Ligne Rouge | lignerouge.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
14/09/2020
Si dice spesso che per non ripetere gli errori dobbiamo imparare dai nostri fallimenti. Questo è in sostanza ciò che la maggior parte dei governi ci dicono in questo periodo e che ritroviamo anche nelle parole di Emmanuel Macron, quando pontifica sotto forma di un falso mea culpa, che "il giorno dopo non si tornerà indietro".
La società si starebbe quindi preparando a una svolta storica e a un profondo sconvolgimento. Senza dubbio, ma se per esempio, la società fosse organizzata come un unico corpo biologico, dovremmo solo giudicare la sua capacità di far fronte ai problemi che le si pongono. Ma non è così perché il mondo oggi è fatto di classi sociali, ciascuna con i propri interessi, ma anche di popoli, stati, nazioni, quindi di un'organizzazione sociale fatta di sfruttamento, divisioni, lotte di interessi, concorrenza, guerre, ecc.
Quindi, se da un lato la malattia colpisce il corpo intero e mondiale della società, dall'altro ancora non vediamo il corpo reagire e allocare tutte le sue energie in modo unito, simultaneo e organizzato per combattere questa malattia. Pertanto, se vogliamo essere pronti alle varie sfide che dovrà ancora affrontare l'umanità, dobbiamo prima di tutto svelare qual è l'ordine dello scontroda un lato e dall'altro quali sono i problemi derivanti più o meno direttamente dalla nostra "disorganizzazione sociale".
Produrre per vendere o produrre per soddisfare i bisogni?
Sappiamo che c'è mancanza di spazio negli ospedali, mal attrezzati, c'è mancanza di personale, dispositivi medici, gel, maschere, ecc. E anche se alcuni popoli soffrivano ancora più di altri queste carenze, nessun paese al mondo era pronto ad affrontare la pandemia di Covid-19.
Dobbiamo questa situazione al nostro modo di produrre tutti i beni e i servizi. Perché l'intera società è regolata dal fatto che i capitalisti non organizzano il lavoro in modo tale da soddisfare i bisogni, ma piuttosto in base ai profitti derivati dal mercato. Fare soldi è l'unico motivo, l'unico obiettivo degli azionisti, delle banche, dei padroni. C'è quindi una forte contraddizione tra i loro interessi e i nostri, in quanto lavoratori, che desideriamo avere un sistema sanitario gratuito e accessibile a tutti, mangiare correttamente o stare in luoghi dove si possa vivere dignitosamente. Ciò che ce lo impedisce è la dittatura dell'impresa che impone la sua produzione, il suo metodo, la qualità e la natura di ciò che produce e che espropria i lavoratori della ricchezza che essi stessi producono.
Le imprese oggi dipendono dalle banche e nella maggior parte dei casi sono di proprietà degli azionisti. Per loro la decisione di sviluppare la produzione di un bene o di un servizio deve soddisfare due condizioni. Questo bene o servizio deve avere un valore d'uso, cioè deve essere più o meno utile e quindi soddisfare una domanda. Infine deve avere un valore di scambio: deve essere venduto. L'importo della sua vendita deve essere maggiore dell'importo della sua produzione e quindi creare un profitto. Sapendo che la sua produzione è possibile solo attraverso il lavoro, il suo valore di scambio è misurato dalla quantità di lavoro necessaria per produrlo. Quindi questo bene o questo servizio, diventa una merce.
Ad esempio, gli azionisti di McDonald's sanno che i loro hamburger hanno un valore d'uso per molte persone. Una domanda esiste, ma in realtà sono interessati solo al suo valore di scambio. Quanti minuti per fare un hamburger? Qual è lo stipendio dei salariati che hanno partecipato alla produzione dell'hamburger? Quanti dipendenti? A quanto verrà venduto l'hamburger? Quanto profitto per quanto investimento? Quanti dividendi pagati agli azionisti? Queste sono le uniche questioni che li preoccupano.
Il sistema sanitario privato funziona allo stesso modo. Non cerca di soddisfare i bisogni, cerca di realizzare un profitto. Questo è ciò che spinge una clinica o un EPHAD privata [parimenti a un RSA italiano, ndt] ad aumentare i posti letto o aprire una struttura perché pagato e a chiuderne un'altra perché non viene pagato, anche quando la popolazione ne ha bisogno. Questo è ciò che ha portato il gruppo KORIAN a risparmiare sui "costi di produzione" a tutti i livelli, al punto da mettere gli utenti in una situazione di abuso. E questo porterà a un'ecatombe di decessi da Covid-19 nei suoi reparti. La direzione è arrivata al punto di camuffare la malattia per preservare l'immagine del proprio marchio.
