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Fame e povertà

Prabhat Patnaik | peoplesdemocracy
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

23/10/2022

È appena uscito l'Indice globale della fame (GHI) per il 2022, che vede l'India occupare la 107ma posizione tra i 121 Paesi per i quali l'indice viene elaborato (i Paesi in cui la fame non è un problema degno di nota sono esclusi dall'indice). Il punteggio dell'India nell'indice della fame è 29,1, peggiore del 28,2 del 2014 (più bassa è la cifra, minore è la fame). Al giorno d'oggi si è talmente bombardati da discorsi ufficiali sul fatto che l'India sia tra le economie in più rapida crescita del mondo, che sia in procinto di diventare un'economia da 5.000 miliardi di dollari e che sia una potenza economica emergente, che notizie come quella del GHI fanno tornare con i piedi per terra. Ironia della sorte, l'unico Paese dell'Asia meridionale che si colloca al di sotto dell'India nell'indice della fame, per giunta solo marginalmente, è l'Afghanistan devastato dalla guerra (109° posto); lo Sri Lanka, colpito dalla crisi, si colloca al 64° posto, il Nepal all'81°, il Bangladesh all'84° e il Pakistan al 99°.

La notizia del GHI non deve tuttavia sorprendere. Il fatto che la fame nel Paese sia acuta e in crescita è stato evidenziato da diversi studiosi. Per farlo, hanno utilizzato i dati sull'apporto calorico giornaliero pro capite e sulla disponibilità annua pro capite di cereali. E hanno sostenuto che, dal momento che la fame crescente è un sintomo di povertà crescente, una proposta che la Commissione di pianificazione aveva originariamente accettato, il periodo di neoliberismo che ha visto una crescita secolare della fame, culminata nel GHI di quest'anno, nonostante la tanto decantata crescita del PIL, deve essere anche un periodo di crescita della povertà assoluta.

Le prove della crescita secolare della fame nel periodo neoliberista sono piuttosto schiaccianti. Se prendiamo in considerazione il 1993-94 e il 2011-12, il primo un anno "a grande campione" dell'NSS [National Sample Survey, ente responsabile della conduzione di indagini campionarie su larga scala in diversi settori, ndt] più vicino all'inizio del neoliberismo e il secondo, l'ultimo anno "a grande campione" dell'NSS per il quale sono stati rilasciati i dati dal governo, scopriamo che la percentuale di popolazione al di sotto delle 2.200 calorie per persona al giorno nell'India rurale è aumentata dal 58 al 68%; le cifre corrispondenti per l'India urbana, dove il parametro di riferimento era 2.100 calorie per persona al giorno, sono aumentate dal 57 al 65%. I dati per il 2017-18, un altro anno di "grande campione" dell'NSS, erano apparentemente così spaventosi che il governo ha deciso di sopprimerli del tutto e persino di sospendere l'NSS nella vecchia forma. Ma i dati trapelati mostrano che la spesa reale pro capite per l'India rurale nel suo complesso è diminuita del 9% tra il 2011-12 e il 2017-18.

Tuttavia, molti ricercatori sono convinti che l'apparente crescita dell'incidenza della fame non debba essere considerata una prova del fatto che le condizioni delle persone stiano peggiorando nel tempo. Esistono due filoni di questa argomentazione. Uno sostiene che, grazie alla meccanizzazione pervasiva, la fatica del lavoro manuale sia diminuita nel tempo, per cui i lavoratori di oggi non hanno bisogno di tante calorie come in passato. Spendono meno per il cibo rispetto al passato e diversificano la spesa per altri scopi. Il secondo filone non menziona la diminuzione dell'entità del lavoro faticoso, ma afferma semplicemente che le persone stanno volontariamente diversificando la loro spesa da beni elementari come i cereali, verso prodotti alimentari più raffinati e sofisticati e anche verso altri beni come l'istruzione dei bambini e un'adeguata assistenza sanitaria.

Su entrambi i fronti, secondo loro, il calo dell'assorbimento pro capite di cereali è sintomatico non di un peggioramento del tenore di vita, ma di un suo miglioramento; pertanto, trarre conclusioni sull'aumento della povertà da quello che a prima vista sembra un aumento della fame (ma che in realtà è una riduzione volontaria del consumo di cereali come parte di una vita migliore) è del tutto illegittimo. L'incidenza della povertà, di conseguenza, non è in crescita ma in calo, come sostengono il governo e la Banca mondiale (anche se quest'ultima ha recentemente parlato di un aumento della povertà durante la pandemia).

Ripeto, non è in discussione il calo del consumo pro capite di cereali in India, considerando sia il consumo diretto che quello indiretto, quest'ultimo attraverso gli alimenti trasformati e i mangimi; né è in discussione il calo dell'apporto calorico pro capite. La vera differenza è se ciò significhi un aumento della povertà o una diversificazione dei consumi dai cereali alimentari, sintomatica di una diminuzione della povertà. Il fatto che un aumento della povertà provochi un aumento della fame non è in dubbio; il punto è se sia vero il contrario, se la riduzione dell'assunzione di cereali alimentari possa essere considerata una prova della crescita della povertà. L'Indice globale della fame diventa utile in questo caso.

