www.resistenze.org - popoli resistenti - gran bretagna - 06-06-05

da http://www.rassegna.it/


Gran Bretagna

 

Il sindacato denuncia casi di lavoro forzato

 

V.L.

 

“Questo studio dimostra che nel nostro paese, ancora oggi, gli immigrati possono vivere situazioni di lavoro forzato”. È la denuncia che la centrale sindacale inglese Trade union congress (Tuc) fa delle condizioni di vita e di lavoro di molti migranti che, nel Regno Unito, vengono sfruttati e ricattati anche in settori apparentemente sicuri e regolari.

Con una lunga serie di dati, racconti e interviste, un recente rapporto del Tuc mette in luce una realtà insospettabile per un paese europeo civile e avanzato, descrivendo storie di vera e propria schiavitù. Il rapporto ha contribuito ad animare il dibattito sull’immigrazione al centro dello scontro politico tra la destra conservatrice e la sinistra laburista e quella radicale. I Tories guidati da Michael Howard hanno fatto della lotta ai clandestini una bandiera, alle ultime elezioni, chiedendo una linea più dura e una forte limitazione anche all’ingresso dei regolari.

Nella preoccupazione costante di perdere consensi al centro, il New-Labour non ha proposto, però, un’alternativa concreta al programma dei conservatori, anzi ha promesso nuove e più drastiche misure per ridurre gli arrivi. Anche per combattere queste forme di ignoranza e di pregiudizio, il sindacato si è impegnato in una campagna di denuncia dello sfruttamento cui sono sottoposte migliaia di lavoratori, non solo irregolari, provenienti dall’Asia, dall’America latina e dall’Est europeo. Nello studio del Tuc, realizzato in collaborazione con l’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) e le università di Oxford e del Sussex, sono state considerate e analizzate le diverse forme esistenti di lavoro forzato in Gran Bretagna: si va dalla violenza fisica e sessuale a quella psicologica, con intimidazioni e minacce, dalla schiavitù del debito contratto per emigrare ai ricatti e alla sottrazione dei documenti o dello stipendio.

Le somme che le imprese, le agenzie di caporalato e le reti mafiose di connazionali detraggono dai salari, ad esempio, servono quasi sempre a ripagare il debito contratto per il viaggio (chi viene dalla Cina arriva a spendere anche 20 mila euro) o per i documenti, spesso con una forte maggiorazione di interessi. Oppure si deducono arbitrariamente i costi di affitto, di trasporto e degli stessi abiti da lavoro che l’azienda fornisce.

Ma il dato politico più rilevante dello studio riguardo alla nuova legge dell’immigrazione, molto simile alla nostra Bossi-Fini, è l’aumento del rischio di sfruttamento che comporta la totale dipendenza dal contratto di lavoro per riuscire a ottenere un permesso di soggiorno. Ovviamente, la maggior parte di queste persone deve essere tenuta in uno stato di ignoranza e di assoluto isolamento, così da non permettere alcuno scambio di informazione o possibilità di denuncia. I ricercatori fanno anche notare che gli abusi non avvengono solo nelle situazioni più prevedibili di lavoro nero e illegale, come la prostituzione, ma si verificano anche in settori formali dell’economia inglese, come quello agricolo e quello alimentare o nelle costruzioni, nel turismo e anche nell’assistenza sanitaria. Sono le stesse amministrazioni pubbliche, a volte, a favorire involontariamente i trafficanti. Le continue privatizzazioni costringono comuni e province a ricorrere al sistema degli appalti e dei subappalti al minor costo, senza controlli seri sui contratti e le reali condizioni di lavoro.

(www.rassegna.it, 3 giugno 2005)