Apparso in “La Rinascita della sinistra”
10 febbraio 2006
Quando la “libertà” significa fame
Conversazione con padre Vitol, direttore
della Caritas georgiana
di Federico Bonadonna
Abbiamo incontrato il Direttore della Caritas Georgiana, Padre Vitol, in
occasione del convegno europeo, “Le politiche sociali tra emergenza e
progetto”. Il suo intervento è stato breve ma molto intenso e ha lasciato un
retrogusto decisamente amaro alla platea composta da alte cariche istituzionali
dei governi locali di Parigi, Roma, Barcellona e la stessa Tbilisi tra gli
altri.
Padre Vitol ha esordito con il suo italiano asciutto dicendo: “Io penso che
nessuno di noi vent’anni fa pensava che il muro di Berlino sarebbe crollato
così velocemente, né tanto meno che l’Unione Sovietica sarebbe stata distrutta.
Nessuno poteva immaginare che nel mondo dove vivo da dodici anni, la Georgia,
ci sarebbero stati così tanti cambiamenti radicali. Io penso semplicemente che
nessuno credeva che tutto questo sarebbe mai potuto accadere. Ma per la gente,
per le persone, per i miei stessi amici georgiani, la caduta del comunismo era
attesa e auspicata. E adesso tutto è cambiato: il comunismo non c’è più e qui
da noi si sente dire che adesso, finalmente, abbiamo la democrazia, abbiamo la
libertà. Va bene, dico io”.
Fa una breve pausa Padre Vitol squadrando attentamente il suo pubblico per poi
riprendere: “Molti dei nostri poveri mi chiedono: “ma che cosa significa la
libertà?” Significa che pagando cento dollari puoi avere il passaporto. Peccato
però che la pensione media per un anziano è di quindici dollari al mese”.
S’interrompe ancora Padre Vitol per poi chiedere retoricamente: “Ma cosa
significa veramente la libertà se ai tempi sovietici lo stato assicurava il
lavoro, la scuola, la sanità, le vacanze, la luce, il gas, il riscaldamento e
così via, a tutti i suoi cittadini e oggi che in Georgia c’è la democrazia per
l’ospedale devi pagare altrimenti, se stai male, muori?”. E ancora: “Cosa
significa libertà se il lavoro non c’è almeno per la metà della popolazione e
chi ha la fortuna di lavorare negli uffici statali guadagna tra i 50 e i 60
dollari al mese? Cosa significa libertà se le scuole sono a pagamento e molti
bambini non possono frequentarle perché i genitori non hanno soldi per comprare
le scarpe ai propri figli?”.
La platea ascolta in silenzio. “Io non sono mai stato comunista” specifica
Padre Vitol, “ma quello che sto dicendo è sotto gli occhi di tutti e ci pone
delle domande semplici, ma molto serie. Certo, io mi rendo conto che non si può
provvedere a tutto, almeno questo mi dice la mia esperienza di dodici anni di
lavoro in Georgia e undici come direttore della Caritas, ma il discorso fatto
dal vice sindaco di Tbilisi sulla libertà e la democrazia mi ha molto sorpreso,
perché io ho paura di essere capitato in un’altra favola, perché io arrivo da
un mondo totalmente diverso da quello descritto da lui!”. Prima dell’ultima
rasoiata, Padre Vitol si blocca. Poi riprende: “Sono venuto qui a Roma per
questa conferenza con la speranza di imparare qualche cosa, di incontrare
qualcuno che mi insegnasse qualche cosa, però non nascondo che non è stato
così. Cosa andrò a dire alla mia povera gente, circa ottocento persone che ogni
giorno mangiano alla nostra mensa per i poveri e ogni giorno mi guardano e mi
chiedono: “Padre, domani ci sarà il pranzo?”. Il prete sorride con mezza bocca
gelando il pubblico con i suoi occhi azzurri e poi conclude: non potrò far
altro che continuare a dirgli: “pregate e forse ci sarà”.
Federico Bonadonna