Giappone / La
campagna di primavera dei sindacati
Moderazione salariale ma certezza dei diritti
di Ornella Cilona
Per un lavoro stabile e tutelato: è questo in sintesi il significato della
campagna di primavera (Shunto) lanciata dal maggiore sindacato giapponese,
Rengo. Si tratta di un importante cambiamento di strategia rispetto agli anni
passati: al centro delle rivendicazioni, infatti, è stata a lungo
l’introduzione di incrementi salariali automatici e periodici, basati
sull’aumento del costo della vita, sulla scia di quanto già avviene in Europa.
“Il quadro economico si è però deteriorato – avvertono dal quartiere generale
di Rengo – e, invece di puntare sull’aumento delle paghe, abbiamo preferito
difendere i diritti che già esistono contro la minaccia di un’ondata di
licenziamenti”. L’obiettivo è dunque rinforzare gli argini contrattuali contro
la possibilità di dismissioni in massa. A dire il vero il tasso di
disoccupazione non è per ora particolarmente elevato (alla fine del 2002 era al
5,5 per cento), se comparato con le cifre dell’Europa meridionale. Ma al
sindacato, abituato a negoziare in tempi di piena occupazione o quasi, appare
elevatissimo.
La campagna del sindacato si presenta tutta in salita. Gli economisti ritengono
infatti che il tasso di disoccupazione sia destinato a salire ancora nel corso
dell’anno, soprattutto fra le donne. In primo luogo perché molte aziende si
trovano nell’impossibilità di restituire i prestiti faraonici contratti negli
anni passati, e per questo saranno forse costrette a cessare alcune attività. A
preoccupare i vertici di Rengo, inoltre, è la ricomparsa di un male che si
credeva debellato per sempre: la deflazione, vale a dire una flessione
generalizzata dei prezzi alimentata dalla depressione del quadro economico generale,
in particolare dei consumi. A novembre 2002 i prezzi sono diminuiti dello 0,8
per cento su base annua. La situazione non è migliorata in questo scorcio del
2003, nonostante i buoni propositi del primo ministro Junichiro Koizumi e il
lancio della politica dei tassi zero da parte della Banca centrale. Il Giappone
è l’unico paese industrializzato in cui la deflazione è tecnicamente in atto
(la Germania vi si sta pericolosamente avvicinando), rendendo poco o nulla
remunerativi numerosi impianti. Rengo accusa la strategia scelta da Koizumi per
evitare il calo dei prezzi, perché sottovaluta l’impatto negativo della
deflazione sul mercato del lavoro.
La scure dei licenziamenti potrebbe abbattersi sui due settori più in
difficoltà: la grande distribuzione – dove le vendite sono calate del 4,2 per
cento – e soprattutto l’abbigliamento, che lamenta una flessione del 12,7 per
cento. A rischio di licenziamento sono in particolare i lavoratori più anziani,
che rappresentano una fetta consistente dell’occupazione complessiva. In
Giappone, infatti, oltre il 60 per cento della popolazione fra i 55 e i 64 anni
continua a lavorare. Oltre alla deflazione, il sindacato giapponese teme la
stasi degli altri indicatori economici. Il pericolo è che una nuova recessione
si affacci dietro l’angolo. Per il 2003 il governo prevede un aumento del
prodotto interno lordo inferiore all’1 per cento. Nel 2002 la produzione
industriale è diminuita dell’1,4 per cento rispetto all’anno precedente –
secondo anno consecutivo di calo –, anche per effetto dell’apprezzamento dello
yen nei confronti della valuta statunitense, che ha reso meno competitive le
merci giapponesi. Altrettanto allarmanti si presentano i dati sulle
esportazioni, da sempre motivo d’orgoglio per Tokyo. Nel 2002 quelle verso gli
Usa – il principale mercato – sono salite solo dell’1 per cento, mentre le
vendite nell’Unione europea sono addirittura scese del 2 per cento.
Il sindacato spera che l’impressionante potenziale tecnologico di cui godono i
grandi gruppi – grazie alle iniezioni massicce di capitale pubblico nei
programmi di ricerca e sviluppo – possa ridare ossigeno al sistema economico
nel suo complesso, fermando la perdita di occupazione: oggi in Giappone la
quota media del fatturato investita in innovazione ammonta infatti al 5,7 per
cento, oltre un punto in più rispetto a quella dei rivali statunitensi, e ben
due punti in più rispetto all’Ue. È quasi certo però che, come ha dichiarato il
ministro dell’Economia, Haido Takenaka, ci vorranno ancora due anni per parlare
di ripresa: la campagna sindacale di primavera rischia dunque di durare molto
più dei canonici quattro mesi. Anche se l’obiettivo di una maggiore tutela
dell’occupazione rimane prioritario, Rengo intende realizzare altri tre punti
del programma per il nuovo anno: difesa della paga base; miglioramento delle
condizioni per gli occupati a tempo parziale; abolizione degli straordinari non
pagati e riduzione dell’orario di lavoro.
(Rassegna sindacale, n. 9, 6-12 marzo
2003)