www.resistenze.org - popoli resistenti - guatemala - 26-10-09 - n. 292

da www.cimacnoticias.com/site/09102303-Guatemaltecas-exige.39744.0.html
Traduzione a cura di Mujeres Libres Blog
 
Guatemalteche esigono il miglioramento delle loro condizioni lavorative
 
Diverse organizzazioni che agiscono per la tutela dei diritti delle donne lavoratrici guatemalteche, hanno richiesto con forza alle autorità di tutelare il pieno rispetto delle garanzie lavorative e l’annullamento dello sfruttamento lavorativo imperante in diverse parti del paese.
 
La leader di tali organizzazioni, María Olimpia Cruz, sottolinea che il Guatemala attraversa una situazione difficile non solo a livello economico, ma anche per l'ondata di violenza che colpisce tutte e tutti i guatemaltechi, in particolar modo le donne.
 
Segnala che le lavoratrici subiscono diverse violazioni dei loro diritti: la chiusura indiscriminata delle imprese tessili, i massacranti orari, il basso salario della maggioranza delle braccianti agricole, la discriminazione e l’abuso sessuale nei posti di lavoro.
 
I dati dell'area tessile e dell’esportazione dimostrano che i salari sono sotto i 47,75 quetzales (ndr 3,81 euro) giornalieri; più di 90 mila persone operano in questo settore, la maggior parte senza la tutela della legge, la maggior parte donne.
 
Per le donne che lavorano in queste situazioni, il principale problema è la mancanza di una legislazione che le tuteli: hanno infatti orari eccessivi di lavoro e bassi salari. Le iniziative di legge presentate per migliorare queste condizioni rimangono nei cassetti - ha sottolineato María Olimpia Cruz.
 
Era ora che venisse allo scoperto, quanto le donne guatemalteche siano vittime dello sfruttamento lavorativo, dell’abuso sessuale e delle discriminazioni etniche.
 

 
da www.elpais.com/articulo/internacional/mujeres/victimas/laborales/Guatemala/elpepuint/20091024elpepuint_2/Tes
Traduzione a cura di Mujeres Libres Blog
 
Le donne, vittime del lavoro in Guatemala
 
Circa 90mila lavoratori del settore tessile in Guatemala, l’80 % donne, hanno perso il loro lavoro nell’ultimo anno: questo è quanto  hanno denunciato giovedì scorso 8 collettivi femministi. I disoccupati rimangono nel più assoluto abbandono perché la maggioranza di queste imprese si fanno beffa delle leggi, senza che lo Stato prenda nessun provvedimento.
 
Di fronte a questa situazione, organizzazioni di donne lavoratrici hanno realizzato questa settimana alcune riunioni con lo scopo di trovare meccanismi per rivendicare condizioni lavorative regolate dalle normative internazionali, per garantirsi un lavoro decente ed un salario degno.
 
Tre sono le fonti principali di lavoro per la donna guatemalteca: l'industria tessile (capi di abbigliamento), il lavoro domestico e l’industria agricola. In tutti e tre i settori si violano i diritti lavorativi, la cui ultima causa è un investimento pari a zero nel capitale umano.
 
Il Guatemala, come dimostrano le statistiche degli organismi internazionali come la Commissione Economica per l'America Latina (Cepal), ha i livelli più bassi di scolarità dell'America Centrale, con una media di sei anni nella popolazione economicamente attiva.
 
Ma, secondo la denuncia, il dramma avviene principalmente nelle imprese tessili, dove vengono imposti obiettivi che obbligano le lavoratrici a giornate di 12 e 14 ore, senza che sia riconosciuto loro alcun straordinario.
 
Nelle aziende tessili, come riferisce l’Agenda Economica e Lavorativa preparata dai collettivi femministi, "non sono adottate le norme di tutela della salute, sicurezza ed igiene sul lavoro". Viene denunciata anche la larga diffusione dell’"abuso e delle molestie sessuali" e di "trattamenti lavorativi aggressivi e violenti" che arrivano anche a situazioni estreme in cui si obbligano le lavoratrici "ad ingerire sostanze stimolanti per far loro superare la stanchezza per lo sforzo alle quale sono sottoposte".
 
"Gli imprenditori del settore tessile hanno trovato il modo di eludere le leggi tramite la doppia contabilità. Forniscono dati alla previdenza sociale, rispetto al numero di lavoratrici, diversi da quelli che forniscono al fisco" - ci ha raccontato María Eugenia Díaz, coordinatrice del programma Diritti della Donna del Centro di Azione Legale dei Diritti umani (Caldh)
 
La sfacciataggine arriva, in alcuni casi, all'estremo limite di non registrare le quote di previdenza sociale delle lavoratrici.
 
"Abbiamo documentato casi di lavoratrici che, quando hanno dovuto ricorrere al medico, hanno dovuto superare una serie di intoppi imposti dai padroni, come il rifiuto di fornire il certificato di lavoro. Quando finalmente questo è stato fornito, le lavoratrici hanno constatato che negli archivi dell'Istituto Guatemalteco di Previdenza Sociale , non risultava alcun pagamento delle loro quote, anche se loro avevano puntualmente lavorato" - spiega.
 
Díaz commenta che il 90% dei prodotti esportati dal Guatemala, portano il marchio del sudore e delle lacrime di donne e bambini di 10 e 11 anni. C’è da sottolineare che i minorenni, non hanno accesso alla previdenza sociale, perché il loro lavoro è illegale e riscuotono "solo tra il 50 ed il 60 % del salario stabilito per ogni attività".
 
L'industria tessile, nell’intento di attirare gli investimenti stranieri, gode in Guatemala di 10 anni di libertà dalle imposte: in teoria ciò è permesso per favorire lo slancio nel paese dell'infrastruttura industriale già presente , in modo che dopo il decimo anno possa funzionare normalmente.
 
In realtà quando si avvicina il termine dei 10 anni, accade che il lavoro venga sospeso, lasciando a casa le lavoratrici, per poi aprire, con un'altra ragione sociale e nuovo personale, altre situazioni lavorative. Díaz denuncia a tutti gli effetti l'inoperosità del Ministero di Lavoro.
 
"La legge si burla impunemente. Il meccanismo più usuale è quello dell'impresa che chiude di punto in bianco le proprie attività, senza abbonare alle proprie operaie le prestazioni che la legge contempla. Nella maggior parte dei casi sono le operaie a dover pagare,dopo lunghe dispute lavorative" sottolinea l'attivista, che ricorda una frase di Mario López Larrave, uno dei più importanti sindacalisti guatemaltechi assassinato durante la repressione militare degli anni settanta del secolo scorso: "In Guatemala prima arriva la fame e dopo spunta la giustizia".