www.resistenze.org - popoli resistenti - giappone - 12-03-12 - n. 400

da www.rebelion.org/noticia.php?id=146075
Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
L'11 marzo si compie un anno dalla fuga radioattiva di Fukushima
 
La pressione sociale obbliga il Giappone a chiudere quasi tutti i suoi reattori nucleari
 
di Ignacio J. Miñambres e Takuro Hoguchi - Diagonal
 
Tokyo, 09/03/2012
 
Nell'anniversario del disastro nucleare, non cessano le proteste in Giappone. In aprile, le poche centrali aperte si devono fermare per la revisione, rimarranno attivi solo due reattori.
 
- El legado de Fukushima, a un año de la catástrofe (L'eredità di Fukushima, ad un anno dalla catastrofe) 
- Contaminación del mar tras Fukushima  (Inquinamento del mare dopo Fukushima)
 
L'11 marzo si compie un anno da quando il maremoto verificatosi a nordest dell'isola di Honshu, in Giappone, scatenò la catastrofe nella centrale nucleare di Fukushima. Da quel giorno, dei 53 reattori su cui contava il Giappone, 10 hanno chiuso definitivamente, 14 sono in pessime condizioni e i restanti sono fermi.
 
In aprile, solo due reattori rimarranno attivi in Giappone. In questo c'entra molto la pressione popolare. L'accampamento di protesta, iniziato in seguito al disastro nucleare, prosegue di fronte al Ministero dell'Energia (METI) a Tokyo e compirà la sua 178° giornata. Il modesto accampamento è composto da tre tende di robusta tela bianca, incassate tra il marciapiede e le fioriere del ministero, non occupa nemmeno un palmo di spazio pubblico del grigio distretto di Kasumigaseki, ma il suo potere simbolico si estende assai oltre.
 
Accampamenti e marce
 
La manifestazione di protesta che il 9 settembre 2011 commemorava mezzo anno dalla fissione del nucleo di Fukushima Daiichi, culminò con una catena umana che circondò completamente l'isolato del ministero. Dopo quella marcia, un gruppo di cittadini della prefettura di Yamaguchi cominciò uno sciopero della fame davanti alla porta del ministero, per chiedere che fosse bloccata la costruzione di una nuova centrale nucleare, che si sta realizzando nella loro provincia vicino al paese di Kaminoseki. Lo sciopero della fame durò per dieci giorni, ma la tenda innalzata a sostegno degli scioperanti rimase anche dopo. In realtà, l'accampamento si ampliò con una nuova tenda, quando pure un gruppo di danneggiati di Fukushima si recò a Tokyo a dimostrare il proprio malcontento, per l'assenza di trasparenza da parte delle autorità e della compagnia elettrica Tokyo Electric Power (TEPCO) che opera a Fukushima.
 
La presenza costante degli attivisti, quantunque in numero esiguo, testimonia la tenacia del movimento antinucleare giapponese. Le richieste degli attivisti vanno al di là di quanto riguarda la mera gestione del disastro nucleare. Kazuyuki Tokune, membro del gruppo permanente di gestione dell'accampamento, non ricorre agli abituali eufemismi giapponesi quando parla: "Il Giappone non è una democrazia; dobbiamo funzionare secondo una costituzione e delle leggi scritte dalla gente, non calate dall'alto", dice con riferimento alla costituzione, che mai è stata modificata.
 
Non è prevista una data conclusiva dell'accampamento e, secondo Kazukuyi, si continuerà a stare lì "finché il Governo non avrà rivelato tutta la verità ed adottato le misure richieste dai danneggiati". Com'è abituale nelle mobilitazioni in Giappone, la mancanza di copertura mediatica è stata totale. "Solo il 27 gennaio, quando il ministro in persona venne a verificare se obbedivamo ad un ultimatum di sgombero che ci aveva inviato, giunsero alcune telecamere della televisione" racconta Kazukuyi. "Quel giorno ci appoggiò un concentramento di oltre 800 persone. Non ci muoveremo di qui solo perché lo dicono loro, stiamo semplicemente facendo uso pacifico della nostra libertà d'espressione", conclude. La stampa giapponese ha avuto un comportamento oscillante tra il vuoto abituale con cui punisce i movimenti sociali nel paese e l'incapacità di ignorare, contenere e comprendere ciò che stava accadendo per le strade dal terremoto di marzo.
 
