www.resistenze.org - popoli resistenti - francia - 06-04-19 - n. 708

La VI Repubblica: per una democrazia sociale

Robert Charvin | investigaction.net
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

05/04/2019

La V Repubblica francese non ha affrontato la questione della povertà, che durante tutto il suo corso si è accresciuta mentre si è diffusa la precarietà. Erede di tutti i sistemi che l'hanno preceduta, la V Repubblica accusa i poveri di essere causa del loro destino, di essere pericolosi per l'ordine pubblico e di non presentare altro interesse che quello di costituire una riserva di manodopera a buon mercato.

Il sarkozyismo, con il pretesto di promuovere "pari opportunità", ha sviluppato al massimo queste concezioni risalenti al XIX secolo. Lo stigma maggiore è posto sull'insicurezza causata dai poveri stranieri, riprendendo i temi anti-immigrazione dell'estrema destra. Il "dovere di lavorare" in un quadro concettuale (ad esempio i contratti di inserimento) è ispirato all'antica formula: "Arricchisci te stesso!". L'associativismo doveva prendere in carico la maggior parte della miseria estrema in nome della necessaria riduzione della spesa sociale pubblica. Nel migliore dei casi "l'assistenza" doveva sostituire la solidarietà.

Nonostante alcune sentenze del Consiglio costituzionale in cui si affermava che il diritto al lavoro, il diritto alla casa o il diritto alla salute sono riconosciuti come "oggettivi" con valore costituzionale, la povertà non è contemplata nella norma: la V Repubblica è retrocessa rispetto i tentativi del 1793, 1848 e 1946.

I diritti economici e sociali non sono diritti in sé stessi. È solo il perseguimento della loro attuazione a essere vincolante per il legislatore e per l'esecutivo, senza una grande efficacia.

Sono gli economisti neoliberali che, con una visione semplicistica dei problemi sociali (ritenendoli spesso indifferenti), pretendono di fornire un'unica risposta concreta: la crescita. Questa crescita deve rispondere a tutto e tutto deve essere sacrificato in suo nome. Dobbiamo ridurre il costo del lavoro, la spesa sociale. Bisogna sostenere il mondo di impresa con esenzioni fiscali, incentivi finanziari per l'innovazione, gli investimenti e le esportazioni. Occorre liberalizzare i vincoli normativi! Questo ritornello, che rimbalza su tutti i media, viene ripreso a destra e a sinistra. L'intellighenzia dei media vi si uniforma. Tutto tende al consenso.

I fatti, tuttavia, lo smentiscono. Durante i cosiddetti "30 gloriosi anni" del boom economico, un periodo eccezionale nella storia del capitalismo, la crescita ha cambiato la natura della povertà senza superare le abbaglianti disuguaglianze. All'inizio della V Repubblica, descritta come "sociale" dalla Costituzione, il supersfruttamento dei lavoratori immigrati fortemente sollecitato dai datori di lavoro, compensava l'aumento (limitato) del costo dei salariati metropolitani. Il governo Debré, con il suo "Bumidom" ad esempio (abolito nel 1982), ha persino introdotto migranti dai territori francesi d'oltremare, oltre agli africani e ai nordafricani che costituiscono una forza lavoro a prezzi molto economici. Questa struttura (di cui i sopravvissuti del gollismo non si vantano) ha "importato" nella Francia metropolitana 160.000 lavoratori da Reunion e dai Caraibi, promettendo formazione e occupazione. Nella realtà ha dato lavoro domestico (le badanti dei signori Debré e Mesmer sono figlie del Bumidom!) e ha offerto piccoli lavoretti, che non erano più accettati dai cittadini delle metropoli. La precarietà estrema è arrivata molto prima della crisi. Allo stesso tempo, questa "importazione" di esseri umani mirava a neutralizzare i giovani dei domini d'oltremare le cui affermazioni anticoloniali si andavano sviluppando!

La realtà è che le aziende hanno una logica fondamentale, quella di massimizzare il loro profitto, senza ulteriori considerazioni, indipendentemente dal contesto economico e sociale. Gli investimenti e l'innovazione sono utilizzati principalmente per modernizzare il lavoro produttivo (spesso attraverso la robotizzazione), che tende a sopprimere i posti di lavoro. È lo stesso con la concentrazione di aziende che accelera e consente economie di scala riducendo il numero di dipendenti. L'aumento del profitto non porta a una equa ridistribuzione: è appannaggio soprattutto degli azionisti e dei dirigenti.

Nei periodi di stagnazione, e anche di recessione, cioè dalla fine degli anni '70 con un peggioramento negli anni 2000, la regressione sociale generale e la denuncia dell'immigrazione (diventata più o meno inutile, tranne se altamente qualificata, se non per dividere i lavoratori tra loro), sono le risposte essenziali del sistema. L'aumento della precarietà, con la scomparsa dei contratti a tempo indeterminato, la disoccupazione massiccia, la riduzione della protezione sociale, il blocco delle pensioni, diventano, nel discorso ufficiale, il fondamento della crescita da rianimare! Le controriforme del giorno permetteranno "un domani radioso"! Il dissolvimento della solidarietà permetterà in futuro la realizzazione della fraternità, come se il capitalismo dell'eventuale post-crisi dovesse essere diverso da quello che ha sempre operato secondo la logica di sempre.

La VI Repubblica deve riabilitare la solidarietà sociale che non ha nulla a che fare con la carità privata o con "l'assistenza sociale". I principi fondamentali del diritto sociale devono essere sanciti costituzionalmente e accompagnati da procedure di garanzia, in modo che i padroni e le autorità pubbliche non solo dispongano un obbligo di mezzi, ma un obbligo di risultato. La ragione d'essere dell'organizzazione di una società è renderla agibile per tutte le sue componenti. Non c'è altro. Devono essere scartati gli scenari "interessati" che limitano l'efficacia dei diritti sociali a ciò che sarebbe "possibile" e "ragionevole"! L'esclusione di una frazione della popolazione per qualsiasi ragione distrugge la coesione del paese, rende inapplicabili i diritti civili e politici così altamente proclamati da tutti, e soprattutto produce una società difficile da vivere (anche per il privilegiato) perché inumana per troppi cittadini. L'esclusione non è che una componente del processo di decivilizzazione.

L'obiettivo di una vera Repubblica è di attuare una società razionale, in cui i diritti sociali siano accompagnati da procedure di garanzia, come per i diritti civili e politici: la miseria non può essere ridotta a una questione privata! La democrazia sociale è indispensabile per la democrazia politica.

Robert Charvin è l'autore, tra gli altri, dei libri VIème République contre la regression générale (Les amis de la Liberté, 2014), Faut-il détester la Russie? (Investig'Action, 2016) et Comment peut-on être Coréen du Nord? (Delga, 2017)

Estratto dal libro VIème République : contre la régression générale. Riprodotto con il gentile permesso dell'autore


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