www.resistenze.org - popoli resistenti - egitto - 15-02-11 - n. 351

da Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova
Ricevo da un amico e compagno medico palestinese questa riflessione, che desidero condividere con tutti voi. Curzio
 
La vittoriosa Rivoluzione egiziana. Una speranza per tutti noi.
 
Il popolo egiziano ha vinto, il dittatore egiziano è scappato come il suo amico tunisino corrotto e ladro. Non sembra vero, invece è la verità, dopo 18 giorni di lotta popolare dura, la storia nuova iscritta con il sangue di 300 morti, migliaia di feriti e migliaia di arresti contro uno dei regimi più spietati e più brutale del Medio Oriente.
Il popolo egiziano comincia a respirare aria di libertà dopo 30 anni di oppressione e sottomissione. Tutti i popoli oppressi del Medio Oriente hanno visto e hanno capito cosa vuol dire la determinazione e la forza di un popolo. Nel Medio Oriente ci sono ancora tanti popoli sotto regimi oppressivi, dittature corrotte che speriamo e ci auguriamo siano arrivate al tramonto.
 
Certamente, il popolo egiziano non ha ancora raccolto il successo della sua rivoluzione!
È stato centrato solo il primo obiettivo, quello di cacciare il dittatore Mubarak, simbolo della oppressione e della dittatura in Medio Oriente, amico e alleato dell’Occidente, che fingeva di non accorgersi di avere un macellaio per amico.
La rivoluzione aveva anche un obiettivo più importante, quello di abbattere il regime, ma per conseguirlo necessitano ancora tempo, vigilanza e determinazione. La gioventù della Rivoluzione egiziana ha capito tutto questo.
 
Infatti è ben presente il timore che i generali dell’esercito egiziano sequestrino e controllino la rivoluzione innescata dai giovani, diventata rivoluzione di tutto il popolo, per svuotarla dei suoi contenuti, nonostante le belle parole dei militari che hanno annunciato le dimissioni del dittatore.
I giovani della rivoluzione hanno deciso di non allentare la pressione finché non otterranno tutti i risultati che la rivoluzione aveva fissato già dal primo giorno, altrimenti sarebbe un fallimento totale.
Dai comitati e dai leader popolari della rivoluzione sono state annunciate nove richieste essenziali al Consiglio Superiore dell’Esercito, altrimenti il presidio della piazza AL TAHRIR ( La Liberazione) ritornerà a ricostituirsi per tutto il tempo che sarà necessario al raggiungimento dei seguenti obiettivi:
 
1) La sospensione immediata della legge di emergenza cha dura da 30 anni ( 1981).
Tutti sanno che questa norma, nata in nome della sicurezza dello Stato, è stata usata come legge bavaglio, di censura e di oppressione contro il popolo egiziano.
Questa legge era stata inasprita sotto richiesta del criminale Bush figlio - in nome della “guerra al terrorismo” - per eliminare l’opposizione interna al regime di Mubarak, cancellare qualsiasi forma di associazione civile, sindacale o politica in tutto l’Egitto. Si tratta di una legge che serviva al progetto statunitense di costruzione del cosiddetto Grande Medio Oriente, con alla testa i fantocci-dittatori Mubarak- e simili al servizio degli interessi americani in Medio Oriente, contro gli interessi delle loro popolazioni.
 
2) Lo scioglimento immediato del Parlamento e del Senato egiziano( eletti attraverso brogli, truffe e la falsificazione delle elezioni) e di tutte le giunte comunali e regionali, tutti controllati dal vecchio partito corrotto di Mubarak e &., il PDN - Partito Democratico Nazionale, che non nulla ha di Democratico, tanto meno di Nazionale.
 
3) La costruzione di un potere di transizione costituito da un “Consiglio di Presidenza” formato da 5 personalità (uomini onesti e capaci) , 4 personalità civili + 1 militare, nessuno di costoro legato al vecchio regime, per traghettare il Paese verso elezioni democratiche entro e non oltre 9 mesi di tempo. Di queste 5 personalità, nessuna deve presentare la sua candidatura per le prossime elezioni presidenziali.
La formazione di un governo di transizione costituito da personalità civili ed esperte e di alta preparazione professionale, soprattutto da persone non legate al vecchio regime corrotto-repressivo. (Purtroppo, attualmente il potere passa in mano del Consiglio Supremo dell’Esercito, che si ha assunto il compito di garantire l’ordine pubblico, la transizione verso elezioni democratiche e il passaggio del potere nelle mani dei civili. Ma chi si fida di costoro? Sono soprattutto generali dell’esercito, molti di loro collusi con il vecchio regime, altri facevano parte dell'apparato militare -poliziesco repressivo della dittatura di Mubarak e & .
Il rischio reale è che le forze armate approfittano della situazione!).
 
