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Haiti: l'omicidio di Moïse e la politica delle acqua agitate

Lautaro Rivara | alainet.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

08/07/2021

Gli istigatori stessi del caos organizzato in questa vera politica delle acque agitate sono coloro che ora cercano di risolvere la crisi da pretoriani, presentandosi come garanti dell'ordine e della democrazia.

Che succede ad Haiti? Quali sono i fatti noti? In quale contesto ha avuto luogo l'assassinio di Jovenel Moïse? Quali sono le ipotesi e le possibili linee d'azione? Esiste una possibilità di normalizzazione democratica? E di un intervento internazionale? Chi sono i vincitori di questa vera e propria politica delle acque agitate?

I fatti, oltre la cronaca nera

A 24 ore dall'assassinio del presidente de facto di Haiti, Jovenel Moïse, avvenuto pubblicamente, ciò che sappiamo per certo è davvero poco. Un laconico comunicato ufficiale firmato da Claude Joseph e due altrettanto brevi conferenze stampa tenute in creolo, sono le uniche informazioni che giungono da fonti ufficiali. Senza ancora prove disponibili per convalidare o confutare la versione di stato, possiamo, tuttavia, riassumere quanto segue:

- Moïse e sua moglie, la first lady, sono stati attaccati da un "commando" nella loro casa di Pelerin alle prime ore del 7 luglio.

- Gli aggressori hanno violato la sicurezza presidenziale presentandosi come agenti della DEA, sono entrati parlando inglese e portoghese.

-Il presidente è morto immediatamente, mentre le condizioni della first lady, trattata con urgenza in un ospedale di Miami, sono ancora sconosciute [ndt:Jovenel Moïse è sopravvissuta all'attentato secondo quanto riporta la Bbc.]

- -Dopo il fatto, c'è stato uno scontro tra il commando e la polizia, in cui quattro degli assassini sono stati uccisi e altri due arrestati e trattenuti dalla polizia nazionale. Inoltre, tre agenti sono stati feriti e sono ora fuori pericolo.

- Di fronte al vuoto di potere generato, il primo ministro de facto Claude Joseph si è proclamato presidente ad interim, assumendo il controllo delle forze armate e della polizia e convocando d'urgenza un Consiglio dei ministri.

- Il Consiglio ha decretato per 15 giorni lo stato d'assedio su tutto il territorio nazionale e tra le altre misure, ha chiuso l'aeroporto internazionale di Toussaint L'Ouverture.

Moïse, divorato dai suoi stessi demoni?

È importante fornire un breve contesto e una sintetica descrizione di Moïse, di fronte alla tentazione post mortem di erigerlo a martire di cause che gli erano, in vita, totalmente estranee. Moïse è salito alla presidenza della repubblica come rappresentante del partito PHTK [Partito Haitiano Tèt Kale], una formazione politica dell'ultra-destra e ultra-liberale, che rappresenta i settori residuali del duvalierismo ancora presenti all'interno delle classi dirigenti haitiane. Infatti, il suo mentore e fondatore, sponsorizzato dagli Stati Uniti e dal gruppo centrale, l'ex presidente Michel Martelly, ha iniziato la sua "carriera politica" come paramilitare al soldo della dittatura permanente ed ereditaria di François e Jean-Claude Duvalier. Diversi rappresentanti di questo regime che ha devastato il paese tra il 1957 e il 1986 hanno occupato, attraverso i governi di Martelly e Moïse, posizioni politiche, diplomatiche, legislative e ministeriali.

Moïse è stato unto come successore di Martelly per essere una sorta di outsider della classe politica, in una manovra ricorrente utilizzata dalle più svariate destre latinoamericane. Il suo "capitale" è stato accumulato come esponente di una presunta oligarchia modernizzatrice e il suo fiore all'occhiello per arrivare alla politica è stato il progetto di sviluppo di zone franche agricole orientate all'esportazione con sede nel nord-ovest del paese, in particolare attraverso la sua società AGRITRANS S.A., costruita sulla espropriazione su commissione di migliaia di ettari di proprietà comunale e contadina.

Le elezioni che hanno consacrato il presidente nell'anno 2015 sono state caratterizzate da massicci brogli, il che significava, dopo quasi un anno di dispute e di governo ad interim, condurre nuove elezioni, che sarebbero state contestate come fraudolente da diversi attori a livello nazionale e internazionale, ma che sarebbero poi state convalidate dalle Nazioni Unite e dall'OAS, organizzatori e finanziatori quasi esclusivi dell'evento elettorale. La partecipazione dei cittadini, in quell'occasione, fu solo appena del 18% di votanti, riflettendo la noia e l'incredulità della popolazione nel suo complesso.

