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Etiopia al bivio

Capitolo 2 - La dittatura di Menghistu

Capitolo 1: L'impero di Sélassié [Prima parte - Seconda parte - Terza parte]

Mohamed Hassan, Grégoire Lalieu |
investigaction.net
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

10/10/2016

Al di là dei miti, l'impero di Hailé Sélassié nascondeva una realtà terribile per la maggior parte degli etiopi. Guidati da un grande movimento popolare, giovani ufficiali dell'esercito rovesciavano l'imperatore nel 1974. Mènghistu diventa il nuovo uomo forte dell'Etiopia, ma si mostra incapace di rispondere alle aspirazioni del popolo. Come ha fatto la rivoluzione a far scivolare il paese nella dittatura militare? Perché gli etiopi furono condannati alla miseria che ebbe il suo apice con la drammatica carestia del 1984? Perché, mentre Michael Jackson e le star del mondo intero raccoglievano fondi per le vittime, Bernard-Henri Lévy e Glucksmann non volevano aiutare l'Etiopia? In questa seconda parte della nostra intervista, Mohamed Hassan esplora le contraddizioni della dittatura militare del Derg. Rivela anche le origini del TPLF (Fronte Popolare di Liberazione del Tigrè, ndt), quell'organizzazione politica che ha rimpiazzato Mènghistu e che si aggrappa al potere da oltre venti anni. Domenica 9 ottobre, mentre la rivolta tuona ovunque nel paese, il TPLF ha dichiarato lo Stato di emergenza.

Prima parte

Seconda parte

Ovviamente, non ci sono soltanto le teorie marxiste a non aver funzionato in Etiopia. Anche i progetti della Banca Mondiale hanno fatto all'epoca un flop totale.

È vero. Negli anni 70 e 80, esperti della Banca Mondiale hanno tentato di sviluppare dei progetti per superare le crisi alimentari. Senza successo. Tutto era cominciato con la carestia del 1972. Esperti occidentali avevano avuto l'idea di collegare gli allevatori delle pianure ai mercati delle montagne. Ma non avevano una buona conoscenza dei luoghi e decisero di ignorare le strade che gli allevatori utilizzavano di solito. Fu uno spreco, poiché le nuove strade non furono mai percorse.

Durante gli anni 80, la Banca Mondiale ha perseverato nell'errore, come spiega lo storico John Markakis: "Avendo in testa il modello dei ranch dei paesi sviluppati, i piani avevano una concezione uniforme per tutte le zone, ignorando le differenze significative di ambiente, di modelli di produzione, di strutture sociali e di culture. Il fatto che gli interventi per lo sviluppo si fossero concentrati sul bestiame piuttosto che sulla popolazione, è stato un altro problema, poiché non sono riusciti a integrare le conoscenze della gente del luogo e a impegnarsi nello sforzo. (…) Tuttavia, Addis-Abeba è diventata dipendente da modelli chiave importati e non è difficile capire il perché. Il suo ruolo è quello di fornire la burocrazia che assorbe il volume dei fondi assegnatoi ai progetti. La relazione finale della Banca Mondiale sui Progetti di Sviluppo dei Pascoli (1976-84) ha mostrato che il 60% dei fondi erano stati assorbiti dall'amministrazione." (4)

È questo che ha portato alcune persone a volere tagliare i viveri all'Etiopia? La carestia del 1984 aveva innescato un grande slancio di solidarietà in Occidente. Michael Jackson e i suoi amici avevano raccolto milioni di dollari con la canzone We are the World. In Gran Bretagna, Bob Geldof riuniva Mick Jagger, Freddy Mercury, Annie Lennox e altri. In Francia, Renaud seguiva il movimento con un gruppo di artisti locali. Ma, in controcorrente a questa mobilitazione, Medici senza frontiere (MSF) fustigava il governo etiope e il suo piano di villaggizzazione dei contadini affamati. Alcuni intellettuali come Bernard-Henri Lévy e André Glucksman hanno sottolineato le inclinazioni marxiste e filo-sovietiche di Menghistu, chiedendo anche di tagliare gli aiuti all'Etiopia. In "Silence, on tue", Glucksmann scriveva che l'Etiopia era "la nuova pedina (…) che l'URSS avanza in Africa per la guerra decisiva contro il Sudafrica. Una volta che quest'ultima roccaforte bianca e 'imperialista' sarà eliminata, l'Africa sarà matura per passare interamente nel campo sovietico".

