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L'addio che risuona: la lettera d'addio del Che a Fidel

Rafael Hidalgo Fernández | razonesdecuba.cu
Traduzione da italiacuba.it

06/10/2025



Sessant'anni fa, nell'aprile del 1965, Ernesto Che Guevara (14/06/1928-09/10/1967) scrisse una delle lettere più emblematiche del XX secolo, quella che indirizzò a Fidel Castro come addio. Per i valori intrinseci che contiene, dovrebbe essere oggetto di rilettura e riflessione periodica. Ma non come esercizio di archeologia politica, bensì per affrontare le contraddizioni del nostro tempo e rispondere ad alcune delle domande chiave che esso pone, soprattutto nei campi dell'etica e della politica. In entrambi i casi, la lettera interpella e induce alla meditazione.

Con uno stile impeccabile, in 605 parole, il Che sintetizza il suo percorso cubano tra il luglio 1955 e il momento della sua partenza verso "altre terre", alla fine di marzo del 1965. Inoltre, fornisce ragioni essenziali che aiutano a comprendere il significato paradigmatico che hanno avuto alla fine i suoi rapporti con Fidel e con il popolo cubano che, come egli stesso riconosce, "è già mio".

Dall'inizio alla fine, ogni enfasi e ogni precisione del testo ispira a comprendere meglio perché il Che sia stato accolto da quel popolo come un figlio che non smette mai di sorprendere in virtù della validità senza tempo delle sue idee, della forza che emana dalla sua coerenza e dalla sua vita esemplare, in particolare come leader rivoluzionario che ha trasformato l'austerità e il sacrificio quotidiano in tratti distintivi difficili da eguagliare: due ragioni che, da sole, spiegano perché la sua figura interpelli e compunti tanto i veri rivoluzionari, e irriti in egual misura coloro che non lo sono, anche se si atteggiano a tali.

La lettera, letta da un Fidel visibilmente commosso il 3 ottobre 1965, non solo segnò la fine della presenza fisica del Che nella Rivoluzione Cubana, come uomo di idee avanzate e costruttore creativo e indispensabile, ma divenne anche un simbolo di lealtà rivoluzionaria, internazionalismo e impegno anti-imperialista, indispensabili per la conservazione di quest'altra triade: la Rivoluzione, il Socialismo e l'Indipendenza di Cuba in qualsiasi circostanza.

Sei decenni dopo, il contenuto del testo invita ad approfondire, in modo particolare, i fattori da cui è emersa, si è sviluppata e consolidata una delle più belle e istruttive relazioni di fratellanza nel campo rivoluzionario, quella tra lui e Fidel.

Identificare questi fattori costituisce una necessità e un dovere politico e intellettuale quando non sono pochi i silenzi inspiegabili nel campo rivoluzionario riguardo alla vita e all'opera del Che, e quando abbondano le manipolazioni malintenzionate, soprattutto tra i nemici della Rivoluzione Cubana, nell'affrontare il rapporto tra lui e il leader che ha sempre elogiato con umiltà, probabilmente senza rendersi conto della sua grandezza.

Scritta nella seconda metà di marzo, prima della sua partenza da Cuba, la lettera viene consegnata senza data il 1° aprile, affinché venga divulgata al momento opportuno. Quel momento diventa inevitabile con la chiusura della riunione costitutiva dell'attuale Partito Comunista di Cuba, quando viene presentato il suo primo comitato centrale.

In queste circostanze era necessario spiegare al popolo perché una figura emblematica e indispensabile per la vittoria del 1° gennaio 1959 e per la realizzazione dei cambiamenti dei primi sei anni della Rivoluzione al potere non figurava come membro del massimo organo collegiale del nuovo partito. Questo fatto costituì inoltre la prima conferma ufficiale del motivo storico per cui Che era partito da Cuba. Rappresentò anche la necessaria smentita alla serie di speculazioni malsane promosse al riguardo dai nemici della Rivoluzione.

Per il suo stile sintetico e concreto nel descrivere per iscritto le sue esperienze, le sue idee e le sue percezioni sulla vita a Cuba, merita di essere condiviso quasi nella sua interezza. Lo dimostrano i riferimenti che seguono, la cui sequenza di idee è rispettata:

"In questo momento ricordo molte cose, quando ti ho conosciuto a casa di María Antonia, quando mi hai proposto di venire, tutta la tensione dei preparativi.

Un giorno sono passati a chiedere chi avvisare in caso di morte e la reale possibilità che ciò accadesse ha colpito tutti noi. Poi abbiamo saputo che era vero, che in una rivoluzione si vince o si muore (se è vera)".

"Sento di aver adempiuto alla parte del mio dovere che mi legava alla Rivoluzione Cubana nel suo territorio e ti saluto, saluto i compagni, saluto il tuo popolo che è ormai anche il mio".