Una volta iniziato, il governo Moïse avrebbe dovuto da subito affrontare l'opposizione delle classi popolari, dei settori medi e persino di alcune frazioni della borghesia locale. L'approfondirsi delle politiche neoliberiste avrebbe degradato rapidamente la situazione economica del paese, con il punto di non ritorno rappresentato dalla "raccomandazione" del FMI di eliminare i sussidi al carburante, che nel luglio 2018 catapultò due milioni di persone nelle strade del paese. A questo si sarebbe aggiunta un'appropriazione indebita multimilionaria di fondi pubblici pari ad almeno un quarto del PIL nazionale, secondo le indagini del Senato e della Corte dei Conti Superiore. Moïse stesso, le sue aziende e una dozzina dei suoi alti funzionari sarebbero stati coinvolti nel fatto. Prima di questo processo di rimobilitazione popolare che iniziava a richiederne le dimissioni, Moïse ha imposto una lunga deriva autoritaria che abbiamo analizzato e documentato negli ultimi anni, che ha conosciuto la chiusura del Parlamento, l'intervento della magistratura, e la nomina dei giudici simpatizzanti, il governo per decreto, l'assassinio di giornalisti e avversari, la realizzazione di stragi nei quartieri popolari della capitale, la creazione di una sorta di polizia politica, conosciuta come la "Agenzia nazionale di intelligence", il mancato svolgimento delle elezioni previste dalla costituzione, il tentativo di modificare illegalmente l'attuale costituzione e dal 7 febbraio, la permanenza al potere una volta scaduto il suo mandato costituzionale.

Negli ultimi anni, le prove della collusione di Moïse e del PHTK con il crimine organizzato e le bande armate sono aumentate, secondo le indagini e le denunce di organismi per i diritti umani come la Rete nazionale di difesa dei diritti umani ad Haiti (RNDDH) e la Fondazione Je Klere. Bande che, vale la pena sottolineare, sono cresciute esponenzialmente in coincidenza con il ciclo della rimobilitazione popolare, in quella che abbiamo analizzato come una sorta di "soluzione paramilitare" al problema posto all'establishment in un'area strategica come il Bacino Caraibico. Infatti, una delle prime ipotesi, circolata ampiamente in tutto il paese ieri, era che uno di questi gruppi, addestrati, armati e finanziati contro lo stesso potere politico e che hanno guadagnato in autonomia e capacità operativa, potesse essere arrivato a divorare uno dei loro genitori.

A livello internazionale e in particolare a partire dall'anno 2019, Moïse avrebbe stretto il suo legame con gli Stati uniti e l'amministrazione Trump, convertendosi in un lobbista deggli interessi nordamericani negli organismi regionali quali l'OSA, riconoscendo l'auto-proclamato Juan Guaidó come presidente "in carica" del Venezuela, abbandonando la piattaforma energetica Petrocaribe, silurando gli spazi di integrazione regionale, come il CARICOM ed esprimendo solidarietà e sostegno ai vari regimi neo-liberali e paramilitari del continente. Questo gli avrebbe dato una sorta di carta di immunità e garantito la sua blindatura internazionale.

Gendarmi della pace?

Diversi mesi fa, il ciclo di mobilitazioni cominciò e smise di crescere principalmente a causa dell'efficacia della combinazione esplosiva di bande armate, massacri - 13 negli ultimi tre anni -, politica dei sequestri, traffico di armi nei quartieri popolari -più di 500 mila in circolazione -, scontri tra gruppi armati rivali e sfollati - più di 17 mila nell'ultimo mese -, così come le uccisioni mirate - il 30 giugno sono state uccise 19 persone a Port-au-Prince, tra queste un giornalista e un'attivista femminista dell'opposizione-.

Da tempo analizziamo il possibile ricorso a due modi alternativi di risolvere la crisi haitiana "dall'alto", che si spiega "dal basso" con l'incapacità dello Stato e della classe politica di generare il benché minimo consenso attorno a uno dei progetti sociali più iniqui e ingiusti del pianeta, sulle cui cifre da incubo non ci soffermeremo qui. Queste sono le due strategie utilizzate dall'oligarchia haitiana, la borghesia compradora e i loro partner transnazionali per tutto il secolo: il ricorso alle dittature "nazionali", che siano di tipo militare come quella del generale Raoul Cédras, o di tipo paramilitare come quella del clan Duvalier. O il ricorso alle occupazioni internazionali, da quella nordamericana del 1915-1934 fino ai 15 anni di missioni militari multilaterali di "pacificazione e giustizia" delle Nazioni Unite, che hanno invaso il paese tra il 2004 e il 2009 attraverso MINUSTAH [Missione di stabilizzazione delle Nazioni Unite ad Haiti] e il MINUJUSTH [Missione delle Nazioni Unite a sostegno della giustizia ad Haiti].