Dopo la massiccia manifestazione che il 10 aprile, un mese dopo la catastrofe, fece uscire spontaneamente 17.500 persone per le strade del quartiere di Koenji, rispondendo ad una convocazione svincolata da qualsiasi gruppo politico e persino da qualunque organizzazione non governativa tradizionale, il Japan Times informava che: "Circa 15.000 persone hanno preso parte ad una manifestazione nella stazione di Koenji, distretto di Suginami, organizzata dai negozianti della zona". Il surrealismo dell'idea che alcuni negozianti dei sobborghi possano mobilitare decine di migliaia di persone, mostra l'ignoranza circa le profonde evoluzioni sociali vissute dal paese nipponico durante i 20 anni di crisi trascorsi dall'esplosione della sua bolla speculativa.
 
Negozianti e centrali nucleari
 
I "negozianti di Koenji" citati dall'articolo del Japan Times sono, in realtà, il gruppo Shiroto no Ran (Ribellione dei principianti), una piattaforma d'attivisti insediati nel distretto suddetto a ovest di Tokyo: nel corso di oltre un decennio hanno immaginato ogni tipo di convocazione e mobilitazione con cui rompere l'accerchiamento legale e politico all'espressione dei cittadini in Giappone. Azioni creative e stravaganti, aventi per denominatore comune recuperare lo spazio pubblico, a fronte del costante incremento delle limitazioni e del controllo subito negli anni dalla popolazione giapponese, azioni raccolte in un documentario che è stato presentato in luoghi come Corea del Sud e Taiwan, dove sono considerati un riferimento dell'attivismo del nuovo millennio in Giappone. Effettivamente, Shiroto no Ran è anche il nome di una serie di negozi e caffetterie a Koenji, che sono parte significativa del collettivo e sono numerate in modo strambo, parodiando le numerose catene commerciali che si estendono in lungo e in largo in Giappone. Esiste il negozio numero 5, ma nessuno al di sotto di questo numero, il 7, il 9…
 
Shiroto no Ran 12 è un locale dove avvengono riunioni ed attività dei collettivi di zona. Ma è logico supporre che una stampa, esperta in conferenze stampa d'uffici governativi e in notizie riguardanti idoli pop, più che nelle centinaia di migliaia di giovani giapponesi con contratti precari ad ore e senza alcun tipo d'assistenza sociale, non ne abbia mai sentito parlare.
 
Non è neppure strano che la stampa tradizionale abbia difficoltà a captare l'evoluzione degli avvenimenti dopo l'esplosione della crisi nucleare. Il movimento non si è andato indebolendo ed estinguendo, come ci si aspettava a fronte dell'abituale miscuglio di vuoto informativo e pressione poliziesca, con cui le autorità giapponesi accolgono qualunque indizio di critica sociale, ma si è fortificato nel tempo: i 15.000 manifestanti del 10 aprile sono diventati 20.000 l'11 giugno ed i 10.000 di Koenji il 19 settembre si sono sommati ad un'altra convocazione in contemporanea nel centro della città, cui hanno partecipato 60.000 persone.
 
La nefasta gestione del Governo e della compagnia elettrica TEPCO, non hanno fatto altro che alimentare ancor più lo scontento e mobilitare altri settori della popolazione e, un anno dopo, le azioni in diverse zone di Tokyo hanno carattere settimanale. "È la prima volta che partecipo ad un atto del genere", dice il giovane Yousuke il 29 gennaio 2012 alla Manifestazione Twitter (così chiamata per essere stata convocata tramite il social network), che percorre le strade del frequentato quartiere del tempo libero di Shibuya. "Non pensavo che fosse così, temevo che fosse qualcosa di più…", non sa come concludere la frase. Magari "violento" o "pericoloso" è la parola che manca a Yousuke.
 
Chiudere le centrali nucleari
 
Che manifestare per le strade fosse un'attività pericolosa e criticabile era, fin'ora, un concetto profondamente inculcato nella mente dei giapponesi, tanto dalle immagini delle convulse lotte dell'estrema sinistra negli anni '70, quanto da un'educazione formale che si era man mano assicurata il convincimento, fin da piccoli, che dissentire dalle autorità fosse contrario allo spirito della società giapponese. Il movimento antinucleare ha svolto un grande lavoro didattico nella società giapponese. "Adesso non c'insultano più - commenta Satoko - all'inizio ci rimproveravano, come se stessimo facendo qualcosa di brutto o vergognoso". A fine aprile i pochi reattori che ancora sono attivi in Giappone dovranno sospendere le operazioni per l'obbligatoria revisione. Per il momento tutte le centrali fermate non hanno riavviato l'attività, a causa dell'opposizione locale; riprenderanno solo quando avranno l'approvazione del Governo e dell'autorità locale, e la pressione dei cittadini sui Municipi sta riuscendo a paralizzare una ad una le centrali del Giappone.
 
Fonte: www.diagonalperiodico.net/La-presion-social-obliga-a-Japon-a.html
 

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