Il sistema sanitario pubblico, invece, è più complesso. Anche se questo sistema è dipendente dal sistema di mercato, in particolare perché è composto dagli stipendi del personale, dall'acquisto di attrezzature e prodotti farmaceutici, da infrastrutture, ecc., questa gestione e questi investimenti dipendono dal budget e dalle scelte politiche dei paesi, quindi dal risultato delle lotte sociali che si sono svolte. In questo caso, la mancanza di letti ospedalieri è il risultato di decisioni politiche dei governi che, a loro volta, hanno contribuito a distruggere un sistema sanitario relativamente dignitoso, che era stato strappato al prezzo di molte lotte. La posta in gioco della sua esistenza e del suo finanziamento deriva dall'equilibrio di potere tra i lavoratori, contro il duo Stato-padrone.
Sovrapproduzione e scarsità: il disordine della produzione capitalistica
Il capitalismo si basa sul lavoro salariato e sulla costante crescita del capitale che lo porta alle crisi che stiamo vivendo e che dà il ritmo ai mercati e quindi alla vita politica e sociale di tutti i paesi. Questa è una prima contraddizione, che non sarà superata senza una crisi rivoluzionaria. Se da un lato il capitalismo ha la capacità di rivoluzionare sé stesso, di inventare permanentemente nuove tecnologie, nuovi modi di produrre e sfruttare i lavoratori; se ha una capacità di dispiegare notevoli energie per produrre beni in maniera organizzata e militarizzata e distribuirli globalmente in modo frenetico, a un ritmo quasi omicida per il pianeta e per i suoi abitanti, questo stesso sistema invece, preso in maniera globale, si trova nell'impossibilità di convincere Stati e popoli a cooperare, anche se sono colpiti dallo stesso flagello. L'illusione dell'Unione Europea, evidente per la sua assenza durante la pandemia, è l'esempio più angosciante.
All'interno delle aziende la produzione e il lavoro sono organizzati con sapiente precisione. Tuttavia, nella società, la produzione nel suo insieme è disorganizzata, genera spreco, abbondanza per una minoranza e scarsità per la maggioranza. È stata la corsa sfrenata al profitto che ha portato, 6 mesi prima dell'epidemia, alla chiusura dello stabilimento Luxfer di Puy-de-Dôme, l'ultimo produttore francese di bombole di ossigeno per uso medico. Le politiche per ridurre i costi di produzione, sia nell'industria che nei servizi, provocano squilibri, carenze e catastrofi. Prevedere e prevenirli richiede potere sulle imprese. Tuttavia, la realtà mostra che sono le società, le banche, gli azionisti ad avere il potere.
Questo potere cresce con la crescita del capitale e del mercato mondiale. La libera concorrenza è solo una vecchia leggenda polverosa, perché oggi i rami industriali sono dominati da una manciata sempre più piccola di grandi gruppi che inghiottono o distruggono i loro concorrenti.
Se la piccola impresa richiede aiuti di Stato, sono invece queste grandi imprese, questi monopoli, che ordinano allo Stato di imporre nuove leggi sul lavoro o di ottenere risorse e materie prime a basso prezzo. Il loro potere finanziario e produttivo li rende padroni dell'economia e del potere. SANOFI o BOIRON sono grandi gruppi che dominano l'industria farmaceutica in Francia e in parte del mercato mondiale. Eppure l'80% del paracetamolo e il 100% dei farmaci generici sono prodotti in Cina.
Il fatto che in ogni paese uno o più monopoli dominino ogni ramo industriale, attenua il carattere anarchico della produzione capitalistica, conferendo alle nazioni l'aspetto di imprese polivalenti. Questa è solo un'apparenza superficiale.
La Coca-Cola è, ad esempio, la bibita numero 1 a livello mondiale e nessuno Stato del mondo potrà costringere Coca-Cola ad ad aprire un'azienda a casa propria o addirittura costringerla a mettere l'acqua in bottiglia, anche se la gente ha sete.
Ma la "libertà imprenditoriale" raggiunge il suo massimo quando uno o più rami industriali non possono produrre, distribuire e vendere perché la produzione è bloccata da una mancanza di sviluppo tecnologico, materie prime, energia o reti di trasporto. Da quel momento in poi, alleanze, consorzi di imprese che solitamente competono tra loro, si accordano per creare infrastrutture e strumenti produttivi che rispondano all' "interesse generale" della loro classe sociale: per fare strade, porti per trasportare merci o per la realizzazione di centrali elettriche che riforniscono le proprie fabbriche. Ciò avviene facendo pagare tutto o parte dell'investimento al denaro pubblico, al fine di limitare perdite e rischi per le aziende.