4) La cancellazione della vecchia Costituzione e la creazione di una Assemblea Costituente formata da giudici costituzionali, personalità della società civile, esperti di diritto costituzionale, per creare una nuova Costituzione democratica. ( La vecchia Costituzione era stata modificata dal regime di Mubarak a suo piacere ed immagine, per permettere il controllo totale del regime su ogni aspetto della vita dell’Egitto).
 
5) Assicurare immediatamente la libertà di espressione e la libera circolazione delle informazioni, senza alcuna limitazione.
 
6) La legalizzazione di qualsiasi tipo di associazione democratica di natura civile, sindacale e di formazione politica; quindi la possibilità di istituire forze politiche e partiti in modo libero e democratico, che possano partecipare alle prossime elezioni politiche, dopo il periodo di transizione. ( Durante la dittatura Mubarak era vietata qualsiasi forma di raggruppamento civile, sindacale o politico) .
 
7) La liberazione di tutti i detenuti politici, di tutti i leader politici dell’opposizione e di tutti i cittadini arrestati durante la rivoluzione del “25 gennaio” contro il regime dittatoriale di Mubarak.
 
8) L’abolizione dei tribunali militari, strumenti del vecchio regime e simbolo della repressione contro la popolazione, le opposizioni, i sindacati o le associazioni civili, che il regime di Mubarak aveva proibito.
 
9) L’indizione di elezioni libere e democratiche dopo il periodo di transizione, (che non deve protrarsi oltre 9 mesi), con la partecipazione di tutte le forze politiche in rappresentanza di tutta la cittadinanza, senza distinzione alcuna.
 
La Rivoluzione egiziana ha come obiettivo “Cambiare il Regime” ( tutto il sistema marcio di Mubarak) - certamente non cambiare solo le persone al potere, mantenendo saldo il Regime: Mubarak eguale a Suleiman - il suo Vice dopo 30 anni- paragonabile a qualsiasi ministro legato al vecchio sistema corrotto.
La Rivoluzione deve propagarsi contro tutti i regimi corrotti e le dittature brutali del Medio Oriente. Libertà e dignità a tutti i popoli oppressi del Medio Oriente.
Viva la Vittoriosa Rivoluzione Egiziana.
 
Purtroppo l’inizio di questo periodo di transizione non lascia ben sperare.
Infatti, il capo della polizia militare egiziana ha immediatamente intimato ai manifestanti di smontare le tende che da oltre quindici giorni sono diventate uno dei simboli delle proteste in piazza Tahrir, dove sono rimasti circa 2.000 manifestanti.
 
 “L'esercito vuole uccidere la rivoluzione” afferma Abu Tasneem, professore di francese di Alessandria. Intanto si è appreso che il governo egiziano, nominato quando Mubarak era in carica, rimarrà per il tempo necessario alla transizione politica.
Colpi d’arma di fuoco in aria, a scopo di avvertimento, sono stati sparati dall’interno del Ministero dell’Interno, al centro del Cairo, per disperdere poliziotti che manifestavano. A quanto si è appreso i poliziotti chiedevano a gran voce l’arresto dell’ex ministro dell’Interno, Habib El Hadly - già sotto inchiesta da parte della magistratura - ed il pagamento dei loro stipendi degli ultimi mesi.
I manifestanti raccolti davanti al Ministero sarebbero circa un centinaio, ma il numero starebbe aumentando e solleciterebbero aumenti salariali e migliori condizioni di lavoro.
 
Con una dichiarazione costituzionale in nove punti trasmessa dalla tv, il Consiglio Supremo delle forze armate segna le tappe della transizione in Egitto.
È stata formata una Commissione per emendare la Costituzione, sospesa ieri.
Il Consiglio Supremo delle forze armate gestirà il Paese per i prossimi sei mesi o fino allo svolgimento delle elezioni legislative e presidenziali. Il comunicato dell’esercito è stato letto non da uno speaker militare ma da un’annunciatrice televisiva, con l’intento evidente di dare il senso del ritorno del Paese alla normalità.
 
