www.resistenze.org - popoli resistenti - guatemala - 12-07-11 - n. 372

da http://alainet.org/active/47910
Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
La politica della paura
 
di Andrés Cabanas
 
Alai amlatina
 
10/07/2011
 
La violenza come strumento di egemonia politica ed economica non è nuova nella storia del Guatemala: al contrario, appare come una costante strutturale, sia nelle modalità che nelle conseguenze di immobilismo sociale. Tuttavia, la violenza di questi giorni, da qualunque parte provenga, la creazione sistematica e costante del terrore, la sua struttura che parte da molteplici interessi, talvolta interconnessi e talvolta contrapposti (criminali, politici, economici, personali, di ragioni di Stato), la sua appartenenza alla razionalità elettorale e politica, supera qualsiasi precedente scenario e capovolge i parametri democratici della società.
 
Violenze derivanti dalle contese per i territori, per le istituzioni, per il business, per carichi di droga, per il controllo del contrabbando, per la destabilizzazione politica e per il controllo sociale (omicidi di giovani a Polochic), per vendetta, per semplici antipatie, per la difesa dei privilegi e per l’espansione economica ... Violenza come dimostrazione di potere: corpi decapitati, messaggi scritti col sangue, coperte per le strade, massacri pianificati, straordinariamente violenti come quello perpetrato nella fattoria Los Cocos, a Petén, dove sono state uccise 27 persone.
 
Le diverse forme di violenza
 
Il coinvolgimento della politica nella violenza è il filo conduttore di atti criminali apparentemente non correlati. L’attuale cosiddetto clima di violenza, di fatto irrazionalità imperante è, in primo luogo, una forma privilegiata per la risoluzione dei conflitti; secondariamente un meccanismo per garantire l'egemonia; in terzo luogo, uno spazio di impunità (la violenza fagocita l’oblio che alimenta la violenza); quarto, parte di una cultura collettiva e individuale (un modo di intendere e stare al mondo); quinto, uno stato di passività dominato dallo stato d'animo di insensibilità, rassegnazione, conformismo, paralisi sociale e terrore; sesto, l’anticamera di governi neodittatoriali (nel senso culturale, a fronte dell’idea diffusa che la violenza si combatte con più violenza). Infine, è il fattore fondamentale del decisionismo politico, al di sopra di norme, procedure, volontà ed istanze degli organi.
 
In questo contesto, i confini tra le varie forme di violenza tendono a confondersi o sono praticamente inesistenti: negli attori coinvolti, nei mezzi impiegati, negli effetti. Non si tratta di individuare una mano invisibile, ultrapotente che tira le fila di tutti gli omicidi, ma di capire invece che la violenza è una struttura: articolata e funzionale ai processi di capitalizzazione e riproduzione del potere.
 
Questa struttura si rende manifesta in particolar modo nel caso degli omicidi delle donne: possono essere di carattere personale (omicidio di Mindy Rodas) o politico (scomparsa di Mayra Gutierrez); per commettere o nascondere un crimine di stupro e violenza sessuale (María Isabel Franco) o per contrastare i processi di mobilitazione delle comunità (María Margarita Chub Che), ma tutti convergono sugli effetti paralizzanti della vita delle donne e sul ruolo di trasformazione collettiva che ha la donna. Dialettica moderna del terrore che ha origine nella misoginia sociale, che, con il suo esercizio, la rafforza. "La conseguenza più evidente è la smobilitazione politica perché il terrore creato in seno alla popolazione fa si che le madri impediscano alle proprie figlie di uscire, le costringe a fare più attenzione nei loro comportamenti, nei loro modi di vestire, impedendo loro di andare all’Università o di andare semplicemente a divertirsi, perché la paura le rende avvilite" (Associazione femminista La cuerda).
 
Violenza paraelettorale: la campagna del narcotraffico
 
La razionalità politica della violenza rende necessario analizzare i recenti fatti di sangue in funzione della campagna elettorale, con l’obiettivo di controllare il prossimo Congresso, Governo e Comuni. Il massacro di Petén (etichettato subito come regolamento dei conti tra bande criminali) può anche essere interpretata come una dimostrazione di forza politica.
 