Tuttavia, sono le lotte operaie che hanno permesso di dare ad alcune di queste "imprese statali" un altro carattere, molto meno "naturale", quello del servizio pubblico. Fabbriche in cui i lavoratori sono riusciti a imporre parte delle loro aspirazioni e ad influenzare la gestione. È costringendo i padroni attraverso la lotta di classe che queste imprese statali sono state messe in parte al servizio dei lavoratori per soddisfare i loro bisogni. Stiamo parlando di salute, ma anche di porti, SNCF, EDF, France Télécom, ecc. Molti osservatori che hanno chiamato questo consenso "Stato-sociale", pensavano senza dubbio che il compromesso del dopoguerra sarebbe durato per l'eternità.
Ma queste ricchezze conquistate dalla lotta non hanno potuto essere salvaguardate perché il movimento sociale perse gradualmente il suo potere e il suo carattere di classe. Tutti i monopoli di Stato che occupano il mercato succulento e ambito dai capitalisti vengono gradualmente liquidati, fatti a pezzi, venduti o dati così come sono ai datori di lavoro. Per questo diciamo che lo smantellamento dei servizi pubblici utili ai lavoratori è la dimostrazione che, fino alla rivoluzione, qualunque cosa guadagniamo, i capitalisti lottano costantemente per riprendercela.
Intensificazione della crisi
Come abbiamo detto, il capitalismo è fatto di cicli di crisi; crisi di sovrapproduzione, crisi di sovraccumulo di capitale, crisi di borsa e quindi crisi politiche e sociali. La crisi era già presente prima della pandemia.
La produzione automobilistica, ad esempio, soggetta a una sovrapproduzione permanente da decenni anche se il pianeta non ha le risorse per permettere ad ogni famiglia di avere una singola automobile, ha determinato la sovrapproduzione di acciaio, plastica, gomma eccetera. Assistiamo anche alla crisi dei crolli del mercato azionario e all'esplosione di bolle speculative, che spingono alla demolizione degli strumenti industriali come le raffinerie e l'intera industria dei derivati del petrolio. Idem per i valori immobiliari che degenerano, privando migliaia di lavoratori di un tetto sopra la propria testa. Lo conferma anche l'accelerata distruzione dei servizi pubblici, anche se assistiamo all'aumento permanente del debito dello Stato. Allo stesso tempo, la disoccupazione aumenta e i salari continuano a diminuire, le condizioni di vita e di lavoro peggiorano mentre i numerosi conflitti globali per l'accesso alle risorse e la manodopera a basso costo provocano grandi movimenti di protesta popolare e acute tensioni politiche e sociali. Infine, l'industria delle armi e della tecnologia militare continua ad avanzare, innescando i conflitti geopolitici latenti della produzione e delle quote di mercato. Tutto questo esisteva prima del coronavirus.
Il capitalismo è un modo di produzione che funziona just-in-timee che cerca il massimo risparmio. Con il calo della produzione e del commercio mondiale legato all'epidemia, è ormai certo che la situazione peggiorerà. Questo è il motivo per cui molti governi hanno già annunciato che lo Stato fornirà aiuti giganteschi alle aziende per "preservare quanti più posti di lavoro possibile". Sono anche più di 100 i miliardi di euro che il governo francese afferma di pagare attraverso il suo "piano di emergenza economica" anche se il bilancio annuale dello Stato è fissato a circa 360 miliardi di euro e il debito pubblico è così alto che ripaga a malapena gli interessi.
Lo Stato francese sarebbe dotato di poteri magici e della capacità di generare denaro? A rischio di uccidere troppo in fretta la suspense, la risposta è no. Questi soldi provengono quindi da banche private verso le quali gli Stati sono - tutti - indebitati. Ecco il genio del sistema capitalista. I grandi proprietari capitalisti non hanno bisogno di dirigere lo Stato di persona poiché gli appartiene. In parole povere, i decisori politici prendono il posto dei manager del popolo.
È infatti attraverso il debito pubblico che le banche diventano proprietarie dello Stato, fungendo da banchi di pegno per un prestito non rimborsabile e da ufficiale giudiziario, quando si tratta di sequestrare tutti i beni e servizi che si credeva fossero essere "proprietà della nazione". Il debito pubblico è quindi l'unica proprietà collettiva dei lavoratori nel capitalismo. I padroni non si versano i soldi da soli, sarebbe un'operazione somma zero. Chiedono oggi la "solidarietà collettiva" per salvare la proprietà e la "libertà d'impresa", fingersi vittime e versare lacrime di coccodrillo mentre la crisi che essi stessi hanno creato origina milioni disoccupati, tutto questo è una crudele ironia.