L'idea era di costruire villaggi nelle terre fertili del sud e stabilire lì i contadini che pativano la siccità nelle regioni secche del nord. E in termini assoluti, questa idea non era completamente stupida. Del resto, le Nazioni Unite sostenevano il progetto. Ma il Derg ha assunto il compito senza molto discernimento e con una brutalità estrema, ancora una volta. Poco prima del periodo degli esami, migliaia di studenti e di insegnanti furono inviati nelle province per costruire case a tempo di record in un modo poco confortevole, con una pala e cemento. Inoltre, molti contadini vennero sfollati contro la loro volontà. Il viaggio era particolarmente difficile per queste famiglie che soffrivano già per la carestia. Le infrastrutture non erano pronte al loro arrivo. E il loro organismo doveva affrontare malattie nuove passando da una regione all'altra. Il programma di villaggizzazione fu dunque un fallimento e causò decine di migliaia di morti. Infine, quando la costruzione degli ultimi villaggi avveniva, all'inizio degli anni 90, la maggior parte di quelli che erano stati sfollati tornava alla terra d'origine, poiché la siccità era passata.

Le critiche erano dunque fondate?

Il problema è che alcune associazioni e alcuni intellettuali reazionari hanno avuto il primato di portare un'agenda politica in piena guerra fredda. La tendenza è iniziata durante la guerra del Biafra (1967-1970). Ci si è resi conto che dopo l'opinione pubblica, le dichiarazioni degli umanitari avevano simbolicamente più peso che quelle dei ministri o dei generali. Sono state dunque sfruttate per denunciare crisi umanitarie e violazioni di diritti umani, vere o presunte. Tutte invariabilmente dirette contro lo stesso campo, comprendente il blocco comunista. "Allarmando l'opinione pubblica, mettevamo i politici di fronte alle loro responsabilità, costringendoli a intervenire per fermare il massacro", spiegherà più tardi Claude Malhuret, ex presidente di MSF, sulla guerra in Afghanistan (1979-1989).

Quest'esempio è rivelatore. Si sosteneva che i cattivi sovietici avessero invaso l'Afghanistan. Che i mujahidin difendevano il loro paese e che MSF era dalla loro parte. In realtà, l'organizzazione aveva molte difficoltà a lavorare con questi ribelli. Ma non lo mostrerà, concentrando le sue condanne contro i soli sovietici. MSF maschererà la verità: era la CIA che aveva causato l'intervento dell'URSS finanziando e armando i mujahidin per destabilizzare il governo afgano alleato di Mosca. L'ex direttore della CIA, Robert Gates e il consulente della Casa Bianca, Zbigniew Brzezinski, lo confermeranno. Inoltre, questa guerra causata dagli Stati Uniti e difesa da MSF avrà conseguenze disastrose. Alla fine degli anni 1970, c'erano delle speranze in Afghanistan. Dopo l'operazione della CIA, il paese sprofonderà nella guerra civile, dando vita ad Al-Qaida e vedrà arrivare i Talebani, prima di conoscere l'invasione di Bush nel 2001. In realtà, subiamo ancora oggi le ripercussioni dell'operazione afgana.

E in Etiopia, quale era l'ordine del giorno di questi burloni di umanitari?

L'umanitario si trasformava in cavallo di Troia per il diritto d'ingerenza e il soft power degli Stati Uniti. L'Etiopia filo-sovietica di Menghistu non è sfuggita al fenomeno e la carestia ha offerto ad alcuni intellettuali reazionari l'opportunità di battere ancora più forte sul comunismo. Bernard-Henri Lévy già ci aveva provato alcuni anni prima alla testa di un convoglio umanitario in Cambogia per venire in aiuto al popolo affamato. Fiancheggiato da un esercito di giornalisti, il convoglio fu respinto alla frontiera. Si apprenderà più tardi che non c'erano carestie in Cambogia in quel momento.

