusta? L’Atlantico non potrebbe invece allargarsi?



Specchietto informativo: L’intervento degli USA nel mondo

“Siamo una brutale forza terroristica di enorme potenza e chi ci mette i bastoni tra le ruote finisce nei guai. Nessuno pesta i piedi allo zio Sam.” Noam Chomsky, prof. M.I.T. Boston USA

Penetrazione economica e politica:

La BM e FMI sono due organismi internazionali nei quali gli USA hanno un largo predominio. Attraverso di essi si elargiscono crediti ai paesi del terzo mondo, ma imponendo condizioni che garantiscono la penetrazione di imprese capitalistiche multinazionali.

Interventi armati diretti

Anni ’40

Seconda guerra mondiale

Anni ’50

Guerra di Corea

anni 60 –70

Guerra del Vietnam (con l’impegno di 500'000 marines)

1965, Rep. Dominicana

 23'000 marines invadono l’isola.

Primi anni ’70, Cambogia

invasione e bombardamento del paese e appoggio delle forze parlamentari di destra in una guerra civile durata fino al ’75 (centinaia di migliaia di morti)

1983, Grenada

invasione dell’isola per eliminare il governo che cooperava con Cuba.

1986, Libia

bombardamento del paese perché gli USA non riconoscono le acque territoriali del golfo della Sirte.

1989, Panamà

invasione del paese per sbarazzarsi di Noriega (ex collaboratore della CIA divenuto scomodo)

1991, Iraq

prima guerra del golfo (con la NATO)

1993, Somalia

operazione “Restore Hope”, 10'000 morti somali (in maggioranza civili) contro 26 marines (vedi New Left Review, No. 230, pp. 131-144)

1996, Bosnia

intervento con la NATO

1999, Kossovo

intervento con la NATO e bombardamento della Serbia

2000: Afganistan

Rovesciamento del regime talebano

2003, Iraq

Senza il consenso dell’ONU, seconda guerra del golfo


Interventi indiretti o clandestini

La programmazione e gestione di interventi di questo tipo viene generalmente assegnata alla CIA
La CIA è strutturata in due sezioni:
- sezione analitica: si occupa di investigare sulle tendenze politiche degli stati in modo da fornire elementi di strategia generale per definire la politica estera americana)

- sezione operativa: quando, per ragioni di opinione pubblica interna, i mezzi della diplomazia non sono sufficienti e nemmeno è possibile intervenire direttamente con l’esercito in una determinata nazione, si ordina una “covert operation” (operazione illegale). A volte la sezione operativa realizza piani in totale indipendenza e all’insaputa dello stesso governo. Essa opera con vari mezzi a dipendenza della situazione:
il finanziamento della corruzione per propiziare uno spostamento politico a proprio favore,
il finanziamento del terrorismo per l’eliminazione fisica di esponenti politici scomodi o per seminare il panico fra la popolazione locale,
pianificazione di misure per creare il caos economico e propiziare il rovesciamento di un governo ostile,
manipolazione dell’informazione e annientamento della stampa indipendente,
collaborazione all’organizzazione di colpi di stato,
il reclutamento e l’addestramento di eserciti mercenari da inviare nei paesi interessati,
l’utilizzo di Stati mercenari in modo da offuscare le prove di responsabilità (il più importante è Israele, ma ci sono anche Taiwan, Sudafrica, Corea del Sud, Panama e Arabia Saudita in funzione di finanziatrice)
Rifornimento in armi a governi e dittature di destra.

Le principali operazioni illegali

1947/48, Italia

La prima “covert operation” della CIA. Intervento nella contesa elettorale con il sostegno finanziario a partiti filoamericani (DC,P.repubblicano, …) con “fondi non documentati”. Interventi per provocare una spaccatura all’interno del movimento sindacale (futura CISL) finalizzati alla creazione di sindacati contrattualisti e corporativi.