La questione della disoccupazione si porrà quindi seriamente. Ma non facciamo errori: né il governo, né i padroni stanno davvero combattendo contro la disoccupazione. Perché la disoccupazione costringe i lavoratori a litigare tra loro per trovare un lavoro. Più alta è la disoccupazione, più i lavoratori sono costretti ad accettare salari bassi e condizioni di lavoro che avrebbero rifiutato se ci fosse stata abbondanza di scelta. Eppure, ormai da anni, i grandi capi dicono che se permettiamo loro di assumere più lavoratori temporanei, contratti a tempo determinato, se permettiamo loro di pagare meno contributi sociali e tasse, creeranno posti di lavoro come promesso. Tuttavia, vediamo che i regali a favore delle aziende si sono moltiplicati. Il bilancio è testardo: la disoccupazione è aumentata, le ricollocazioni sono continuate, i servizi pubblici chiudono e la precarietà dei contratti brevi è diventata una realtà per la maggioranza delle persone che entrano nel "mercato del lavoro".
È anche certo che, a seguito del blocco, alcuni settori minacciati dai licenziamenti accelereranno i loro "piani di ristrutturazione", come stiamo già vedendo accadere ad Arcelor, SAD, nell'industria automobilistica, ecc. mentre altri settori cercheranno di colmare le carenze aumentando il carico di lavoro; aumentando gli straordinari e assumendo a bassi salari e con contratti temporanei, dalla massa crescente di disoccupati.
La crisi porta alla luce il carattere criminale e calcolatore del capitalismo morente.
Nei suoi momenti di stabilità moribonda e per il buon funzionamento delle sue fabbriche frantumatrici di vite, il capitale ha interesse ad un'istruzione pubblica accordata a sé stesso, alla sua necessità di manodopera e a una sanità pubblica come mezzo per riprodurre lavoratori sani.
Tuttavia, nella sua crisi, questo stesso capitale deve eliminare parte della classe operaia dalla produzione, non esitando un secondo ad abbandonare completamente l'istruzione e la salute che diventano un'opzione di comfort e a tagliare strumenti e macchine. Non deve rimanere una briciola di dignità per i lavoratori disoccupati
In conclusione, è chiaro: la gestione della crisi è un disastro. Ma come poteva essere altrimenti? Una società che produce per lo scambio, piuttosto che per soddisfare i bisogni, porta naturalmente alle aberrazioni che abbiamo citato. E se, come i nostri colleghi sindacalisti, affermiamo che la salute non deve essere una merce, affermiamo anche che cibo, energia, alloggio ecc. neanche dovrebbero esserlo.
L'origine del problema sta nel fatto che il potere dipende dalla proprietà privata dei mezzi di produzione. Solo i padroni delle imprese hanno il potere di decidere cosa produrre e come produrlo. Ne consegue naturalmente che la società è estremamente organizzata all'interno dell'azienda, ma è estremamente disorganizzata, irrazionale se si guarda all'insieme della produzione globale delle imprese. La produzione delle merci comporta un sovrafruttamento dei lavoratori e un notevole spreco di energia. Così, il capitalismo realizza questo miracolo: una società di sovrapproduzione e penuria.
I servizi pubblici in qualche modo contraddicono quest'anarchia della produzione. Tuttavia, sono la bozza molto incompleta di ciò che i lavoratori si aspettano dalla socializzazione dei mezzi di produzione. Proprietà effimera della nazione, cioè di tutte le classi, i servizi pubblici sono cosa dello Stato del capitale. Pertanto non sono orientati verso i bisogni dei lavoratori, peggio ancora, tendono ad operare allo stesso modo delle imprese capitaliste all'insegna del dogma della riduzione dei costi, della meccanizzazione e del dispotismo manageriale. Trionfo senza gloria, senza la rottura di una rivoluzione completa della società, i progressi sociali rimangono tuttavia una vittoria nella coscienza dell'organizzazione e nel potere dei lavoratori.
C'è stato un tempo in cui il capitalismo si riprendeva dalle crisi perché aveva ancora possibilità di espansione: c'erano ancora molte persone da espropriare e trasformare in salariati. Oggi il sistema è globale. Non c'è scampo: i capitalisti non hanno altra scelta che schiacciare i proletari riducendo i salari, distruggendo i servizi pubblici e la protezione sociale, distruggendo gli strumenti del lavoro, attraverso la guerra. La violenza della sua repressione è logica: occorre colpire innanzitutto impedendo qualsiasi possibilità di ribellarsi, vietare manifestazioni, soffocare scioperi e rivolte, alimentare tutte le divisioni nazionalistiche, culturali, mantenere costantemente le discriminazioni, soffocare la lotta di classe.
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