Il documento specifica che il presidente del Consiglio Supremo, il maresciallo generale Hussein Tantawi, «assumerà la rappresentanza del paese all’interno e all’estero», mentre il primo ministro Ahmed Shafiq resterà alla guida del Consiglio dei Ministri fino alla formazione di un nuovo gabinetto.
Sciolto il parlamento, dominato dal partito di Mubarak, sarà il Consiglio Supremo ad emanare leggi per decreto e a decidere la formazione di una commissione per emendare la Costituzione: la nuova Carta sarà poi sottoposta a referendum popolare.
Il dissidente egiziano Ayman Nour, candidato dell’opposizione contro Hosni Mubarak alle presidenziali del 2005, ha dichiarato che i passi annunciati oggi dalla nuova leadership militare del Paese dovrebbero soddisfare i manifestanti. «Si tratta di una vittoria per la Rivoluzione», ha detto Nour.
 
Meno convinto Mohammed El Baradei, leader del Movimento per il cambiamento, che ha invece sollecitato la creazione di un consiglio presidenziale civile e di un governo di tecnocrati.
Il suo portavoce, George Issak, ha affermato che un periodo transitorio di gestione militare di sei mesi è troppo breve. «Non abbiamo fretta - ha spiegato -. Vogliamo una nuova Costituzione e non emendamenti, un consiglio presidenziale di tre persone, composto da un militare, un politico e un giudice, e la formazione di un nuovo partito che rappresenti i giovani».
 
Secondo Abdel Menaim Kato, generale dell’aeronautica, esperto di strategia, il congelamento della Costituzione significa automaticamente l’annullamento dello stato di emergenza in Egitto e delle leggi collegate. Entrate in vigore dall’assassinio del presidente Anwar el Sadat, nell’ottobre 1981, ma già utilizzate altre volte negli anni precedenti, le leggi sullo stato d’emergenza prevedono tra l’altro la possibilità di arrestare persone senza notificare i capi d’accusa, né fornire assistenza legale, e senza informare i familiari del detenuto.
In attesa di messaggi più espliciti dal Consiglio Supremo, migliaia di manifestanti restano ancora in piazza Tahrir, determinati a proseguire la protesta fino alla scarcerazione di compagni arrestati nei giorni scorsi e comunque fino alla fine dello stato d’emergenza.
 

Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova
 
Le menti degli Egiziani si sono aperte
 
In Egitto, lo sconvolgimento sociale ha aperto le porte alle riforme politiche ed economiche,  ma il suo effetto più duraturo può essere di natura psicologica.
 
di Evan Hill
 
Evan Hill collabora con Al Jazeera; è uno Statunitense di San Francisco, dove come giornalista per il quotidiano Recorder ha seguito argomenti concernenti la giustizia penale e la politica. Inoltre è stato co-fondatore di “The Majlis” (http://www.themajlis.org), un sito web di notizie ed analisi centrate sul Medio Oriente.
 
il Cairo, 13 febbraio 2011
 
Ciò che sta succedendo oggi al Cairo richiama alla mente null’altro che uno sgombero di una casa mentale [Evan Hill]
 
Quando sabato mattina, l’Egitto si è svegliato dopo un’intera notte di festa in tutta la nazione, per molti cittadini questo era il primo giorno a memoria d’uomo senza Hosni Mubarak come presidente. In 18 giorni, la rivoluzione ha sradicato un regime che aveva governato il paese con tenacia senza scrupoli per 30 anni.
Mentre lo sconvolgimento ha aperto la porta alle riforme politiche ed economiche, il suo effetto più duraturo può essere l’apertura delle menti degli Egiziani.
 
Con l’esercito per le strade e il vecchio ordine in fiamme, il muro di umorismo cinico e di pessimismo eretto dagli Egiziani come protezione psichica contro il peso schiacciante del loro governo corrotto è sembrato frammentarsi e crollare.
Improvvisamente, tutto è divenuto possibile.
Più tardi, verso sera, è scoppiata una lite tra i manifestanti e gli ufficiali dell’esercito che tentavano di ripristinare il traffico vicino a piazza Tahrir, il cuore della rivoluzione. Sono ritornate le vecchie paure.
Comunque, per tutta la giornata di sabato, la realtà di piazza Tahrir - l’universo in cui gli Egiziani si sono riuniti - , che ha resistito più a lungo del “faraone”, dopo che la spazzatura è stata eliminata in contenitori per la raccolta differenziata, ha assunto nuovamente un aspetto normale.
 
