La destra trionfa in Salvador
Elias Antonio Saca, ex cronista sportivo e imprenditore radiotelevisivo, è
stato eletto il mese scorso Presidente della Repubblica del Salvador. La
tornata elettorale, svoltasi in un clima di generale tranquillità (salvo alcuni
atti di intemperanza tra le opposte fazioni politiche), ha visto imporsi
largamente il partito di estrema destra ARENA - fondato negli anni 80 dal
fanatico Roberto D’Aubuisson, mandante dell’assassinio dell’Arcivescovo Romero
oltre che responsabile di massacri e torture negli anni della guerra civile
(75.000 vittime e 8.000 desaparecidos) - con il 59% dei suffragi.
Sull’altra sponda, il Frente Martì para la Liberacion Nacional (il partito nato
dalle ceneri della guerriglia insurrezionale) con il suo candidato Schafik
Handal si è dovuto accontentare del 35%, pur raddoppiando i consensi rispetto
alle elezioni amministrative e per il rinnovo del Parlamento del marzo 2003. In
quell’occasione, il FMLN riuscì a conquistare una quota significativa di seggi
nell’Assemblea Legislativa (31 su 84) e a prevalere in numerosi municipi del
Paese.
La sorprendente affermazione di ARENA è il frutto di una campagna elettorale
incentrata sulla demonizzazione dell’avversario (a questo proposito, è stato
determinante il ruolo svolto dai media radiotelevisivi schierati all’unisono a
favore di Saca), e finalizzata a suscitare terrore tra i salvadoregni per i
pericoli derivanti da un’eventuale vittoria del Frente.
Gli spauracchi sventolati dalla destra, come la minaccia del comunismo o la
rottura delle relazioni con gli Stati Uniti, hanno fatto buona presa su quella
fetta di elettori ancora indecisi sulle intenzioni di voto. Ma più di tutto, in
questo mare di propaganda ingannevole, ha pesato l’argomento del blocco delle
remesas - le rimesse in denaro dei salvadoregni emigrati per lavoro negli
States, indirizzate ai parenti rimasti in patria, che rappresentano oggi una
fondamentale fonte di reddito per migliaia di famiglie. “Non ci saranno più
remesas con la sinistra al governo”, hanno intonato in coro gli areneros nel
corso della loro campagna elettorale, ribattezzata da molti come “sucia”.
Secondo i rapporti redatti dagli osservatori stranieri, il monitoraggio
elettorale ha fatto rilevare un gran numero di casi di irregolarità durante lo
svolgimento del voto. Svariate denunce presentate al Tribunale Supremo
Elettorale raccontano di persone pagate con piccole somme (da 20 a 50 dollari)
affinché si convincessero a votare per ARENA; molti altri elettori, in larga
parte dipendenti di imprese private, non hanno potuto esercitare il diritto al
voto a causa del ritiro del loro documento d’identità (DUI) da parte dei datori
di lavoro.
Inoltre, è stato accertato che migliaia di cittadini (non residenti) sono stati
fatti affluire in massa dai paesi confinanti (Honduras, Nicaragua e Guatemala),
dietro pagamento e con DUI falsi, con l’istruzione di recarsi ai seggi loro
indicati e votare per ARENA. Questo fatto spiega anche l’incredibile record di
affluenza al voto raggiunto in questa consultazione: ben il 73% degli aventi
diritto - secondo i dati ufficiali - su una popolazione di 6 milioni di
abitanti, fenomeno ben raro per un popolo che ha sempre palesato segni di
disamore nei confronti della sua classe politica dirigente.
Altri “fattori esterni” hanno contribuito ad alterare la regolarità del
processo elettorale. Il ruolo giocato nell’ombra dagli Usa per impedire la
vittoria del FMLN non si è limitato al solo sostegno economico (si parla di
milioni di dollari di finanziamenti ricevuti dal governo di ARENA come
contributo alla campagna elettorale).
Alla vigilia del voto in Salvador, il Sottosegretario di Stato per gli Affari
dell’Emisfero Occidentale, Roger Noriega, aveva più volte dichiarato che gli
Stati Uniti non avrebbero mai permesso “un’eventuale presa di potere da parte
di un’ex formazione guerrigliera”. In tal caso - tra l’altro - la Casa Bianca
avrebbe visto seriamente compromessa la realizzazione del TLC (Trattato di
Libero Commercio) - l’accordo multilaterale tra gli Usa e gli Stati del
Centroamerica che attende la ratifica dell’Assemblea Legislativa salvadoregna
entro la fine del 2004 -, nei confronti del quale i vertici del FMLN si sono
sempre dimostrati ostili.
In ballo c’è anche il futuro del Piano Puebla Panama, che dovrebbe dotare tutti
i Paesi del Centroamerica (ivi incluso El Salvador) delle infrastrutture
necessarie per mettere in atto gli accordi sul libero commercio.
Il PPP, nato principalmente dall’esigenza di soddisfare la richiesta di fonti
energetiche dell’ingordo mercato Usa, prevede la costruzione di 25 dighe (per
lo sfruttamento dell’energia idroelettrica), il rafforzamento della rete viaria
Messico-Panama e la realizzazione di “corridoi naturali” per facilitare la
ricerca biologica delle compagnie chimico-farmaceutiche. E’ inutile rammentare
che l’attuazione di questo megaprogetto avrebbe, per tutte le nazioni
coinvolte, conseguenze socio-ambientali davvero devastanti.
Dal punto di vista militare, l’importanza strategica che la piccola repubblica
del Salvador riveste nello scacchiere mesoamericano - la base statunitense di
Ilopango (non molto distante dalla capitale) è uno dei maggiori capisaldi della
regione - conferma gli sforzi compiuti dalla Casa Bianca per mantenere in loco
un’amministrazione “subalterna” ai suoi interessi. Non è un caso, infatti, che
dal 1994 (anno delle prime elezioni del dopoguerra) ad oggi, non vi sia mai
stata alternanza al governo.
Ora, per ARENA comincia il terzo mandato presidenziale consecutivo. Durerà fino
al 2009.
Nel frattempo, società civile e opposizione frentista fanno quadrato in vista
della ripresa delle lotte contro il processo, lento ma progressivo, delle
privatizzazioni (nel mirino delle “corporations” straniere ci sono già sanità e
fonti idriche). Per il ”Pulgarcito dell’America Latina” si prospetta un altro
quinquennio di sacrifici.
Andrea Necciai