"…credo di aver lavorato con sufficiente onestà e dedizione per consolidare il trionfo rivoluzionario…"

"… La mia unica colpa grave è quella di non aver riposto maggiore fiducia in te fin dai primi momenti della Sierra Maestra e di non aver compreso con sufficiente chiarezza le tue qualità di leader e di rivoluzionario".

"Ho vissuto giorni magnifici e al tuo fianco ho provato l'orgoglio di appartenere al nostro popolo nei giorni luminosi e tristi della crisi dei Caraibi. Raramente uno statista ha brillato più di te in quei giorni, sono anche orgoglioso di averti seguito senza esitazione, identificandomi con il tuo modo di pensare, di vedere e di valutare i pericoli e i principi".

"Altre terre del mondo richiedono il contributo dei miei modesti sforzi. Io posso fare ciò che a te è negato dalla tua responsabilità alla guida di Cuba ed è giunto il momento di separarci".

"Nei nuovi campi di battaglia porterò con me la fede che mi hai instillato, lo spirito rivoluzionario del mio popolo, la sensazione di adempiere al più sacro dei doveri: combattere l'imperialismo ovunque si trovi, questo conforta e cura ampiamente qualsiasi lacerazione".

"Se la mia ora definitiva arriverà sotto altri cieli, il mio ultimo pensiero sarà per questo popolo e specialmente per te. Ti ringrazio per i tuoi insegnamenti e il tuo esempio, al quale cercherò di essere fedele fino alle ultime conseguenze delle mie azioni. Mi sono sempre identificato con la politica estera della nostra Rivoluzione e continuo a farlo".

Come emerge dai contenuti selezionati, la lettera induce immediatamente a cercare di capire perché, nella prima conversazione tra i due, Fidel decida di proporre a Che di diventare uno dei futuri membri della spedizione liberatrice. Quanto sapeva, in quel momento, del giovane argentino, già noto ad alcuni esiliati cubani che erano passati dal Guatemala, tra cui Ñico López? Cosa potrebbe aver detto Raúl Castro a Fidel su Ernesto e perché ha facilitato lo storico scambio? Il fatto inequivocabile è che loro furono i primi due membri del futuro Granma.

Due fattori rendono difficile rispondere alla prima domanda: ciò di cui hanno parlato in modo approfondito tra loro non è mai trapelato e la politica di integrazione della missione di liberazione non prevedeva l'incorporazione di stranieri.

La proposta al Che, di conseguenza, emerge come una decisione di carattere eccezionale, che oggi è impossibile fondare su fonti documentali, anche se sarebbe fattibile un'approssimazione delle ragioni che l'hanno originata, a partire da: a) i ripetuti esempi di lealtà e reciproca ammirazione tra loro; b) le posizioni politiche e ideologiche di identico contenuto che avevano su temi centrali come l'antimperialismo e l'internazionalismo; e c) se notiamo il modo comune di ragionare e agire in politica a partire dalle richieste, dai bisogni e dalle aspettative del popolo. Ma questo esercizio va oltre le esigenze del presente testo.

L'essenziale qui è che una decisione di carattere eccezionale ha permesso l'emergere di un simbolo dai molteplici significati: il Che. E che uno di questi si è espresso in un ambito vitale per il presente della Rivoluzione Cubana e dell'insieme delle forze rivoluzionarie: quello dell'etica politica.

Solo un esempio: in un mondo dominato dal pragmatismo, dall'individualismo e dalla ricerca del beneficio personale all'interno del "vale tutto", la rinuncia del Che a cariche e gradi, al calore della sua famiglia e ai riconoscimenti spontanei di un popolo che lo ammirava, pur di seguire i suoi ideali di lotta a favore di altri popoli, la sua decisione si scontra frontalmente con le tendenze sopra descritte e ci lascia con questa domanda: a cosa sono disposto a rinunciare per le mie convinzioni?

La domanda vale sia al singolare che al plurale. E rimanda a Cuba e alla Rivoluzione, a ciò che entrambe richiederanno a ogni patriota sincero in un contesto esterno ostile e in uno interno che ha molte rettifiche da fare, ma con il popolo organizzato come protagonista consapevole e decisivo.

La possibilità di perdere la vita: appare nella lettera a Fidel e in altre dello stesso tenore, ai suoi figli e ai suoi genitori. Ciò che afferma al riguardo rimanda, ancora una volta, a una personalità che ha trasformato la coerenza e il servizio agli altri in valori quotidiani. Per questo osservatore, la caratteristica che spicca è la serena valutazione di una delle opzioni possibili quando si partecipa a una lotta rivoluzionaria, non una predisposizione al martirio, né tantomeno una visione fatalista.

