Gran Bretagna
Il sindacato denuncia casi di lavoro forzato
V.L.
“Questo studio dimostra che nel nostro paese, ancora oggi,
gli immigrati possono vivere situazioni di lavoro forzato”. È la denuncia che
la centrale sindacale inglese Trade union congress (Tuc) fa delle condizioni di
vita e di lavoro di molti migranti che, nel Regno Unito, vengono sfruttati e
ricattati anche in settori apparentemente sicuri e regolari.
Con una lunga serie di dati, racconti e interviste, un recente rapporto del Tuc
mette in luce una realtà insospettabile per un paese europeo civile e avanzato,
descrivendo storie di vera e propria schiavitù. Il rapporto ha contribuito ad
animare il dibattito sull’immigrazione al centro dello scontro politico tra la
destra conservatrice e la sinistra laburista e quella radicale. I Tories
guidati da Michael Howard hanno fatto della lotta ai clandestini una bandiera,
alle ultime elezioni, chiedendo una linea più dura e una forte limitazione
anche all’ingresso dei regolari.
Nella preoccupazione costante di perdere consensi al centro, il New-Labour non
ha proposto, però, un’alternativa concreta al programma dei conservatori, anzi
ha promesso nuove e più drastiche misure per ridurre gli arrivi. Anche per
combattere queste forme di ignoranza e di pregiudizio, il sindacato si è
impegnato in una campagna di denuncia dello sfruttamento cui sono sottoposte
migliaia di lavoratori, non solo irregolari, provenienti dall’Asia,
dall’America latina e dall’Est europeo. Nello studio del Tuc, realizzato in
collaborazione con l’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) e le
università di Oxford e del Sussex, sono state considerate e analizzate le
diverse forme esistenti di lavoro forzato in Gran Bretagna: si va dalla
violenza fisica e sessuale a quella psicologica, con intimidazioni e minacce,
dalla schiavitù del debito contratto per emigrare ai ricatti e alla sottrazione
dei documenti o dello stipendio.
Le somme che le imprese, le agenzie di caporalato e le reti mafiose di
connazionali detraggono dai salari, ad esempio, servono quasi sempre a ripagare
il debito contratto per il viaggio (chi viene dalla Cina arriva a spendere
anche 20 mila euro) o per i documenti, spesso con una forte maggiorazione di
interessi. Oppure si deducono arbitrariamente i costi di affitto, di trasporto
e degli stessi abiti da lavoro che l’azienda fornisce.
Ma il dato politico più rilevante dello studio riguardo alla nuova legge
dell’immigrazione, molto simile alla nostra Bossi-Fini, è l’aumento del rischio
di sfruttamento che comporta la totale dipendenza dal contratto di lavoro per
riuscire a ottenere un permesso di soggiorno. Ovviamente, la maggior parte di
queste persone deve essere tenuta in uno stato di ignoranza e di assoluto
isolamento, così da non permettere alcuno scambio di informazione o possibilità
di denuncia. I ricercatori fanno anche notare che gli abusi non avvengono solo
nelle situazioni più prevedibili di lavoro nero e illegale, come la
prostituzione, ma si verificano anche in settori formali dell’economia inglese,
come quello agricolo e quello alimentare o nelle costruzioni, nel turismo e
anche nell’assistenza sanitaria. Sono le stesse amministrazioni pubbliche, a
volte, a favorire involontariamente i trafficanti. Le continue privatizzazioni
costringono comuni e province a ricorrere al sistema degli appalti e dei
subappalti al minor costo, senza controlli seri sui contratti e le reali
condizioni di lavoro.
(www.rassegna.it, 3 giugno 2005)