In Etiopia invece, la carestia era reale. Glucksman e Lévy non hanno ovviamente trascurato di stabilire un legame di causalità tra le teorie marxiste del Derg e la carestia, guardandosi bene dal ricordare che tale flagello aveva già imperversato al tempo di Ménélik e di Sélassié. I cavalieri bianchi avevano anche accusato i donatori di mantenere una dittatura corrotta, per grande sfortuna degli Etiopi. Occorreva tanto per chiudere il rubinetto degli aiuti? Il bilancio della carestia sarebbe stato ancora più disastroso. Rimane da sapere quante vite Glucksman e Lévy erano pronte a sacrificare per vedere cadere il Derg. Fortunatamente, le organizzazioni internazionali hanno proseguito il loro lavoro in Etiopia provando a volte a piegare le scelte di Mènghistu. Senza troppi successi, occorre riconoscerlo.

La questione dei contadini occupava un posto centrale nelle manifestazioni che hanno condotto alla caduta di Sélassié. Ma la risposta del Derg a questa sfida fondamentale si è conclusa con un fallimento drammatico. Vediamo un'altra rivendicazione importante del movimento rivoluzionario: l'uguaglianza delle nazionalità in Etiopia. Quali soluzioni Mènghistu ha portato a questo problema spinoso?

Su questo punto ci sono stati notevoli progressi durante la dittatura militare. Arrivato al potere, Mènghistu aveva promesso che l'Etiopia sarebbe stata uno Stato plurinazionale. "Più nessuna nazionalità predominerà sulle altre", aveva pronunciato il presidente in occasione di un discorso. Concretamente, coloro che non erano Amhara non cercavano più di nascondere le loro origini come in passato. L'islam poteva uscire dall'armadio e i suoi seguaci erano riconosciuti come veri etiopi per la prima volta nella storia del paese. Tre giorni di festa musulmana sono stati del resto riconosciuti come giorni di festa nazionale. Ciò può sembrare banale. Ma quando si pensa che alcuni imperatori avevano tentato di sradicare l'islam dall'Etiopia, quest'innovazione del calendario dimostra un cambiamento radicale nelle mentalità.

Mènghistu aveva anche organizzato un Istituto delle nazionalità che raccoglieva geografi, etnologi, economisti e tutta una serie di altri specialisti. Hanno condotto indagini, realizzato sondaggi, studiato antichi manoscritti e discusso con gli abitanti dei villaggi ai quattro angoli del paese. Lo scopo era di vedere come viveva ogni gruppo etnico con sede in Etiopia.

Più di un secolo dopo l'introduzione di un impero centralizzato che prefigurava l'Etiopia moderna, gli etiopi non si conoscevano ancora?

Come avrebbero potuto? Storicamente, la topografia e la mancanza di mezzi di comunicazione ha impedito una buona conoscenza delle comunità che popolavano questo vasto paese. Ma soprattutto, nessun imperatore, da Tewodros a Sélassié, passando per Ménélik, si è realmente dedicato alla questione. Avevano la loro visione dell'identità nazionale e tutti gli etiopi dovevano necessariamente aderirvi. Guardate che tra gli imperatori feudali dell'Etiopia e alcuni politici occidentali d'oggi, non c'è grande differenza. Questa gente è arretrata. (Ride)