Se la riduzione dell'assunzione di cibo fosse davvero un sintomo di miglioramento delle condizioni di vita, allora dovremmo aspettarci che molti altri Paesi, i cui tassi di crescita sembrano impressionanti, raggiungano l'India in fondo alla classifica del GHI. Ma i Paesi vicini all'India nella tabella del GHI, dove la nostra posizione è 107, sono Ruanda (102), Nigeria (103), Etiopia (104), Repubblica del Congo (105), Sudan (106), Zambia (108), Afghanistan (109) e Timor Est (110). Si tratta di Paesi generalmente considerati poveri, per cui la loro presenza in fondo alla classifica non è una sorpresa. Al contrario, i Paesi con i quali vorremmo che le nostre prestazioni economiche fossero confrontate, come la Cina, sono in cima alla classifica. La Cina figura tra i primi 17 Paesi classificati collettivamente, piuttosto che individualmente. Il suo punteggio GHI inferiore a 5 è di gran lunga migliore del 29,1 dell'India.

Il fatto che nessuna delle cosiddette economie a forte crescita figuri accanto all'India sottolinea la totale vacuità delle argomentazioni che enfatizzano un cambiamento nei gusti (maggiore interesse per l'istruzione dei bambini) o una riduzione della "fatica" (attraverso la meccanizzazione) come responsabili di una riduzione (volontaria) del consumo di cereali. La riduzione della "fatica" dovuta alla meccanizzazione o il desiderio di istruzione dei bambini non sono caratteristiche specifiche del popolo indiano, ma fenomeni universali. Allora perché solo l'India, tra le economie a forte crescita, si trova in fondo alla classifica del GHI?

Si potrebbe obiettare che, sebbene il desiderio di istruzione dei bambini e di un'adeguata assistenza sanitaria sia comune a tutti, in India questi servizi sono costosi, mentre in Cina possono essere più economici. Per questo motivo, i genitori indiani che iscrivono i propri figli alle scuole più costose potrebbero dover ridurre il consumo di cibo, mentre in Cina, essendo la scuola meno costosa, non c'è bisogno di ridurre l'assunzione di cibo per l'educazione dei bambini.

Ma è proprio questo il punto e non ha nulla a che vedere con un "cambiamento di gusto". Ovunque i genitori tengono all'istruzione dei propri figli, ma se in un determinato Paese per mandarli a scuola è necessario rinunciare al cibo, questa rinuncia è sintomo di un aumento della povertà. Indica un aumento del prezzo di uno dei beni del paniere consumato dalla popolazione e quindi un aumento del costo della vita che non è accompagnato da un corrispondente aumento dei redditi monetari e porta a una riduzione del consumo di cereali. Questa riduzione del consumo di cereali, che significa un aumento della fame, è quindi il riflesso di un aumento del costo della vita e quindi di una riduzione del reddito reale; ed è proprio questo che si intende per aumento della povertà.

Detto altrimenti, qualsiasi aumento del reddito reale deve comportare un aumento del consumo di ogni bene del paniere di beni per il quale viene speso il reddito (o di qualche bene sostitutivo di uno di questi beni). Un aumento del reddito reale, come dimostrano i dati trasversali all'interno dell'India e tra i vari Paesi, significa invariabilmente un aumento del consumo di cereali, non solo del consumo diretto, ma anche di quello indiretto. Ma se si verifica un calo nell'assunzione totale di cereali diretti e indiretti, come è avvenuto in India, ciò significa un calo del reddito reale della maggior parte della popolazione e quindi un aumento della povertà. Il legame tra aumento della fame e aumento della povertà rimane quindi valido.

Il motivo per cui la povertà secondo le stime ufficiali e della Banca mondiale sembra essere diminuita in India, in base alle quali si sostiene che il legame tra povertà e fame non è più valido, è perché si utilizza una "soglia di povertà", un particolare livello di spesa in denaro pro capite al di sotto della quale le persone sono considerate povere, che viene aggiornato utilizzando un indice del costo della vita. Ma l'indice costruito in India non tiene conto dell'aumento del costo della vita dovuto alla privatizzazione di servizi come l'istruzione e la sanità. Pertanto, il vero aumento del costo della vita non viene preso in considerazione e la soglia di povertà aggiornata utilizzando tale indice continua a scendere al di sotto di quella che avrebbe dovuto essere. In questo modo si sottovaluta l'entità della povertà e l'élite si accontenta di questo indice di povertà stimato, presumibilmente in calo. L'Indice globale della fame smaschera la falsità di queste stime sulla povertà.


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