“Ora non abbiamo alibi”
 
Quando è spuntata l’alba, squadre di volontari spazzini, muniti di guanti di gomma e mascherine di cotone, sono intervenute lungo i viali decrepiti del Cairo, hanno spazzato la polvere e i detriti in sacchetti di rifiuti. Mentre una volta era comune vedere i Cairoti gettare dappertutto senza alcuna cura imballaggi usati e cartoni per alimenti, ora era impossibile far cadere un mozzicone di sigaretta senza un rimprovero severo.
Civili hanno coperto e rimosso graffiti anti-governativi che tempestavano ogni superficie, dalle pareti del vecchio campus dell’American University del Cairo fino alle corazze dei carri armati parcheggiati nella piazza Tahrir e nei suoi dintorni.
 
Nella piazza Abdel Moneim Riad, vicino al Museo egizio, dove il 2 febbraio una folla filo- e anti-governativa si era lanciata addosso pietre e bottiglie molotov, in un combattimento mortale, uomini e donne ora formavano catene umane per evitare che i passanti insudiciassero i cordoli dei marciapiedi, che avevano appena dipinto in strisce di bianco e nero intenso.
Ma lo sforzo va al di là della raccolta di spazzatura e della pulizia delle strade.
Ciò che ci viene suggerito oggi al Cairo è, come dire, uno sgombero di una casa mentale - una revisione completa del modo in cui la media degli Egiziani ha imparato a fare affari in una società che è stata soffocata sotto il nepotismo e la legge di emergenza per decenni.
 
Un volantino in distribuzione sabato puntualizzava in questo modo:
Oggi questo paese è il tuo paese. Non gettare rifiuti. Rispetta le norme stradali e i semafori. Non corrompere. Non falsificare documenti. Non guidare nel modo sbagliato. Non guidare a tutta velocità per farti bello, mettendo a rischio vite umane. Non entrare attraverso le porte di uscita del metro. Non molestare le donne. Non dire: ‘Questo non è problema mio!’ Tieni presente Dio nel tuo operare. Ora non abbiamo più alibi.”
 
Giovani Egiziani che per giorni avevano frequentato piazza Tahrir - o che avevano vissuto in essa - ora se ne vanno per acquistare materiale per la pulizia e diluenti per pittura e partono per riordinare le strade tra la piazza e il vicino edificio del Parlamento, dove i manifestanti si sono accampati per giorni.
Il senso di un orgoglio ritrovato è divenuto contagioso.
 
Le barricate fanno la loro comparsa.
 
All’angolo sud-occidentale della piazza Tahrir, di fronte all’ingresso del palazzo del Parlamento su via Kasr al-Aini, la sensazione che le cose andavano per il meglio ha ricevuto un blocco tremendo dopo il tramonto.
L’esercito aveva lavorato tutto il giorno per rimuovere le barricate lungo le strade laterali, e immediatamente il traffico aveva cominciato a scorrere verso la piazza.
I conducenti delle automobili suonavano il clacson per festeggiare, ma i manifestanti reagivano in modo rapido e con rabbia. Riempiendo l’aria con gli stridori del metallo sul cemento, tiravano su le barricate che avevano abbattuto appena un giorno prima.
Ci si appropriava di barriere sparti traffico, pareti di lamiera venivano strappate da un cantiere nelle vicinanze, e venivano ribaltate cabine telefoniche e fatte rotolare nella piazza. Uomini infuriati fissavano intensamente da dietro le loro difese, ed una massa circondava i soldati all’incrocio nelle vicinanze.
 
Un ufficiale interloquiva con i manifestanti. “Il governo ha garantito tutte le vostre richieste”, ribadiva. Il suo tono era che non esistevano ulteriori motivi per rimanere nella piazza, e chi non voleva che questo paese rientrasse nell’ordine e si rimettesse in piedi era un traditore.
La divisione serpeggiava fra i manifestanti. Alcuni ragionavano in favore dell’esercito, altri sostenevano che l’occupazione di piazza Tahrir doveva continuare.
Questo secondo gruppo sottolineava come le leggi emergenziali sulla sicurezza nazionale, vecchie di 30 anni, in vigore dall’assassinio di Anwar Sadat, il predecessore di Mubarak, erano ancora effettive ed applicate.
 