1953, Iran

rovesciamento del governo e insediamento della dittatura Reza Palevi

1954, Guatemala

rovesciamento del governo democratico di Jacopo Arbenz perché la riforma agraria promossa contrastava con gli interessi della United Fruit Company.

Anni ’60, Equador e Guyana britannica

destabilizzazione dei governi democratici di José Velasco e Cheddi Jagan.

Anni ’60, Laos

operazioni clandestine in ampia scala contro il movimento del Pathet Lao che appoggiava il Vietnam del Nord.

Anni ’60, Cuba

operazione Mangusta, certamente la più colossale operazione terroristica che coinvolgeva 2'500 dipendenti con un budget annuo di 50 mio di dollari. L’azione terroristica contro Cuba è tuttora in corso. Prevedeva una lunga serie di operazioni terroristiche, di cui alcune andate a buon fine come distruzione di uno stabilimento industriale (400 morti), affondamento di pescherecci, esplosione di aerei civili, distruzione di alberghi. Non andarono in porto i numerosi tentativi di assassinio di Fidel Castro (esistono le prove di almeno 8 su documenti declassificati nordamericani, i cubani affermano che ve ne furono 600)

1965, Indonesia

Rovesciamento del governo di Sukarno e insediamento della dittatura Suharto (uno dei peggiori assassini di massa dai tempi di Adolf Hitler) con il massacro da parte dell’esercito di circa 500'000 persone (in maggioranza braccianti agricoli e contadini senza terra, vedi Amnesty Internation Report)

1965 - 67, Bolivia

supporto alla dittatura militare per l’annientamento della guerriglia e assassinio di  Che Guevara.

1970, Cambogia

coinvolgimento della CIA nel colpo di stato contro il principe Sihanouk che portò al potere il dittatore Lon Nol. Sihanouk era accusato di posizione neutrale nei confronti dei Vietcong.

1973, Chile

organizzazione di azioni per provocare il caos economico nel Cile di Salvador Allende, fornitura di supporto logistico ai militari e organizzazione del colpo di stato, addestramento di quadri per la repressione dell’opposizione e nelle tecniche di investigazione di polizia e tortura.

1975 , Timor Est

autorizzazione (Kissinger) e appoggio attivo all’invasione del paese da parte dell’Indonesia di Suharto, allo scopo di rovesciare il nuovo governo indipendentista del Fretilin. Questa politica ha provocato un numero di morti paragonabili ai massacri di Pol Pot in Cambogia.

Anni 70 – 90, Latinoamerica

fornitura di armi ai regimi di destra e dittature militari .

Anni 60 – 70

Supporto logistico all’assassinio di Trujillo (Rep. Dominicana), Ngo Diem (Vietnam), generale Schneider (Chile), Patrice Lumumba (Congo).

anni 70 – 80 Africa

 penetrazione in vari stati, generalmente con il supporto di Israele come agente.

Anni ’80, Guatemala

appoggio logistico alle forze armate della dittatura e squadroni della morte, con la cooperazione di Israele,  per la repressione dei movimenti popolari e indigeni. Il numero di morti è imprecisato, ma ammonta certamente a molte decine di migliaia

Anni ’80, Iraq

Sostegno al regime di Saddam Hussein nella guerra contro l’Iran.

Anni ’80, El Salvador

liquidazione delle organizzazioni politiche popolari per rinsaldare un tradizionale regime latinoamericano. Distruzione della stampa indipendente ed eliminazione di oppositori politici e sindacalisti fra cui anche religiosi

Anni ’80, Nicaragua

Azioni miranti a destabilizzare il governo sandinista. In particolare sostegno in armamento, addestramento e logistico ai mercenari CONTRAS.

Anni ’80, Afghanistan

Sostegno ai gruppi islamici di resistenza all’occupazione sovietica.

Anni ’80 Angola

sostegno militare al movimento UNITA contro il governo angolano

1990, Haiti

sorprendente vittoria di Aristide contro Bazin (delfino degli USA) e conseguenti azioni di sabotaggio all’economia del paese.