A questo proposito, è suggestiva la lettera che indirizza ai figli: all'inizio avverte che, se «dovranno mai leggere questa lettera, sarà perché io non sarò più tra loro». Ma la conclude in modo commovente e che induce alla riflessione: «Addio figlioli, spero di rivedervi ancora».

Affrontare con serenità la possibilità della morte per una causa superiore non solo ispira il massimo rispetto, ma ci pone, come cubani, di fronte a un probabile dilemma: è bene non dimenticare che finché esisterà l'imperialismo, l'unica soluzione di valore sufficiente sarà vedere il popolo cubano in ginocchio, ci saranno gravi pericoli all'orizzonte e bisognerà essere disposti a tutto per salvare l'opera creata e per migliorarla in tutto ciò che è possibile con i propri sforzi.

Due affermazioni potrebbero essere considerate come riferimenti di modestia da preservare: a) "Sento di aver adempiuto alla parte del mio dovere che mi legava alla Rivoluzione Cubana nel suo territorio"; e b) "… credo di aver lavorato con sufficiente onestà e dedizione per consolidare il trionfo rivoluzionario…". Entrambe vere, ma modeste, in grado supremo, rispetto al contenuto multiforme dei suoi contributi alla Rivoluzione, sia nella politica interna che nella fase fondazionale delle proiezioni internazionali, statali e politiche di Cuba.

Non a caso è stato per Fidel, in entrambi i campi, un interlocutore leale, colto e indispensabile, con un pensiero strategico che gli ha permesso di anticipare e segnalare contraddizioni che poi la vita ha confermato. Non è affatto esagerato affermare che, per la validità delle sue idee sul piano politico, ideologico, economico ed etico, il Che è uno dei pilastri teorici della Rivoluzione cubana e un simbolo di come, nella pratica, le parole e le azioni dei leader rivoluzionari debbano andare di pari passo. Non a caso, Fidel disse a Gianni Miná che a volte sognava di parlare con il Che.

Per quest'ultimo - una caratteristica che Fidel deve aver ammirato molto, poiché faceva parte della sua stessa etica politica - la critica e l'autocritica erano per la pratica rivoluzionaria come l'aria è per respirare e vivere. Anche quando le cose andavano bene, entrambi cercavano sempre di migliorarle. È ciò che sarebbe strettamente equivalente a "perfezionare".

Questa pratica era essenzialmente associata a un altro valore centrale, la sincerità. Ciò spiega perché Fidel abbia valutato questa affermazione ("… La mia unica colpa grave è quella di non aver riposto maggiore fiducia in te fin dai primi momenti della Sierra Maestra…") come un eccesso di onestà da parte del Che.

L'essenziale era e rimane, tuttavia, nell'affermazione seguente («… sono anche orgoglioso di averti seguito senza esitazione, identificandomi con il tuo modo di pensare e di vedere e apprezzare i pericoli e i principi»). Il senso di fedeltà che questa espressione riflette è presente in un'altra lettera a Fidel, quella del 26 marzo dello stesso 1965, concepita come personale, in cui il Che si sente in dovere di condividere con lui il bilancio delle sue preoccupazioni su questioni chiave per la Rivoluzione, come la politica economica e il lavoro del Partito.

Questa seconda lettera, oltre alla lucidità e alla franchezza, ci obbliga oggi a porci questa domanda per migliorare l'opera della Rivoluzione: come conciliare in modo rigoroso il senso guevariano di lealtà con l'esercizio martiano della critica: senza mordere, dando sempre priorità al bene comune?

Si può affermare senza timore di sbagliare che la lettera d'addio a Fidel, su cui si concentrano queste note, e quella del 26 marzo costituiscono veri e propri monumenti all'onestà. E anche alla fiducia reciproca nel quadro delle relazioni tra rivoluzionari.

In un contesto internazionale caratterizzato dalla fase più violenta dell'imperialismo statunitense, con espressioni sempre più fasciste e distruttive sotto tutti i punti di vista, questa frase del Che acquista nuova attualità: «Nei nuovi campi di battaglia porterò con me la fede che mi hai instillato, lo spirito rivoluzionario del mio popolo, la sensazione di adempiere al più sacro dei doveri: combattere l'imperialismo ovunque esso sia…».

Mantenere salda questa proiezione antimperialista, in stretta connessione con l'esercizio coerente dell'internazionalismo difeso da Fidel Castro e dal Che, diventa, nel contesto descritto, una condizione per la sopravvivenza e il successo della Rivoluzione: le élite ultraconservatrici degli Stati Uniti non vogliono una Cuba più democratica (caratteristica essenziale del socialismo che dobbiamo costruire), ma una Cuba in ginocchio e al loro servizio. Entrambi ne erano assolutamente convinti: oggi ci illuminano anche loro con questa convinzione.


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