Mènghistu ha dunque creato questo Istituto delle nazionalità, ma ciò gli si è rivoltato contro, a causa della Somalia. La Somalia storica è stata arbitrariamente divisa dalle potenze coloniali. Nel 1959, la Somalia è diventata indipendente con la fusione dei somali britannici e italiani. Ma restavano pezzi della Somalia storica nei paesi limitrofi, cioè il Kenia, Gibuti e l'Etiopia. Del resto, i cinque rami della stella della bandiera somala rappresentano le cinque parti di questa Somalia storica. Adottando questo simbolo, il governo somalo voleva fare passare un messaggio: due parti della Somalia sono state riunite, ma tre mancano ancora all'appello. Un'importante comunità di somali vive così nel Sud-Est dell'Etiopia, in particolare nella regione dell'Ogaden. Tanto che nel 1978 Mènghistu aveva dovuto contrastare un'offensiva militare del suo vicino somalo, Siad Barre, che voleva annettere questa regione. Per Mènghistu, l'Etiopia era uno Stato plurinazionale, certamente, ma nulla poteva rimettere in discussione la sua unità, né la sua integrità. Ed ecco che alcuni anni appena dopo la guerra dell'Ogaden, gli esperti dell'Istituto delle nazionalità confermavano con i loro studi tutte le teorie sulla Somalia storica. In un certo modo, questi esperti davano ragione agli abitanti dell'Ogaden che desideravano essere annessi al loro vicino somalo.

Come ha reagito Mènghistu ?

Ha tagliato corto sull'esperienza dell'Istituto. Ad ogni modo, l'uguaglianza delle nazionalità non avrebbe mai potuto essere compiuta nell'Etiopia di Mènghistu. La questione può essere risolta soltanto su base democratica. Ma, nella dittatura militare, le varie etnie potevano vestirsi liberamente, conservare il loro nome e parlare la loro lingua. Ma alla fine, dovevano tutte dire la stessa cosa e non contrastare il tenente colonnello. Come garantire l'uguaglianza dei cittadini in queste condizioni? Inoltre, se le varie etnie trovavano una rappresentanza nell'ambito dello Stato, concretamente, il Derg era ancora dominato da una minoranza di Amhara da cui derivava la maggioranza degli ufficiali rivoluzionari.

Infine, l'uguaglianza delle nazionalità non avrebbe mai potuto concretizzarsi senza portare una risposta al problema eritreo. Ma Mènghistu si è mostrato ancora più intransigente dei suoi predecessori. Nella dittatura militare, l'esercito assorbiva la parte più grande del bilancio nazionale. Dopo avere respinto l'invasione somala e mentre beneficiava di un aiuto militare considerevole dall'Unione Sovietica, Mènghistu ha creduto di poter porre fine della resistenza eritrea. Nel 1982, dopo avere rimpatriato in Etiopia tutti i funzionari che lavoravano nella ex colonia italiana, il dittatore lanciava la campagna Red Star. 120.000 soldati mobilitati con un doppio obiettivo: demolire il Fronte di Liberazione del Popolo Eritreo (FLPE) e ricostruire l'Eritrea come parte dell'Etiopia.

Anche in questo caso l'impresa di Mènghistu non ha avuto successo. Perché?

Gli etiopi erano più numerosi e meglio equipaggiati. Ma non avevano motivazioni. Non facevano che obbedire agli ordini di un dittatore che martellava sul fatto che l'Etiopia era indivisibile mentre i soldati non avevano alcun diritto e subivano lo sciovinismo Amhara. Dall'altra parte gli Eritrei lottavano per ottenere la loro indipendenza dopo decenni d'ingiustizia. La campagna Red Star ha fatto loro torto. Ma il FLPE si è ritirato, ha dato prova di pazienza e si è ricostruito. Poteva contare sul sostegno della popolazione poiché, nei territori controllati, i resistenti costruivano scuole e ospedali. Aiutavano i contadini nel loro lavoro. Non è dunque giusto definirlo un movimento che lotta per l'indipendenza, era letteralmente tutto un popolo che portava un progetto di società.

Dopo il ritiro tattico, il FLPE riprese la guerriglia. Unità mobili e flessibili lanciavano blitz contro le truppe etiopi. Dopo ogni vittoria, i soldati del FLPE recuperavano le armi del loro nemico. Gli Eritrei si sono così gradualmente costituiti un esercito con attrezzature moderne. Alla fine, disponevano anche di carri armati! E dopo trenta anni di lotta – la più lunga lotta di liberazione nazionale dell'Africa – gli Eritrei ottenevano la loro indipendenza. Mènghistu fuggiva nello Zimbabwe. Era il 1991.

(continua)

Note:

4. John Markakis, Ibid.


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