Alaa el-Din, un residente di Giza dalla periferia del Cairo, che indossava una galabeya bianca, copricapo e sciarpa da preghiera, affermava di amare l’esercito, ma di volere anche la democrazia e la libertà. “Le nostre richieste sono state soddisfatte per il 90 per cento, ma il 10 per cento restano,” ribadiva. “Respingiamo il nuovo governo.”
El-Din si riferiva al governo e al parlamento egiziani, che, nel breve corso dell’Egitto post-Mubarak, in gran parte sono rimasti immutati, e che l’esercito ha chiaramente indicato che devono conservare il loro potere fino a che nuove elezioni potranno essere tenute.
 
Oltre lo scioglimento del governo e la fine delle leggi di emergenza, molti manifestanti ancora continuano ad esigere la liberazione di tutti i prigionieri politici. Il destino di centinaia di manifestanti arrestati dopo la rivoluzione iniziata il 25 gennaio rimane poco chiaro.
Sayed, un uomo che stava discutendo con el-Din, ha sostenuto che tali richieste non potevano essere ricevute “tutte e subito”. Egli temeva che le divisioni nella società egiziana avrebbero esposto l’Egitto al rischio di una invasione da parte degli Stati Uniti, e citava l’Iraq e l’Afghanistan.
In altre parti, la tensione tra i manifestanti e l’esercito è aumentata.
 
“Ora siamo noi i responsabili!”
 
Il nucleo di piazza Tahrir, coloro che si sono accampati ed hanno combattuto nei 55.000 metri quadrati della piazza per più di due settimane, si sono sempre più abituati ad un proprio governo civile.
Questo non piace all’esercito.
 
All’incrocio nei pressi della barricata su via Kasr al-Aini, un ufficiale si è avvicinato ad un civile che si era assunto il compito di dirigere il traffico, chiedendogli con rabbia se sapeva cosa stava facendo. Il civile spiegava che era stato nominato per gestire l’incrocio. L’ufficiale gli rispondeva: “Non ci sono più posti di blocco di quartiere o brigate civili, siamo noi ora i responsabili!”
Improvvisamente, un drappello di soldati in mimetica e elmetti balistici si è fatto strada in uno stretto varco tra la barricata e il marciapiede separato da una recinzione - in cui erano in corso negoziati tra l’esercito e i civili - e ha cominciato a smantellare la barricata.
 
Ben presto sono state abbattute le barriere di metallo e i rottami sono stati trascinati di lato, e con movimenti concitati i militari incitavano il traffico ad iniziare il passaggio. I manifestanti reagivano immediatamente, riversandosi in gran numero in mezzo alla strada per impedire alle auto di andare avanti. Nel bagliore dei fari, sono corse minacce contro i guidatori e la gente imponeva con veemenza le mani sui cofani delle auto. I soldati si sono avvicinati per ricacciare i manifestanti dalla strada, e ne è seguita una partita di spintoni - un raro confronto fisico tra l’esercito e i contestatori, che scandivano ad alta voce da un capo all’altro della strada in subbuglio: “Il popolo e l’esercito, mano nella mano!”
 
Il confronto è andato lentamente esaurendosi senza violenze o arresti. Gli ufficiali dell’esercito hanno trattenuto i loro uomini a lato, come concordato con i manifestanti. Un uomo baciava sulle guance un soldato di grado inferiore. Ufficiali deviavano il traffico in arrivo dalla piazza, dove centinaia di migliaia di persone hanno continuato a festeggiare e a sventolare bandiere dell’Egitto, ignari del conflitto a poche centinaia di metri di distanza.
 
Sorgono questioni
 
Nelle discussioni intorno alla barricata in rovina, è divenuto chiaro che i manifestanti erano tutt’altro che uniti, e certamente confusi circa il futuro di un paese in cui ogni istituzione, che prima incuteva minaccia ed era a tutti familiare, sembrava essere caduta, una dopo l’altra.
Un giovane alto, che concitato chiedeva di continuare le manifestazioni nella piazza Tahrir , veniva in brutto modo surclassato da coloro che insistevano che il lavoro era già stato fatto.
“È l’esercito che deve comandare fino alle elezioni?” chiedeva il giovane.
“Se non lo fanno loro, chi ci proteggerà?” gli rispondeva un altro.
All’interno della piazza, la festa è continuata; ai suoi margini, le questioni rimangono sospese.
 

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