La cronaca racconta più o meno quanto segue: 15 maggio, 27 contadini, e tra loro alcuni minorenni, sono stati brutalmente assassinati (la maggior parte decapitati) da un gruppo di narcotrafficanti del Cartello di Los Zetas. I trafficanti hanno dipinto le pareti con il sangue delle vittime. Alcuni giorni dopo, hanno collocato diverse coperte in varie parti del paese.
 
La storia può essere interpretata in quest’altro modo: 15 maggio, appena tredici giorni dopo l'annuncio del Tribunale Supremo Elettorale dello svolgimento delle prossime elezioni, Il Partito della Paura ha iniziato la sua campagna elettorale a La Libertad, dipartimento di Petén, nel contesto di un'iniziativa che è durata almeno cinque ore ed ha avuto un grande impatto a livello locale e nazionale. L’atto è stato seguito dalla diffusione da parte degli attivisti del partito, di messaggi sui muri in diverse località di tutto il paese, annunciando il loro programma d'azione.
 
Il crimine organizzato delimita spazi di business e di territorio, limita e coopta o interviene sui poteri istituzionali, e invia messaggi al fine di negoziare o influenzare i nuovi scenari politici. Qui, la violenza scaturita dalla criminalità organizzata non è differente dal terrore di Stato, dalla repressione esercitata per controllare o reprimere i movimenti sociali.
 
Una nuova transizione
 
La violenza si rafforza come causa, effetto e stato naturale di questo sistema, in cui gli accordi minimi raggiunti nel 1996 svaniscono: la condivisione della necessità di uno stato redistributivo; la condivisione sulla democrazia come forma di governo; il consenso - o l'immaginario – della necessità si una comunità internazionale impegnata per il cambiamento sociale; la consapevolezza che la sicurezza sia un fattore essenziale di ricchezza (e pertanto un’importante settore dell’oligarchia si dovrebbe attivamente impegnare per il processo democratico). Oggi, i benefici sono generati dall’insicurezza, dall’assenza di normative, dalla mancanza di leggi, e dalla rottura, uno per uno, di tutti i codici di convivenza sociale.
 
Si restringono gli spazi di azione, collettivi e personali, si indeboliscono le capacità di reazione e di azione sociale. Il nostro tempo politico viene riconfigurato.
 
Lo viviamo, ne abbiamo i presentimenti e lo iniziamo anche a nominare: stato di guerra latente, neodittatura, il nuovo genocidio.
 
Le variabili di questa nuova stagione giungono prima ancora della firma degli accordi di pace (1996) e della transizione dai governi dittatoriali a quelli civili (1985): potenza militare dominante, restrizione delle libertà (stati di emergenza o di assedio), società messa a tacere e immobilizzata. Ufficialmente e legalmente, questo nuovo slancio politico è punibile con un colpo di stato o con le riforme costituzionali promesse o fatte proprie dalla maggioranza dei partiti, da attuare con il prossimo governo.
 
L'alternativa è la generalizzazione della pace, ma non come accordi, bensì come forma privilegiata di organizzazione sociale: il recupero delle aree dominate dalla violenza nelle sue varie espressioni (compresi i territori simbolici, culturali e ideologici), l’espansione sociale (in strade, spazi pubblici) contro la ritirata e contro gli stati di emergenza, la partecipazione e l’espressione democratica invece del terrore, la speranza nel cambiamento e la volontà di lottare contro l’indifferenza e la rassegnazione. Tutto questo in un quadro di lotte simboliche, culturali, educative e ideologiche oltre che politiche ed economiche, che non solo prendano il potere, ma ne cambino la sua natura escludente e radicalmente violenta.
 
Memorial Guatemala, n. 133, 10 luglio 2011. www.memorialguatemala.blogspot.com
 
 

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