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- popoli resistenti - iraq - 26-06-09 - n. 280
Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
In Irak la gente muore in massa
Editorial Gara
26/06/09
Si avvicina il 30 giugno, giorno in cui dovrebbe iniziare ufficialmente il ripiegamento progressivo delle truppe nordamericane che occupano l’Irak.
Il panorama politico e militare del paese non è certo favorevole al ritiro delle truppe.
Negli ultimi giorni si sono susseguiti diversi attacchi dinamitardi che hanno causato la morte di decine di iracheni. Solo per il mese di giugno si contano già 200 morti in attentati.
Con ciò non si vuole certo dire che la permanenza delle truppe statunitensi risolva alcunché.
Ma se si considerano le ragioni che giustificarono l’occupazione e il suo mantenimento per tutti questi anni, risultano evidentemente false, contraddicendo le cause dell’occupazione - l’esistenza di armi di distruzione di massa - e pure gli obiettivi - portare la democrazia in Iraq -.
La realtà è che l’occupazione è la vera causa di morte, questa sì, di massa, di migliaia e migliaia di iracheni.
Assumere la prospettiva imposta dagli occupanti, non vieta al governo fantoccio di Baghdad di violare le norme di base della democrazia, come la stessa Costituzione imposta dalle forze occidentali. I kurdi e la loro limitata autonomia, ne solo un’ulteriore prova.
L’Iraq mostra quotidianamente che la resistenza cresce e che l’amministrazione imposta non è capace di sviluppare una politica alternativa e sovrana per il popolo iracheno.
Barack Obama mantiene il suo calendario di ritiro militare.
Un ripiegamento che nasconde uno spostamento di truppe su di un altro fronte: quello afgano – pakistano (chiamato AfPak dagli yankee), dove l’egemonia statunitense è più fragile che mai.
In questo momento l’unica cosa che sembra interessare dell’Iraq è promuovere una posizione subalterna di Baghdad in grado di contenere l’influenza iraniana.
Di conseguenza, tutta l’area sta tremando, non tanto per il timore o la forza delle truppe d’occupazione, ma per l’instabilità politica che stanno creando appositamente.