Già dal 2018 e 2019, diversi viaggi pubblici e clandestini di autorità statali e sostenitori politici dell'opposizione conservatrice sono stati effettuati assiduamente negli Stati Uniti per negoziare, alternativamente, il supporto per alcune di queste "soluzioni", le quali implicano, invariabilmente, il concorso tecnico, politico, economico e di armamenti statunitense. Gli elementi catalizzatori della crisi accelerarono con l'avvento al potere del Partito Democratico, dato che alcune delle sue correnti interne hanno iniziato a premere per una sorta di normalizzazione pseudo-istituzionale nel paese del loro fedele ma scomodo alleato. Questo, data la difficoltà di spiegare ai loro settori più "progressisti" perché si sosteneva l'appoggio a un governo che teneva elezioni, governava per decreto, che aveva chiuso il parlamento, jche spostava e imprigionava giudici, che creava per decreto una polizia politica, che assassinava gli oppositori politici e consentiva massacri reiterati.

Da qui la proposta di un calendario elettorale da maratona, la cui compulsione doveva affrontare , all'avvicinarsi delle scadenze, l'evidenza inappellabile che Moïse era incapace di garantire le condizioni minime di sicurezza, di pace e di concordia per tenere un qualunque tipo di comizio elettorale, che poteva facilmente scoperchiare il vaso di pandora, "disinnescare" il ciclo di mobilitazione popolare e rimettere milioni di persone nelle strade. Quello che nessuno poteva prevedere, tuttavia, è che lo scenario di una di queste "soluzioni" - dittatura o occupazione - scelto dalle classi dominanti, sarebbe precipitato in un assassinio e nel conseguente vuoto di potere.

In questo contesto, non dobbiamo essere sorpresi dalle più recenti dichiarazioni di alcuni capi di stato dell'emisfero. Da quella dello stesso Biden, che ha espresso la sua "disponibilità a venire in aiuto di Haiti" - una frase che può solo causare costernazione nel paese - alla dichiarazione molto più smodata del presidente colombiano Iván Duque, che ha sollecitato l'OSA a intervenire urgentemente con una missione ad Haiti per "garantire la stabilità democratica e istituzionale" che il presidente non può garantire nel suo paese. Così si spiega anche l'incontro di Claude Joseph con il Core Group, un organismo ad hoc che riunisce l'OSA, l'ONU, l'UE e le ambasciate di USA, Canada, Brasile e di diverse nazioni europee, cioè tutti gli attori con interessi politici, economici e geostrategici nel paese. O lo stesso vale per la conversazione di ieri con il segretario di Stato americano Antony Blinken.

È necessario ricordare che questi sono gli stessi attori internazionali che hanno sostenuto il governo de facto di Moïse nonostante la decomposizione sociale ed economica accelerata del paese, e nonostante la rottura più completa dell'ordine democratico. Gli stessi induttori del caos organizzato in questa autentica politica delle acque agitate sono quelli che ora pretendono di risolvere la crisi in modo pretoriano, presentandosi come garanti dell'ordine e della democrazia. Non sarebbe strano se cominciassimo a sentire, ancora una volta, i vecchi concetti dell'arsenale teorico colonialista come "interventismo umanitario", la "responsabilità di proteggere", la "non indifferenza", "minacce insolite e straordinarie" o il pericolo per la "sicurezza nazionale degli Stati Uniti".

Una transizione, ma verso dove?

Come suggeriamo, la crisi politica di Haiti non è iniziata con l'assassinio di Moïse, anche se la sua morte la conduce a un nuovo punto di non ritorno. La rottura dell'ordine democratico implica che non ci siano attori legalmente costituiti in grado di assumersi l'onere di una transizione legittima, a meno che non si costruiscano grandi accordi sociali e politici, cosa che l'oligarchia, la borghesia copradora e gli USA non sembrano disposti a fare. Il caso di Claude Joseph è eloquente, autoproclamato ora come presidente ad interim evocando l'articolo 149 della Costituzione. Va detto che è un primo ministro de facto, scelto unilateralmente da Moïse, non ratificato - come richiesto dalla Magna Carta - da un Parlamento che di fatto non esiste. È persino un ex primo ministro de facto, dato che giorni prima della morte di Moïse aveva nominato un successore di Joseph, l'avvocato Ariel Henry, ora praticamente scomparso dalla scena pubblica. Colui che avrebbe potuto assumere una successione legale era il presidente della Corte di Cassazione, René Sylvestre, ma è morto qualche settimana fa di coronavirus.

Di fronte a questo vuoto di potere e al doppio filo delle politiche di shock, sembra che solo la ricomparsa del fattore di mobilitazione potrebbe incidere su una risoluzione che non sia ancora più regressiva. Le forze nazionali, popolari e democratiche hanno aumentato la loro capacità di articolazione, hanno generato spazi unitari come il Fronte Patriottico Popolare, hanno sviluppato programmi e tentativi di azione, ma sono ancora deboli dal punto di vista organizzativo e la loro capacità di influenza è scarsa senza la presenza del popolo nelle strade. Solo la sua ricomparsa e la costruzione di qualcosa come un cerchio di visibilità e solidarietà con Haiti può evitare che il paese sia schiacciato ancora una volta da una lunga dittatura militare o da una disastrosa occupazione internazionale.


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